Ecco una domanda da quiz – qual è stata l’unica squadra ad aver preso parte alla Coppa Davis ogni anno?
La maggior parte risponderebbe gli Stati Uniti; dopotutto Dwight Davis fu campione nazionale quando fondò la competizione a Boston, e la Coppa Davis è rimasta proprietà della US Tennis Association fino al 1979, anno in cui passò alla International Tennis Federation.
Ma chiunque avesse risposto USA avrebbe sbagliato. L’unica nazione ad aver giocato ogni anno è stata la Gran Bretagna, sebbene fino al 1912 i britannici erano conosciuti come British Isles (un termine coniato ai tempi in cui l’Irlanda era governata da Londra). Dopo aver perso contro i britannici nel Challenge Round del 1903, gli USA non furono in grado di affrontare il viaggio a Wimbledon nel 1904. E così gli inglesi chiesero chi volesse prendere il posto degli statunitensi, e ricevette risposte interessate da parte di Francia, Belgio e Austria. Alla fine anche gli austriaci non potettero affrontare il viaggio e così il Belgio e la Francia giocarono la loro prima partita di Davis Cup in terra britannica per contendersi la finale contro la Gran Bretagna, diritto poi conquistato dal Belgio che venne pesantemente sconfitto per 5-0.
Vale la pena ricordare tutto questo, perché mentre i britannici hanno resistito ad una nota attesa di 76 anni per abbracciare il primo campione Slam dal 1936, e ad un’attesa di 77 anni per il loro primo campione a Wimbledon dal 1936, e adesso aspettano da 79 anni un titolo in Coppa Davis (anche in questo caso parliamo del 1936), i belgi hanno atteso 111 anni per provare a vendicare la batosta subita dai fratelli Doherty e da Frank Riseley suoi vecchi campi di Wimbledon in Worple Road.
Ed oggi sia la Coppa Davis che il mondo sono dei posti diversi. L’inclusione di nuove nazioni già dalle primissime fasi della competizione evidenziano una veloce crescita, passando da un affair a due fra Anglo-Americani ad una competizione internazionale a squadre. E quella galante convivialità che caratterizzava quei primi anni è scomparsa già da tempo; la maggior parte di questa evaporò negli anni 30, quando i britannici vissero la loro ultima epoca d’oro nel tennis.
La figura principale era quella di Fred Perry, un uomo affabile, ironico e sicuro, proveniente dalla working class del nord dell’Inghilterra, il cui padre fu membro del Parlamento per il partito laburista. Perry era appena tollerato da gran parte delle figure dell’establishment tennistica britannica, quasi infastidita dalla sua determinazione per la vittoria. Prima della sua morte, nel 1995, Perry fu felice di raccontare la storia di come ascoltò per caso un ufficiale dell’All England Club dire a Jack Crawford, che Perry aveva battuto nel 1933 nella finale di Wimbledon, che aveva vinto l’uomo sbagliato. Crawford poteva anche essere un aussie, ma aveva giocato seguendo l’etichetta così come ci si aspettava, mentre l’agonismo di Perry rafforzava il fatto che fosse andato in una scuola statale, e non in una scuola privata.
Quando i critici di oggi affermano che il team britannico è dipendente da Andy Murray, sottovalutano il fatto che la Gran Bretagna degli anni ’30 era pesantemente dipendente da Perry, a dispetto della presenza di un secondo abile singolarista come Bunny Austin. Quando Perry divenne professionista alla fine del 1936, l’era d’oro della Gran Bretagna si concluse, allo stesso modo in cui potrebbe finire quando Murray appenderà la racchetta al chiodo fra qualche anno.
Se i britannici possono essere etichettati come un team con un solo uomo, anche il Belgio può esserlo. David Goffin ha vestito i panni del Murray per tutto l’anno, e il secondo tennista più alto in classifica, Steve Darcis al n. 85, è solo 14 posizioni davanti al secondo tennista britannico Kyle Edmund. È per questo che la vittoria di Murray su Goffin per 6-1, 6-0 al Masters di Parigi di due settimane fa è stata un tale shock per il Belgio. Goffin deve necessariamente vincere la sua partita in singolare, ma con delle così basse opportunità di poter battere Murray, potrebbe anche disputare il doppio che il Belgio dovrebbe necessariamente vincere.
A meno che Murray non soffra per qualche infortunio o per l’adattamento dal cemento di Londra alla terra di Gent, è difficile immaginare qualcosa di diverso dal decimo titolo per la Gran Bretagna, e la fine dell’attesa durata 79 anni. Murray potrebbe quindi resettare l’orologio della Gran Bretagna sotto ogni aspetto, avendo vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi, Wimbledon, lo US Open e quindi la Coppa Davis. Il suo paese non si aspetta nulla di diverso da lui, e tratterebbe il resto delle vittorie nella sua carriera come dei bonus.
La stessa Coppa Davis potrebbe cambiare. L’attuale format del World Group è stato introdotto nel 1981 per ridurre l’impegno dei top players nella competizione alle sole quattro settimane all’anno rispetto alla precedenti sei. Questo ha donato nuova vita alla competizione a squadre, ma durante i suoi 16 anni di regno come presidente della ITF, Francesco Ricci Bitti ha sempre respinto il suggerimento che i tennisti fossero un tantino apatici nei confronti della Coppa Davis. E questo è in qualche modo ingiusto, molti tennisti amano l’onore di poter giocare per il proprio paese, ed uno studio commissionato dalla stessa ITF nel 2009 ha rilevato che la Coppa Davis genera un impatto economico annuale di 184 milioni di dollari in tutto il mondo. Ma con tanti tennisti che scelgono liberamente quando giocare, si è percepito tale problema. Adesso Ricci Bitti ha fatto spazio all’idea di Dave Haggerty, un americano che non ha mai fatto segreto della sua passione per i ‘final four’, un format dove le quattro semifinaliste possano incontrarsi in un’unica città e giocare semifinali e finale in una sola settimana. Haggerty sta sollevando il giusto numero di polemiche riguardo all’importanza di dover rispettare la magia degli incontri in casa e l’importanza dei primi turni per la crescita del tennis in numero sempre maggiore di paesi, ma sta chiaramente spingendo verso un cambiamento della formula di Coppa Davis, che rappresenta il gioiello alla corona dell’ITF. Potrebbe ad ogni modo trovare difficile il passaggio attraverso i molteplici sistemi legislativi della ITF, e tuttavia i primissimi cambiamenti potrebbero vedere luce non prima del 2018, ma i venti del cambiamento sembrerebbero soffiare sopra la 115esima edizione della competizione fondata da Dwight Davis.
Ciò significa che questa potrebbe essere una delle ultime finale che una squadra potrebbe disputare in casa. E con i britannici distanti solo un paio d’ore in treno o in nave dal paese ospitante, la finale del 2015 ha tutta l’aria di essere un rarissimo derby locale.