La Williams non è più Serena (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)
Anche le Pantere rosicano. E si buttano un po’ giù. Magari senza darlo troppo a vedere in pubblico – su Twitter e Instagram guai ad accusare il colpo – ma sfogandosi con gli amici più cari. Dalla sconfitta contro Roberta Vinci nelle semifinali degli Us Open è passato quasi un mese, Serena Williams nel frattempo ha dato una lucida-tina al suo lato glamour, presentandosi pochissimi giorni dopo con gli occhietti un po’ mesti ma la solita mise ipersexy al lancio della collezione primavera/estate della sua linea di abbigliamento alla settimana della moda newyorchese. Facendo gli auguri a sister Venus per le 700 vittorie da pro, e a se stessa per i 34 anni (compiuti il 26 settembre). Ha anche annunciato con orgoglio che comparirà nel prossimo calendario Pirelli (wow).
FERITA. La ferita, però, brucia. Tanto che la numero uno del mondo si è quasi decisa a rinunciare a tutti gli impegni agonistici da qui alla fine dell’anno, ovvero i China Open della prossima settimana e soprattutto il Master Wta a Singapore a fine ottobre. Troppa la rabbia per il sogno di Grand Slam sfumato a due passi dal traguardo, troppo basse le motivazioni per ripresentarsi subito in campo ad allenarsi e competere. «Serena mi ha detto che per colpa di quella sconfitta è convinta che il suo 2015 non sia stato buono – ha riferito il suo più-che-coach Patrick Mouratoglou. – E a me il ragionamento piace, perché un campione deve sempre avere grandissime aspettative». A caldo, nella conferenza stampa più amara della sua carriera, Serena aveva parlato in maniera diversa, spiegando che considerava un grande obiettivo aver vinto tre dei quattro Slam della stagione. Certe cotte però sono più dolorose a freddo, quando ci ritorni su mille volte con la mente. «Quando in agosto ha perso in Toronto il giorno dopo era già pronta ad allenarsi, perché il suo obiettivo era vincere gli Us Open – ha aggiunto il coach francese -. Serena soffre ogni sconfitta, ma quella contro la Vmci è stata particolarmente dolorosa. Dopo tre quarti di Slam i dubbi riguardano quanto sia motivata a giocare quei tornei: se la motivazione non è alta, penso che non dovrebbe farlo».
SABBATICI. Nel 1986 John McEnroe, dopo una cocente sconfitta al Masters contro Brad Gilbert, decise di prendersi sei mesi sabbatici: si sentiva «bum out», esaurito diremmo noi. Poi tomò, ma non vinse mai più uno Slam. Anche Bjorn Borg e Martina Hingis si ritirarono per ragioni simili (la concorrenza che avanzava e il fuoco sacro che si spegneva), ripensandoci entrambi dopo pause più o meno prolungate, e con esiti diversi. Ogni tanto persino l’altro 34 enne d’oro Roger Federer si concede qualche vacanza prolungata, mentre l’enorme delusione di quest’anno a Parigi ha spinto Djokovic a saltare tutti i tornei preparatori a Wimbledon (…)
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Serena colpita al cuore dalla Vinci, forse torna nel 2016 (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)
Cose fatte da Serena Williams dall’11 settembre a oggi: presentare la linea di moda che porta il suo nome alla New York fashion week; annunciare la sua presenza sul calendario Pirelli 2016, fotografata da Annie Leibovitz; volare a Miami per tifare i Dolphins (franchigia Nfl di cui è azionista: business is business); fare shopping; postare su twitter foto mentre fa la boccuccia a cuore, emerge dalle acque di una piscina, si veste davanti allo specchio, esce a cena con le amiche. Tutto, tranne giocare a tennis. Serena è triste, prostrata, svuotata di motivazioni, forse addirittura depressa. «Non mi stupirei se da qui alla fine dell’anno non prendesse più in mano la racchetta» confida coach Mouratoglou, bel tenebroso con un leggero filo d’ansia tra i capelli brizzolati, perché un conto è recuperare la Williams sul fondo del burrone di una rara sconfitta («Dopo aver perso a Toronto con la Bencic, lo scorso agosto, era naturalmente seccata però la mattina successiva si è presentata puntuale in campo ad allenarsi») e un altro è farla risorgere dalla tomba del più clamoroso episodio di morte sportiva che lo sport moderno ricordi.
La malattia di Serena Williams si chiama Roberta Vinci, la nemesi di rosso vestita che l’11 settembre stoppò la più forte di tutte a due passi dall’impresa della vita (prima di consegnarsi in finale all’amica Flavia Pennetta): vincere l’Us Open e annettersi, prima donna dal lontano 1988 (Steffi Graf), il Grande Slam doc, cioè realizzato nell’anno solare. «Serena era a due match da qualcosa di straordinario: ogni sconfitta la colpisce, questa in modo particolare. Ha bisogno di tempo per metabolizzare. Quando sentirà di nuovo dentro di sé le motivazioni giuste, sarà il momento di ricominciare: ha ancora molti tornei dello Slam da vincere» è la diagnosi di Mouratoglou.
Da Wuhan, in Cina, dove ieri si è qualificata per i quarti strapazzando la n.4 del ranking Petra Kvitova sulla scia dello stato di grazia che l’accompagna da New York, Roberta Vinci allarga le braccia: «Ho letto su facebook che Serena sta pensando di disertare il torneo di Pechino e il Master di Singapore… Mi dispiace, non so cosa dire. Non credo sia addirittura depressa però se ha chiuso qui il suo 2015 a causa di quella sconfitta mi rincresce. Ho visto l’entry list di Pechino: oggi risulta ancora iscritta. Però è vero che Serena queste cose le fa: appare e scompare, non sarà la prima né l’ultima volta». Benché sulla pelle le siano rimasti tatuati quei tre set (2-6, 6-4, 6-4) che resteranno impressi nella nostra memoria a lungo, la stagione della Williams, per noi umane, è comunque trionfale (…)
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Serena si è rotta dentro, solo Freud potrà salvarla (Gianni Clerici, La Repubblica)
Giunge notizia che Serena Williams non giocherà più nell’anno solare 2015. Una simile inattesa e insolita notizia conferma che il vecchio Scriba non si era per una volta sbagliato, in un suo libro che ha già venduto – pare – ben nove copie, e nel quale si dice che siamo noi, il più preoccupante avversario di noi stessi, e non l’oppositore, dall’altro lato del campo. Nel continuare la mia vita di spettatore professionista del gioco, mi confermo nella necessità di studi psicologici approfonditi, purché si possa ottenere le confidenze che il paziente riserva, sul lettino, allo psichiatra-spettatore. Serena, infatti, dall’età di sei-sette anni, é stata oggetto di quanto le ha comunicato suo papà Richard, cioè che sarebbe diventata dapprima l’avversaria di sua sorella Venus e che avrebbe finito addirittura per superarla.
Tutto ciò noi scribi avevamo attribuito ad una sorta di regista teatrale, mentre sarebbe stato da attribuire ad un complesso di Edipo Tennista. Ed ecco che, dopo l’abbandono del padre, attratto sessualmente da una nuova figliola, Serena sembrava averne trovato un sostituto nell’allenatore francese Patrick Mouratoglou. Figura paterna indispensabile, sino a spingerla, e questo ha il suo rilievo, a cambiar addirittura casa, stabilirsi a Parigi, per rendere geofisica l’identificazione. Era sulla strada, Serena, della totale realizzazione di quello che le era stato rivelato come il suo destino. Una sconfitta, la meno accettabile fra tutte, con una sorta di qualunque passante come Robertina Vinci, l’ha fatta piombare a dubitare di se stessa (…)