Questo Djokovic non lo ferma più nessuno. E non si sa per quanto. Il modo in cui ha dominato tutto l’anno, fatta eccezione per quella finale del Roland Garros in cui Stan Wawrinka gli ha fatto vedere i sorci verdi, fa pensare che tutti i record dei grandi del tennis, di quelli che nell’ultimo ventennio sono stati presi in considerazione come GOAT, greatest of all time, siano in pericolo.
Non voglio parlarmi addosso, non è mai bello, ma lo avevo scritto già ai primi di febbraio quando Novak Djokovic aveva vinto in modo assai convincente il suo quinto Australian Open.
Però nemmeno io mi aspettavo che Novak potesse avere nel 2015 un’annata addirittura migliore di quella del 2011.
Invece, ed è d’accordo anche lui, questa lo è stata. Come abbiamo già scritto in diversi questa escalation inarrestabile apparentemente è stata un po’ favorita anche dal calo di Nadal, particolarmente giù per tutta la fase centrale dell’anno, da un Murray cui sembra mancare qualcosa da quando si è operato alla schiena per essere competitivo alla pari con DjokerNole, e da un Federer che gli ha tenuto testa anche più del previsto se si considera il suo certificato anagrafico al punto da batterlo 3 volte su 8, costringendolo al quarto set sia nella finale di Wimbledon sia in quella dell’US Open.
Di più onestamente allo svizzero non si poteva chiedere, anche se magari qualcuno – dopo averlo visto vincere nel round robin contro Novak, – si era illuso che potesse ripetersi su questa superficie che è sempre stata una delle sue predilette. Qui alla 02 Arena aveva vinto due World ATP Finals (2010-2011), altre quattro ne aveva vinte in altri teatri.
Purtroppo la finale è stata abbastanza deludente, all’inizio molto più errori che vincenti (31 errori e 19 vincenti per Federer, 14 errori e 13 vincenti Djokovic alla fine del match a testimonianza di una qualità non trascendentale), poi un po’ meglio, ma se anche Roger ha fatto qualche punto da spellarsi le mani, alla fine il più solido, il più concreto era quasi sempre il tennista di Belgrado.
Una finale che non riserva incertezze e suspence non passa alla storia. Forse per passarci doveva vincerla Roger.
Adesso i due sono 22 a 22 nei confronti diretti ma è inevitabile che con il passare del tempo e la frequenza con la quale i migliori si incontrano Djokovic, sei anni più giovane, finirà per avere un bilancio sempre più in attivo. Stessa cosa accadrà con Nadal, salvo un’improbabile vera grande resurrezione dell’orgoglioso Rafa: oggi sono 22 pari. Ma a fine 2016 potrebbero essere 28 a 23 o anche peggio per il maiorchino.
E allora come si farà a sostenere che il più grande di tutti i tempi – intendo Roger Federer per tanti fino ad oggi e per le stesse dichiarazioni non cortigiane di Nadal e Djokovic fino a pochi mesi fa – sia stato un giocatore che ha chiuso con un bilancio negativo con due tennisti che lo hanno incrociato nei suoi stessi anni?
Un conto è l’eleganza, la raffinatezza dei gesti, la bellezza quasi soprannaturale del suo tennis, ma alla fine contano di più i tornei vinti, gli albi d’oro, i record per stabilire la grandezza di un campione.
Ora per Djokovic è lanciata la corsa sulle ruote di Sampras e Nadal, fermi a quota 14 – e chissà se Rafa riuscirà a smuoversi di lì se a Novak regge la salute e lo straordinario fisico – e naturalmente quella sulle ruote di Federer è ben più difficile perché tutti sappiamo quante circostanze favorevoli debbano essere concomitanti perché si possa vincere uno Slam, figurarsi ancora sette o otto, quante cioè servirebbero a Novak per eguagliare o superare Federer.
Non lo supererà mai in eleganza, lo sa anche lui. Il rovescio a due mani non sarà mai bello come quello ad uno, ma se a Federer è toccato misurarsi con avversari del calibro del Nadal anni 2007-2013 e del Djokovic 2008-2015, la sensazione è che a Djokovic manchi un avversario all’altezza in grado di impensierirlo.
Forse il più talentuoso del suoi “inseguitori”, se si toglie il troppo altalenante ed imprevedibile Wawrinka, è il giapponese Kei Nishikori, che però oltre a non poter contare su un servizio dirompente ha anche un fisico – come struttura, resistenza, atleticità – non paragonabile a quella di Djokovic.
Marin Cilic ha brillato un solo torneo, neppure una sola estate, Juan Martin Del Potro che poteva essere considerato un rivale serio ed agguerrito non sa nemmeno se riuscirà a tornare a giocare come un tempo per via del polso già frantumatosi un paio di volte.
Onestamente fra i giovanissimi non vedo proprio chi possa salire su. Il bulgaro Dimitrov si fa spesso distrarre dalle belle donne e non solo. Il croato Coric mi sembra troppo difensivista, c’è l’australiano Kyrgios che anche se è un campione di maleducazione ha però la personalità per venir su tra i top-ten… ma un conto arrivare lassù, un altro è avere la costanza di un Djokovic a quei livelli straordinari del serbo torneo dopo torneo: 15 finali consecutive, 31 top-ten battuti nell’anno, 82 vittorie a fronte di sole sei sconfitte.
A parte Kyrgios, che mi pare più pronto del connazionale Kokkinakis che non è male, vedo in prospettiva bene Rublev e Zverev, ma non credo che due anni basteranno per vederli affermarsi con la consistenza che deve pretendere un vero rivale di Djokovic.
In questo vuoto di talenti purtroppo non vedo italiani in grado di inserirsi. Quinzi è rimasto per ora un incompiuto, Donati è ancora fragilino. E poi parliamo di categorie. Ce ne sono ancora due o tre di distacco con il miglior Djokovic, ad essere gentili.
Però di più non abbiamo. Fognini potrebbe fare il salto di qualità? Mah, se non avesse la stessa età di Djokovic e Murray si potrebbe sperare. Mi basterebbe che salisse costantemente fra i primi 15 del mondo – non per tre o quattro settimane – , ma certo non sarà mai in grado di competere con un Djokovic per 12 mesi l’anno.
Sampras aveva vinto 5 Masters come Lendl, Nastase si era fermato a 4. Djokovic ha già raggiunto Sampras e Lendl. Sono quasi certo che li supererà. D’ora in avanti dovremo contare soltanto i suoi record. E non sarà smpre divertente. Perché il grande tennis ha bisogno di grandi rivalità e grandi alternative.