L’agenda di Flavia: più che alle feste, pensa alle nozze (Giuseppe Calvi, Gazzetta dello Sport)
Flavia c’è, ma non si vede. La Pennetta si sarebbe abbandonata per qualche ora alla tranquillità familiare, nella casa dei genitori a Brindisi, e poi, chissà, potrebbe essere ripartita già ieri, in attesa di ritornare per la grande festa in suo onore, programmata per domani sera. La città si prepara a celebrare la straordinaria impresa realizzata da Flavia con il successo negli Us Open. Da Flushing Meadows con il trionfo a New York al lungomare che esibisce l’Adriatico con il calore e con i colori della sua terra: la Regina Pennetta si concederà alle coccole e agli applausi della sua gente. Stamattina Mimmo Consales, sindaco di Brindisi, alla presenza di Oronzino Pennetta e Concita Intiglietta (mamma e papà della tennista), annuncerà in una conferenza stampa l’evento organizzato dal Comune per domani sera, in una piazza centrale o sul lungomare. Sarà l’occasione per festeggiare la campionessa, 33 anni, per la quale il delegato provinciale della Fit, Francesco Ruggiero, ha chiesto di intitolare il Circolo, o almeno un campo, conferendole la nomina di «socia onoraria atleta».
MISTERO Da lunedì sera si era sparsa la voce che Flavia fosse sbarcata all’aeroporto di Brindisi con un volo privato. Avvertiva evidentemente l’esigenza di barricarsi nella casa di famiglia, nel rione Casale, a metà strada tra l’aerostazione e il Circolo tennis. Arrivata, si è eclissata. La Pennetta non ha lasciato traccia del suo passaggio in città. Potrebbe essere stato un velocissimo blitz, per condividere con i parenti la gioia per il trionfo ottenuto a New York. Pare che addirittura già nel pomeriggio la Pennetta sia ripartita, dando appuntamento a tutti per la serata di domani.
MATRIMONIO Tra un viaggio e l’altro, Flavia venerdì potrebbe ancora volare, in Russia, per essere vicina al fidanzato Fogni-ni, impegnato con l’Italia in Davis per i playoff per restare nel Gruppo Mondiale. A seguito dell’annuncio della tennista di abbandonare l’attività a fine anno, ha preso corpo l’ipotesi che sia stata presa la decisione di unirsi in matrimonio al suo Fabio, probabilmente nel giugno 2016. I due hanno visitato, qualche settimana fa, la loca-tion di Borgo Egnazia, a Savelletri di Fasano. E sono rimasti intrigati dalla struttura nella quale, dopo il matrimonio di Justin Timberlake, nel settembre 2104 è stato celebrato quello di Rohan e Ritika, terzogenita del magnate indiano della siderurgia Pramod Agarwal: alla cerimonia (tre giorni di banchetti, per 800 invitati) non sono mancati gli elefanti.
RIPENSAMENTO? La decisione di Flavia di uscire di scena dopo la vittoria a Flushing Meadows ha stupito tutti. «Ero a conoscenza, però mi ha sorpreso il momento dell’annuncio – ha dichiarato, ieri a Torino, Giovanni Malagò, presidente del Coni -. E poi una cosa è abbandonare il tennis, un’altra è non giocare più a Flushing Meadows. La cosa più importante è che lei sia felice, perché io voglio un grande bene a lei e alla sua famiglia, e non solo da adesso, ma già in epoche non sospette . Si possono fare riflessioni sul fatto che possa spostare di qualche mese le lancette del suo addio. E’ normale che io e il presidente della Federtennis cerchiamo non dico di farle cambiare idea ma di indurla a rinviare il suo proposito di qualche mese. Sono moderatamente ottimista sul fatto che Flavia possa partecipare all’Olimpiade di Rio (…)
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Novak implacabile con Roger (Claudio Giua, repubblica.it)
Ci abbiamo pensato io e chissà quanti altri durante le infinite tre ore e venti minuti di rinvio della finale per i continui acquazzoni: non è che Federer, quest’anno sublime a Flushing Meadows (sei vittorie in tre set grazie a qualità tecnico-tattica assoluta e superiorità fisica imbarazzante, sta giocando persino meglio del suo primo Slam, Wimbledon 2003, quando al terzo turno aveva lasciato un set a Mardy Fish), ecco, non è che batte Djokovic e poi annuncia l’addio alle scene? Come Flavia Pennetta, ma con un’eco globale moltiplicata per diciotto volte, tante quanti sarebbero i suoi Slam in caso di successo. Ho computato: Roger ha 34 anni e 36 giorni, ha vinto tutto fuorché le Olimpiadi e gli Internazionali d’Italia, qui a New York ha alzato il trofeo cinque volte dal 2004 al 2008, in carriera ha guadagnato quasi 75 milioni di euro in premi, nelle ultime due stagioni è tornato stabilmente tra i primi tre del ranking mondiale dopo aver messo a punto una raffinata evoluzione del serve-and-volley che caratterizzava i suoi primi anni da professionista, nel 2011 in cinquantamila l’hanno scelto come seconda persona più autorevole al mondo (nel frattempo il primo, Nelson Mandela, è scomparso). E ho concluso: se Roger ha ottenuto tutto questo e se i più grandi tennisti dei decenni precedenti alla sua era, Bjorn Borg, John McEnroe, Pete Sampras, alla sua età s’erano autopensionati da anni, cos’è che lo dovrebbe convincere ad andare avanti dopo l’eventuale trionfo a New York?
Spostando l’attenzione su Novak Djokovic, la domanda che mi sono fatto mentre le nuvole s’allontanavano dal Queens è più contingente e uguale a quella alle vigilie delle ultime finali di Slam con protagonisti lui e Roger, a Wimbledon due mesi fa e l’anno scorso: saprà trasformare il tifo compatto e contrario del pubblico in un punto di forza per sé? La risposta che arriva immediatamente dal campo è sì. Nonostante l’Arthur Ashe Stadium esploda esultante a ogni suo errore, nel primo set Nole impone il proprio ritmo, cede un break ma ne strappa due approfittando della bassa quota (53%) di prime di servizio di Federer piazzate correttamente nel rettangolo. Chiude sul 6-4. Il primo obiettivo del numero 1 ATP è così raggiunto: comunque vada, non sarà una breve marcia trionfale di Federer.
Le rispettive strategie appaiono evidenti: per evitare che i turni di servizio di Roger si concludano dopo rapidi scambi, il serbo tiene il gioco lungo e attende che l’avversario forzi fino all’errore; al contrario, lo svizzero vorrebbe rispettare – senza riuscirci con costanza – il manuale di regole del perfetto serve-and-volley stilato dal suo coach Stefan Edberg.
Nella seconda frazione il copione non cambia. Federer continua a puntare sull’efficienza del servizio per non perdere contatto con il numero 1 al mondo. Insieme, alza il livello del proprio gioco, mette maggiormente sotto pressione Djokovic, sbaglia meno di lui e sul 6-5 – dopo alcune occasioni sprecate o annullate in precedenza – ottiene il break che coincide con il successo nel parziale. Si va sicuramente almeno al quarto set.
Terzo set con andamento peristaltico. All’inizio Djokovic si limita a martellare precisissimo e implacabile da fondo campo mentre Federer fatica a guadagnare spazio. Poi la qualità s’impenna. Nell’ottavo game lo svizzero recupera, sputando l’anima, il break ceduto in precedenza ma nel gioco successivo lascia che Djokovic riprenda il largo e vada a servire per il set sul 5-4. Il serbo rischia parecchio ma poi viene premiato dalla scarsa capacità, oggi, di Roger di trasformare in punti le frequenti occasioni di break (saranno in tutto solo 4 su 23).
Il quarto set è una formalità che Novak non riesce a sbrigare in fretta. Sa per esperienza che Federer non riesce più, dalla quarta frazione, a mantenere i ritmi che gli consentono invece di essere competitivo nei Masters due-su-tre. Il numero 2 ATP è molto stanco, s’affida sempre più al servizio e alle risposte di rovescio in back. Al break d’apertura si somma quello sul 4-2. Sarebbe finita se Federer fosse uno che molla la presa senza lottare: sospinto dal pubblico, si riprende un break e si rifà sotto. Ma Djokovic è implacabile (…)