Alzi la mano chi non aveva vaticinato un futuro radioso dopo quel magico torneo di Wimbledon 2012. Per il secondo anno consecutivo Càmila Giorgi aveva passato le qualificazioni e battuto una dopo l’altra Pennetta, Tatashvili e Petrova prima di arrendersi alla migliore Radwanska di sempre, che arriverà in finale contro Serena. Càmila non aveva ancora compiuto ventun anni. Ora di anni ne ha quasi 24 e per quanto sia ormai stabile attorno alla trentesima posizione le prestazioni sempre più altalenanti della tennista marchigiana preoccupano.
Càmila poi, sembra aver decisamente rallentato la sua crescita ed è inutile sottolineare come anche i successi di Errani, Pennetta e Vinci abbiano contribuito ad appannare l’immagine di una ragazza che sembra attraversare un momento poco felice.
L’immagine dell’altalena torna non appena si osserva qualche dato. Un solo torneo vinto in carriera, quest’anno a ‘s-Hertogenbosh, e tre finali perse. Negli scontri diretti contro le prime dieci del mondo il bilancio è di 7 vinte e 11 perse; una vittoria contro Sharapova, due contro Muguruza, una contro Aga Radwanska, 3 contro Flavia Pennetta. Ma anche quando perde Camila non viene quasi mai travolta e le sconfitte sono state sovente onorevoli.
È andando avanti che la cosa si fa curiosa. Contro le giocatrici che vanno dall’undicesima alla cinquantesima posizione infatti il suo record rimane negativo, 26 vittorie contro trentacinque sconfitte. Ora, tralasciando Venus che occupa la quattordicesima posizione e contro la quale ha perso sul filo agli ultimi AO, le altre avversarie dovrebbero essere ampiamente a portata di racchetta di Giorgi che invece ha saldi negativi contro molte di loro. È 0-2 con Kuznetsova e Strycova (33 e 34 WTA), 1-3 contro Pironkova (48). Contro Brengle (37) e Cornet (44) è 2-2.
Ma il modo col quale perde è spesso sconcertante. Spesso infatti Càmila parte bene, comanda gioco e punteggio e poi, improvvisamente, la luce si spegne. Doppi falli, dritti e rovesci lontani dalle righe o sprofondati in rete, scelte tattiche misteriose, sconfitta. È accaduto varie volte che fosse avanti di un set e un break (a volte anche due) e… partita persa. E anche con avversarie in gran forma, ultimo esempio Timea Bacsinszky a Pechino.
Si potrebbero trovare molte spiegazioni ai progressi altalenanti di Càmila, c’è chi si accanisce contro la figura del padre ma ci sono esempi ben peggiori e che hanno fatto danni irreparabili al talento dei figli, ricordate Damir Dokic? Certo papà Sergio non fa molto per allontanare le antipatie, ma perché, Richard Williams era simpatico? Il problema non può esaurirsi lì anche se forse un riferimento tecnico al di fuori della famiglia potrebbe stimolare una qualche altra forma di crescita. Ci si sente certo più liberi nel confrontarsi con un professionista che col proprio padre, forse anche più liberi di dire dei no, di prendersi appieno la responsabilità delle proprie azioni. In definitiva di crescere, appunto.
C’è poi un fatto tecnico indiscutibile che riguarda però non solo Giorgi ma l’evoluzione stessa del gioco.
La storia è nota. Nuovi materiali, nuove racchette, campi duri ma meno veloci che in passato (anche l’erba di Wimbledon è diventata regolare in modo imbarazzante) hanno favorito l’adozione di uno stile di gioco sempre più specializzato, fondato su un paio di colpi e sulla potenza. Sarebbe troppo lungo ripercorrere il tutto, quindi diamolo per scontato. Il risultato è un tennis dove l’abilità di tocco, di piazzare la palla, l’importanza di saper giocare tutti i colpi o di padroneggiare gli effetti è in secondo piano rispetto alla capacità di “tirare di là dei frigoriferi” come si dice in gergo. Tutto questo pensiero tecnico-strategico è andato in gran parte perso nel tennis odierno, sacrificato sull’altare della velocità di palla e orientato ad imporre il proprio gioco chiunque ci sia al di là della rete.
C’è qualcuno che ancora insegna l’importanza della preparazione di un punto? O l’utilità di un lob in top-spin o, ancora, il fatto che un errore dell’avversario ha lo stesso valore di un vincente? Speriamo, ma una parte del problema di Càmila deriva anche da questa evoluzione ventennale del gioco. È super allenata, tira bene dritto e rovescio piatti ma poi? Il servizio è buono ma e sempre un’incognita e gli altri colpi dove sono? Non è un caso che sovente i migliori incontri di Càmila siano proprio contro picchiatrici come lei, con poche soluzioni tecnico-tattiche come lei e che alla fine prevalgono per motivi prettamente fisici. Ricordate che lei è alta 1,68. Venus è 1,85, Kvitova 1,82 e Serena pesa il doppio.
Certo il 2013 è stata un’annata sfortunata, condizionata da un infortunio alla spalla che per un tennista è particolarmente difficile recuperare ma questo potrebbe essere un altro punto interessante. Quanto servono i massacranti allenamenti atletici per uno sport particolare come il tennis?
Panatta la paragonò ad Agassi vedendola ragazzina e allora riprendiamo ciò che è scritto al proposito in “Open”. André racconta che fino a quando non incontrò Gil Reyes, il preparatore che lo accompagnerà per tutta la carriera, anche lui si sottoponeva a sfiancanti maratone nel deserto senza che il suo gioco ne traesse nessun beneficio. Poi però con Reyes iniziò a lavorare specificamente sulle necessità atletiche del tennis, scatti e non lunghe corse, elasticità muscolare e non potenza. Il Djokovic post 2010 è un altro esempio di questo concetto.
Concludiamo questo breve inside out nel Mondo Giorgi con una provocazione.
E se Càmila non fosse così forte come tutti abbiamo voluto credere? Guardiamo la cosa da fuori per quanto possibile e concentriamoci su alcuni fatti. Càmila è stata fin dal suo apparire un personaggio fortemente mediatico. Giovane, bionda, carina, decisa e coraggiosa con un gioco run and gun che esaltava la folla. I completini disegnati dalla madre, il padre-allenatore, uno sguardo in campo che sembrava quello della tigre. Insomma un phisique du role perfetto in un mondo dove l’immagine, per quanto discutibile (vero Kyrgios?) è tutto. Questi fatti hanno certamente contribuito ad accendere i riflettori su di lei fin dal principio e crescere così è più difficile. Ad altre è stato possibile progredire in forza e convinzione più gradualmente, senza il continuo confronto con aspettative schiaccianti. Considerate anche la recente crisi di risultati di Genie Bouchard, un’altra che vuole imporre il big game senza forse possederne i necessari requisiti. Molti hanno subito visto in lei la campionessa, la nostra Chris Evert o Tracy Austin, ma forse la realtà è un’altra, forse Càmila va solo lasciata in pace. Senza tramutare ogni vittoria in un trionfo e ogni sconfitta in un dramma potrà trovare l’equilibrio mentale ma anche tecnico per trarre il massimo dalle sue potenzialità senza traguardi prefissati. E i conti si faranno alla fine. In questa prospettiva il futuro potrà essere roseo.
Tutte queste spiegazioni saranno anche valide ma continuano a non risolvere il “mistero”: come mai Càmila crolla così spesso sul più bello? Noi ci limitiamo a sperare che non si abbatta. In fondo persino Tilden è diventato “Big Bill” a ventisette anni e solo perché ha avuto la forza di guardarsi dentro con onestà, lavorare e migliorarsi.