J. McPhee, Tennis, a cura di Matteo Codignola, Adelphi Editore 2013.
Il primo pensiero scovando in libreria “Tennis” di John McPhee è stato rivolto al titolo che mi è parso banale e scontato. In realtà nel girare l’ultima pagina mi sono resa conto che è l’unico titolo possibile perché nei due racconti c’è narrato, descritto, amato, venerato il Tennis a 360 gradi.
Il libro traduce due lunghi articoli originariamente pubbicate in due saggi distinti, “Level of Game”e “Twynam of Wimbledon” che fa parte della raccolta “A roomful of hovings and other profiles”. Il primo, più corposo, racconta l’incontro in semifinale tra Arthur Ashe e Clark Graebner a Forest Hills nel 1968. Il secondo ci propone l’indimenticabile ritratto di Rober Twynam, giardiniere capo di Wimbledon. Le prime 148 pagine, usando l’espediente dell’incontro tra il primo campione di colore della storia e un giocatore bianco e conservatore, esplorano non solo ciò che passa nella mente dei due nella lunga agonia di un match di tennis ma sottolineano anche gli ambienti opposti nei quali i protagonisti sono cresciuti. In questo modo l’autore offre uno spaccato degli Stati Uniti d’America degli anni 50/60, ancora profondamente razzisti.
Arthur Ashe con l’intelligenza e l’ironia che l’ha caratterizzato descrive bene il divario tra le razze, così come viene riportato a pagina 71: “Come si fa a pretendere che un ragazzino nero diventi un buon cristiano? Non è mica facile. Appena varca la soglia di una chiesa e si ritrova davanti quel Cristo biondo, con gli occhi azzurri, come minimo gli viene qualche dubbio”.
McPhee descrive dettagliatamente molti scambi del match arricchendoli con i pensieri che affollano la mente dei protagonisti fino a portare il lettore a convincersi di essere sulle tribune ad assistere a quella partita del lontano 68, ma proprio quando ci siamo ormai accomodati su una poltroncina di Forest Hills, accanto alla moglie di Graebner, veniamo sbalzati nell’infanzia di Arthur o nell’adolescenza di Clark. L’autore non poteva scegliere due americani più diversi non solo per il colore della pelle, ma soprattutto per estrazione, ideali, sogni. Eppure proprio a questo punto quando è evidente la distanza apparentemente incolmabile che separa i due, a questo punto entra in gioco la magia dello sport e del tennis in particolare. L’incontro sta per terminare e appare evidente che a spuntarla sarà il grande Ashe e allora l’autore ci fa fare un salto avanti nel tempo. Ventisei ore dopo Ashe è al quinto set della finale contro un olandese, Tom Okker, e Graebner, con altri due compagni di Davis, è in tribuna a tifare per Arthur. A sostenerlo. A urlargli consigli. E in una sola descrizione John McPhee riassume tutto ciò di cui lo sport è capace: “Quando Ashe nel quinto gioco strapperà il servizio a Okker guarderà il suo gruppo di Davis stringendo il pugno, e dopo l’ultimo punto si volterà, li indicherà con l’impugnatura della racchetta, e si inchinerà, come a dire che la sua vittoria ai primi Open degli Stati Uniti è anche loro”.
Le distanze incolmabili descritte per 146 lunghe pagine su un campo da tennis svaniscono per incanto. Il potere dello sport.
La seconda parte del libro invece è interamente dedicata a colui che per oltre 40 anni ha avuto il compito di vegliare sull’erba dei campi più famosi del mondo. Il sacerdote del tempio del tennis, ovvero il giardiniere capo di Wimbledon. Robert Twynam ci porta nel cuore dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club proponendoci un punto di vista su torneo e giocatori assolutamente alternativo. “Twynam non distingue tra giocatori di tocco o di potenza, ma tra strusci, pattini e zappe” ossia egli guarda ciò che i piedi dei tennisti producono sulla sua amata erba. Robert vive con la famiglia all’interno del Club e con quei prati non ha solamente un puro rapporto professionale ma si prende cura di loro per un intero anno come fossero delle figlie da presentare perfette al ballo delle debuttanti. Egli svela in questa intervista riportata da McPhee i trucchi e i segreti che si nascondono dietro al lavoro che porta l’erba di Wimbledon a essere la migliore possibile per il gioco del tennis. Con orgoglio a pagina 197 dichiara: “L’erba che viene su è vera e, come cresce, la tagliamo. Qui non c’è niente da guardare. Qui si gioca il campionato del mondo”.
Queste parole unite alla passione e alla dedizione del giardiniere capo bastano a chiarire il motivo per cui ogni bambino che prende tra le mani una racchetta sogna solo un campo su cui giocare un giorno: il Centrale di Wimbledon. Il Centrale di Twynam.
Chiara Gheza