La Fed Cup è una strana manifestazione: a volte propone incontri scontati e senza pathos, disertati dalle migliori giocatrici; a volte invece è capace di offrire week-end di alto livello e intensità, come quello appena concluso a Praga per la finale 2015.
I temi sono stati tanti, anche perché una finale di Fed Cup inizia ben prima dei due giorni di partite vere e proprie, visto che decisioni determinanti si possono prendere già al momento delle convocazioni.
1. Le convocazioni dei capitani e i misteri russi
Petr Pala, capitano ceco, aveva due indirizzi possibili. Il primo: puntare su due singolariste più un doppio affiatato come Hlavackova-Hradecka. Il secondo: privilegiare le alternative in singolare, chiamando contemporaneamente Kvitova, Safarova e Pliskova, più una doppista abile ad integrarsi come Strycova.
Il capitano ha optato per quest’ultima soluzione, rinviando quindi al momento delle partite la scelta delle singolariste.
Da parte russa, Anastasia Myskina pareva invece aver preso il primo indirizzo: due posti per il singolare e due posti per il doppio (Vesnina e Makarova). L’idea sembrava essere quella di capitalizzare al massimo la presenza di Sharapova, contando sull’alta probabilità di ottenere due vittorie, e poi puntare su una coppia forte e affiatata (4 finali Slam, 2 vinte) per conquistare il punto decisivo in doppio, più accessibile rispetto agli altri singolari.
Ricordo che per ragioni diverse né Makarova né Vesnina potevano essere considerate credibili singolariste: Vesnina per il rendimento insufficiente nell’ultima stagione, Makarova per mancanza di partite alle spalle a causa di un infortunio (è ferma dagli US Open).
Sicura numero uno Sharapova, rimaneva da decidere la numero due: Pavlyuchenkova o Kuznetsova? Per approfondire le decisioni del capitano ho fatto qualche ricerca sui media russi e, se non ho capito male, sarebbe stata la stessa Kuznetsova a spiegare ai giornalisti (durante il torneo di Mosca) come si sono svolte le cose: Myskina ha telefonato alle diverse giocatrici chiedendo la loro disponibilità alla convocazione, ma Svetlana ha risposto negativamente, anticipando però che sarebbe andata a Praga per sostenere la squadra, come in effetti è accaduto.
Perché Kuznetsova ha rifiutato? Per non allungare la stagione agonistica di due settimane? Per problemi di convivenza con Sharapova? E allora perché invece che andare in vacanza si è presentata a fare da supporto alle compagne?
E poi: con il rifiuto di Kuznetsova una decisione era presa, ma rimaneva il forte dubbio sullo stato di forma di Makarova. Quali erano le sue reali condizioni? Andava comunque convocata o sarebbe stato meglio affidarsi a un’altra doppista? Tante domande senza risposte certe.
2. I forfait a sorpresa di Safarova e Makarova
Chiuse le convocazioni, il passo successivo era decidere chi schierare in campo.
In realtà la formazione ceca è stata decisa da Lucie Safarova; o meglio, da un dolore al polso che l’ha relegata in panchina. Con il senno di poi si può dire che il problema di Safarova non solo non ha compromesso il risultato, ma ha addirittura favorito il processo di integrazione e rafforzamento della squadra, che grazie all’apporto di Pliskova ha allargato la rosa delle giocatrici importanti, in grado di essere protagoniste nei turni decisivi.
Indubbiamente la Repubblica Ceca si è dimostrata più squadra, con una ricchezza di alternative superiore. Però se la formazione di casa ha vinto, forse è anche perché qualcosa non ha funzionato nella Russia. Arrivati al dunque, infatti, Makarova non è scesa in campo.
Nella conferenza stampa post match Myskina ha dichiarato che era previsto che Makarova giocasse, ma un problema negli ultimi allenamenti l’avrebbe obbligata a modificare i piani. Di fronte al forfait di Makarova e con una Pavlyuchenkova reduce da due sconfitte in singolare poteva il capitano fare qualcosa di differente? A quel punto alla Russia era rimasta una sola alternativa: un doppio Vesnina/Sharapova.
Sembrerebbe una ipotesi azzardatissima, anche perchè Maria non gioca il doppio da anni: l’ultima stagione affrontata per intero risale addirittura al 2004. Ma questa non era una partita normale: la situazione era straordinaria e in certe occasioni carattere e carisma (e talento) possono fare la differenza. E poi Sharapova nei primi anni di WTA in doppio non si era disimpegnata male, vincendo anche qualche torneo. Secondo me la scelta sarebbe stata meno folle di quanto a prima vista potrebbe sembrare.
Chissà se negli spogliatoi l’ipotesi di Sharapova doppista è stata presa in considerazione. Chissà se Myskina la riteneva possibile o no. Chissà se Maria ha dato o no la sua disponibilità. Altri interrogativi senza risposta sul week-end russo.
3. Seconda giornata: Sharapova e Strycova protagoniste
Dopo un sabato senza troppi sussulti, il confronto si è fatto molto interessante domenica. Alla fine si può dire che le vincitrici siano state due: Sharapova e Strycova, le uniche imbattute.
Sharapova ancora una volta ha dimostrato cosa significa essere una grande agonista, e quanto conti la forza mentale nel tennis. Dopo l’esordio senza particolari problemi contro una Pliskova bloccata dalla tensione, il meglio lo ha riservato per il confronto tra le numero uno.
Kvitova ha iniziato in modo molto efficace nello scambio, ma Sharapova ha avuto il merito di saper tenere duro nei momenti difficili, riuscendo ad allungare la partita il più possibile, e arrivando così nelle fasi decisive del secondo set contro un’avversaria che cominciava ad essere affaticata e meno incisiva.
Il ribaltamento del match non mi ha sorpreso molto, perché il primo set era stato piuttosto anomalo: Kvitova infatti lo aveva vinto nonostante un rendimento della prima di servizio del tutto insufficiente (appena il 35%). Se lo era aggiudicato, cioè, ottenendo molti punti nello scambio e perfino in difesa, e potendo permettersi di spingere molto la seconda di servizio grazie al vantaggio nel punteggio.
Ma con il protrarsi del gioco, era quasi inevitabile che il poco aiuto avuto dalla prima di servizio cominciasse a lasciare il segno sulla brillantezza di Petra, facendo affiorare la fatica e aumentare gli errori gratuiti. E infatti nel secondo set la partita si è prima fatta più equilibrata, poi Kvitova ha finito per perderla quando, cominciando a soffrire di più nel palleggio, ha esagerato con i rischi sulla seconda; i due doppi falli sul 4-4 secondo set hanno sancito il rovesciamento decisivo.
Ma questa è una sommaria chiave di lettura tecnica che da sola non potrebbe certo bastare per descrivere il confronto. Il match è stato infatti un continuo braccio di ferro mentale, in cui Sharapova ha semplicemente rifiutato l’idea stessa della sconfitta, anche nei momenti peggiori, mettendo in campo tutta la propria personalità per recuperare una situazione che si stava facendo difficilissima. Ricordo che Maria aveva di fronte un’avversaria che l’aveva battuta pochi giorni prima, che nella prima ora aveva esibito un gran tennis, che stava giocando su una delle sue superfici preferite, e che aveva il sostegno del pubblico di casa.
Qualsiasi giocatrice avrebbe finito per cedere. Qualsiasi giocatrice, appunto: ma Sharapova non è una giocatrice qualsiasi.
Dopo il successo di Sharapova, con la Russia in vantaggio Pliskova ha confermato una tendenza di questa stagione: rende di più quando deve affrontare il rischio di perdere piuttosto che la possibilità di vincere. Anche così si spiegano le controprestazioni da favorita negli Slam e le finali perse. Sotto di 1-2, la sua vittoria non avrebbe chiuso il confronto, e Karolina ha nuovamente dimostrato che se si tratta di risalire la china è una giocatrice su cui contare, con un potenziale superiore a quello di Pavlyuchenkova.
Sul due pari sono diventate determinanti le doppiste; Vesnina è calata alla distanza, mentre ha finito per spiccare Barbora Strycova.
Posso dirlo? Me lo aspettavo. Vincente da giovanissima (due Slam e primato nel ranking junior 2002), chi l’ha seguita sa quanto il suo carattere sia straordinariamente deciso e combattivo; la ricordo in tante occasioni riuscire a tenere vive partite in cui sul piano fisico-tecnico sarebbe stata soccombente, e tutto questo proprio grazie alla personalità estremamente forte.
Difficile dimenticarla ad esempio a Wimbledon 2012 contro Serena Williams, in un match in cui malgrado l’evidente gap invece che arrendersi aveva quasi cercato di “metterla in rissa”: con esultanze plateali, attacchi a rete sfrontati, e soluzioni estemporanee che puntavano a sorprendere Serena, portandola fuori dagli schemi di un match normale.
A volte capita di assistere a situazioni del genere, ma è ben difficile accada contro la numero uno del mondo. Non ricordo nessun’altra giocatrice di seconda fascia cercare di sovrastare Serena sul piano dell’agonismo e della sfrontatezza: Barbora ci aveva provato.
E anche l’altro giorno, nell’intervista post match ha apertamente affermato di non essere scesa in campo particolarmente emozionata, ma di essere sempre stata convinta di poter dare il suo apporto alla squadra.
4. Le delusioni di Pavlyuchenkova e Vesnina
Le singolariste ceche hanno perso un match a testa, ma si consolano con la vittoria del trofeo. Chi invece esce peggio da questa finale sono le compagne di Sharapova: Pavlyuchenkova e Vesnina hanno incassato solo sconfitte. Vesnina ha nuovamente vissuto l’esperienza di scendere in campo per una finale di Fed Cup contro le ceche sul 2-2, e ha di nuovo perso, come nel 2011. Allora giocava insieme a Maria Kirilenko, e venne sconfitta da Peschke e Hradecka.
Ma il peggio è capitato a Pavlyuchenkova, che ha subito un pesantissimo 3-0. È brutto chiudere la stagione in questo modo, dovendo aspettare il nuovo anno per provare a riscattarsi. Mi auguro che Anastasia non subisca troppo la botta, magari alleggerendo l’amarezza con i ricordi dell’eccezionale fine stagione nei tornei WTA indoor (vittoria a Linz, finale a Mosca) e con la consapevolezza che se la Russia è arrivata sino a Praga lo deve alla sua fondamentale prestazione in semifinale contro la Germania. Anche in quel caso aveva disputato tre partite, di cui però due vinte: una in singolare (contro Lisicki, dopo aver salvato un match point) e una nel doppio decisivo (sempre con Vesnina contro Lisicki e Petkovic).
5. E se fossimo stati noi i capitani?
Entrambi i capitani si sono trovati di fronte a problemi ed emergenze che hanno scombussolato i piani iniziali. Da parte ceca il problema al polso di Safarova ha probabilmente costretto Pala alla convocazione di una singolarista in più, scegliendo quindi una quarta giocatrice che potesse fare da doppista.
A quel punto il capitano ha optato per Barbora Strycova, ritenendola la più duttile sul piano tecnico e la più solida psicologicamente tra le soluzioni a sua disposizione. Ed è stato premiato. Avrebbe potuto chiamare qualcun’altra?
In questa tabella ecco dieci possibili nomi per quanto riguarda il doppio.
Nella prima versione le giocatrici sono ordinate per il rendimento nel 2015 (colonna in giallo), nella seconda le stesse giocatrici sono ordinate per il rendimento in carriera (sempre colonna in giallo):
E la Russia? Una volta incassato il rifiuto di Kuznetsova, forse Myskina avrebbe potuto pensare a una quarta giocatrice che sostituisse l’acciaccata Makarova per fare coppia con Vesnina al posto di Pavlyuchenkova.
Anche in questo caso presento dieci possibili nomi, ordinati secondo i risultati nel 2015 e in carriera.
Visto il palmarès di Kuznetsova in doppio (7 finali Slam, di cui 2 vinte, l’ultima nel 2012) forse si sarebbe potuto chiederle un piccolo sforzo, una disponibilità a giocare solo l’eventuale doppio decisivo, senza la fatica di due singolari sulle spalle. Tanto a Praga aveva deciso di andare comunque…
6. Quale futuro per la Fed Cup?
Il week-end di Fed Cup ha riacceso le discussioni sulla formula: è comprensibile, perché troppo forte è il contrasto tra certi turni avvilenti (disputati da tenniste di rincalzo, che non restituiscono assolutamente il valore di una nazione) con la finale appena vissuta, in cui la presenza di grandi giocatrici ha reso memorabile il confronto.
Si potrebbe risolvere il problema? Le ipotesi sono tante, ma per quanto mi riguarda sono piuttosto pessimista.
Assegnare punti validi per il ranking, come già avviene per i maschi con la Coppa Davis; tornare alla manifestazione concentrata in un’unica sede, come accaduto in passato; studiare differenti date o cadenze biennali per renderle più compatibili con i programmi delle più forti: sono alcune delle ipotesi percorribili, ma che in anni recenti si sono dimostrate impraticabili per la mancanza di collaborazione tra l’ITF (che gestisce la Fed Cup) e la WTA. Ricordo che la WTA per alcune stagioni ha addirittura organizzato il “masterino” nelle stesse date della finale di Fed Cup: una decisione che sfiorava il boicottaggio, visto che rendeva più complicata la risposta alla convocazione per alcune giocatrici.
Sono convinto che se non muteranno i rapporti tra ITF e WTA non si potranno vedere sostanziali novità. Ma è anche vero che questo è stato un periodo di cambi al vertice delle organizzazioni (Haggerty al posto di Ricci Bitti all’ITF, Simon al posto di Allaster alla WTA), per cui rimane la speranza che i nuovi manager affrontino la questione con spirito più costruttivo.
In caso contrario non ci resterà che accontentarci dei turni fortunati: quelli in cui, magari sotto la spinta degli obblighi per partecipare alle Olimpiadi, le grandi giocatrici decideranno di accettare le convocazioni e di misurarsi una con l’altra.