La finale è Venus Williams contro Pliskova, giocatrici così simili nel fisico, nei colpi e nella tattica da poter essere considerate una la potenziale erede dell’altra. In palio anche il rientro in top ten da lunedì prossimo. Sarà una gara a chi tira più forte e anche se si dovesse andare al terzo non avremo probabilmente un match lungo, considerando il fatto che entrambe mirano a chiudere lo scambio in tre-quattro colpi. Non esistono precedenti, Venus ha dalla sua l’esperienza e maggiore abitudine e regolarità a certi ritmi ma la ceca nei momenti di vena può tutto. Non resta che accomodarsi in poltrona e sperare in una finale degna di un torneo che non sempre lo è stato, come hanno abbondantemente mostrato le due semifinali senza storia appena giocate.
In attesa della finale proviamo a stilare un primo bilancio di quello che con tutta probabilità sarà un appuntamento fisso negli anni a venire. Zhuhai ha sostituito quest’anno in calendario il Tournament of Champions, che si è disputato, dal 2009 al 2014, prima a Bali e poi a Sofia. Si tratta di una specie di Masters B comprendente in linea teorica le undici migliori giocatrici escluse dalle Finals di Singapore più una wild card, andata alla cinese Siasai Zheng . In linea teorica, perché già quest’anno si è andati ben oltre la posizione n. 19, causa i numerosi forfait che hanno esteso la partecipazione fino alla russa Svetlana Kuznetsova, attualmente n° 26 WTA.
I dubbi sul reale valore di questo nuovo appuntamento rimangono quando siamo giunti al termine della prima edizione e possiamo a buona ragione dire che di spettacolo se ne è visto ben poco. Delle quattordici partite fin’ora giocate se ne possono salvare una manciata – Jankovic/Errani, Williams/Keys, Pliskova/Jankovic e Svitolina/Suarez-Navarro – , il resto è stato un pianto o quasi. Wozniacki si è ritirata, Andrea Petkovic quasi, il match fra Vinci e Schmiedlova è sembrata una farsa e gli altri erano ininfluenti ai fini della qualificazione.
I motivi di tale pochezza sono abbastanza evidenti. In primo luogo siamo a fine stagione, le atlete sono stanche nel fisico e nella mente e la ricchezza del montepremi non può bastare a garantire uno spettacolo adeguato a chi paga il biglietto e avrebbe quindi diritto quantomeno a godersi degli incontri lottati.
Aggiungiamo a questo un dato motivazionale. Aggiudicarsi il piccolo Masters non può essere troppo stimolante per chi magari si è giocato fino all’ultimo l’accesso a quello vero per poi alla fine trovarsi in una sorta di finale di consolazione. Si tratta di professioniste, è vero, ma sono comunque donne al termine di una stagione massacranti con davanti il miraggio di un agognato stop. Come dar loro torto?
Poi la formula. Si è detto molto sul fatto che anche nel Masters “vero” si possono avere incontri inutili o “pilotati” ma in quel caso i gironi sono solo due mentre a Zhuhai le dodici partecipanti erano sparpagliate in ben quattro gruppi con sole tre giocatrici (formula sperimentata nella prima edizione del Tournament of Champions nel 2009 e, forse non a caso, non più replicata), col risultato ovvio di rendere molti incontri noiosi per chi guarda e fastidiosi per chi gioca.
In ultimo la sede. Il tennis è uno sport globale da anni ormai e oggi abbiamo tornei importanti in tutto il mondo e non più solo in Europa, Stati Uniti o Australia, le culle del gioco. Non è da oggi che sorgono perplessità sui tornei asiatici. I montepremi sono ricchissimi, gli impianti splendidi ma il pubblico spesso lascia a desiderare. Non è raro vedere tribune piene solo a metà, con spettatori che sono certo correttissimi ma evidentemente poco competenti e partecipi di ciò che accade sul campo, e questo influisce in qualche modo anche sui protagonisti. Detto in altri termini, forse eccessivi ma che forse rendono l’idea, un giocatore qualunque tiene sicuramente di più a non fare brutta figura a Wimbledon, Parigi o Montecarlo che non in un torneo nuovo di zecca, a fine stagione e con già tutto deciso.
Ma è solo la prima edizione e quindi ci sarà sicuramente tempo e modo di aggiustare il tiro. Del resto “spes ultima dea”, la speranza non muore mai.