Per una volta, tralasciamo la top ten: senza stare a guardare il conto in banca di Federer, il sedere scolpito di Nadal o la bellezza della moglie di Djokovic (perché queste sono le cose importanti, no?), andando oltre Ferrer, Wawrinka e i giovani che chissà quando esploderanno. Una spanna più in là, nella seconda decina di classificati di cui tutti sanno tutto, c’è un personaggio quanto mai anacronistico, rispetto al paesaggio che lo circonda: in mezzo alla poesia glamour di Gasquet, alla strepitosa bellezza di Feliciano Lopez e ai profili da copertina di Dimitrov, sbuca Kevin Anderson nella casella numero 12. Tra la posizione numero 11 e la numero 20 ci sono Tsonga e Karlovic, dei quali si potrebbe scrivere riempiendo quintali di byte, c’è Simon, addirittura il tanto discusso Cilic. E Anderson. A due pioli dai primi dieci c’è un tennista che, dopo aver battuto in quattro set Andy Murray, è stato definito come “uno sconosciuto” dalla CNN, nonostante tre titoli ATP conquistati in carriera. Lo stesso sconosciuto che due mesi fa costringeva Novak Djokovic a rimontare due set a Wimbledon, di fatto l’unico dosso su cui la corsa londinese del serbo ha dovuto rallentare.
Sudafricano di Johannesburg (dove otterrà il suo primo sigillo nel circuito maggiore nel 2011), figlio di Michael e Barbara, ingegneri in pensione, Anderson è un prodotto del college statunitense: dopo essersi diviso tra tennis e atletica leggera (i suoi 203 centimetri non gli impedivano di brillare negli ottocento piani), dal 2005 al 2007 è stato membro del team NCAA dell’ateneo dell’Illinois, con risultati pressoché eccelsi. Nel 2006 il titolo in doppio con il carneade Ryan Rowe (oggi assistant coach per gli Augustana Vikings, di cui ovviamente tutti abbiamo sentito parlare…), l’anno successivo ancora finale in doppio e semi in singolo, oltre alla finale nel campionato a squadre: in tutte le tre stagioni viene nominato All-American, tra i più alti riconoscimenti sportivi per un atleta collegiale negli Stati Uniti. Appassionato di lettura, dall’estate del 2007 si cimenta nel circuito professionistico, iniziando una splendida scalata verso il suo attuale best ranking.
Nota a tutti la sua stazza fisica, che grazie alla sua spaventosa apertura alare gli permette di comandare lo scambio con il suo poderoso servizio e un frequente ricorso al dritto, spesso ad uscire. Un rovescio più che discreto agli inizi si è via via trasformato in una temibile arma sopratutto in risposta, che Anderson è spesso bravissimo ad anticipare e impattare in diagonale; una buona attitudine al gioco di volo ha poi concorso negli anni a renderlo una mina vagante nei tabelloni di qualsiasi torneo, e quest’anno gli exploit a livello Slam, con il primo quarto di finale Major agli US Open lo hanno dimostrato: dopo Johannesburg, il bis negli allori ATP arriva a Delray Beach 2012, quando supera in finale Marinko Matosevic (alla sua prima esperienza in un atto conclusivo) dopo aver battuto Andy Roddick e John Isner lungo la strada. Proprio contro Long John giocherà la finale più alta della storia, ad Atlanta l’anno successivo, e i quattro metri e undici complessivi daranno vita ad un’epica battaglia con il rubinetto degli ace sempre aperto, conclusasi dopo tre tiebreak a favore dell’americano, e Anderson incapace di sfruttare matchpoint; fin’ora sono otto le finali perse. In questo 2015 a Winston-Salem il suo terzo squillo, a confermare un invidiabile stato di forma estivo.
Membro dell’ATP Player Council dal 2011, Anderson è sposato con Kelsey, ex giocatrice di golf per la stessa University of Illinois, che ha sollevato più di un granello di polvere con un proprio lavoro svolto per ChangeOverTennis.com, in cui descrive come la maggior parte dei tennisti siano dei “perdenti”. Peraltro non è la prima volta in cui Anderson (seppur nel caso della moglie in maniera indiretta) ha fatto alzare qualche sopracciglio agli addetti ai lavori: rinomata la sua polemica con la federazione sudafricana, per la quale non scende più in campo in Davis dal 2011 per millantate questioni economiche, sulle quali lo stesso Kevin ha voluto fare luce ultimamente.
Con l’aspetto da Lurch de “La Famiglia Addams”, le movenze non propriamente aggraziate e il low-profile di chi difficilmente raggiunge il podio nelle classifiche di simpatia degli aficionados, Anderson sta comunque scalando il ranking e mietendo risultati fino a pochi anni fa inaspettati: vedremo se il brutto anatroccolo saprà convivere con i cigni principi della top 10.