Clerici G., (1974), 500 anni di tennis, Mondadori, 2004.
Per proseguire nel nostro viaggio, planiamo discretamente in Italia. Pietrangeli col suo elegantissimo (e non così tenero) rovescio “à la Lacoste” si imponeva due volte a Parigi, mentre il moro Beppino Merlo sperimentava, con l’abituale goffaggine dei primi, un nuovo fiammante rovescio eseguito, udite udite, con entrambe le mani. Qualche tentativo in tal senso fu fatto anche in passato, e probabilmente bocciato dai risultati prima che potesse divenire di dominio pubblico. Il nostro Beppino si costruì anche un colpo più che dignitoso, impugnando però con la destra a metà racchetta e la sinistra a mo’ di mano dominante, lui che però era destrimano. Ne venne fuori un rovescio impugnato come dovrebbe un mancino ma giocato sul lato sinistro, e di riflesso un – decisamente sgraziato – diritto con impugnatura a metà racchetta. Anche lui dimostrò qualche bega con Archimede, ma fu inconsapevole pioniere.
Ci vollero anni perché la novità fosse assorbita, quando sul circuito piombarono l’imperturbabile Borg e il vulcanico Connors. Sono i primi anni ’70, fresca era-open, le prime racchette metalliche già in circolo. In buona sostanza, i primi due grandi rovesci bimani portano le loro firme.
Connors fu in qualche modo influenzato dalla schietta scuola americana, smentendo chi sentenziava che la principale tendenza dei mancini fosse quella di giocare solo il backhand, di rovescio. Impugnatura molto chiusa, polso bloccato, braccia non completamente distese e tendenza a colpire con un istante di ritardo, quasi “incassando” l’inerzia del colpo avversario, prima di lasciar andare entrambe le braccia con fulminea violenza. Tanta l’affezione per la presa bimane che Jimbo, a volte, non l’abbandonava – se non all’ultimissimo istante – neanche per approcciare a rete in slice, quasi avesse paura di perdere il controllo della palla.
Se però ci fosse da scegliere il tennista che più d’ogni altro ha rivoluzionato il modo di concepire questo colpo, difficile fare un nome diverso da quello di Bjorn Borg. La sua tempra impassibile non fu dote di madre natura, come molti credono, ma frutto di anni di logorante esercizio volto all’autocontrollo. E fu proprio in quegli anni che teorizzò, discettò tra sé e sé, prima di esibirsi in pubblico con un rovescio totalmente innovativo. Il braccio destro carica come se dovesse colpire da solo, impugnando anche allo stesso modo, ma nascosta all’occhio la mano sinistra s’approssima al cuore della racchetta. Che scende verso il basso nel caricare, e poi sale a impattare la pallina impartendole anche una certa dose di rotazione, con il movimento secco di un colpo da hockey; la sinistra si stacca, e la destra conclude da sola il movimento portando la racchetta verso l’alto. Qualcuno lo definì un rovescio “a una mano e mezzo”, forse fotografando alla perfezione il gesto dello svedese.
Da quel momento in poi, l’evoluzione del rovescio seguì diverse strade. A perfezionare il rude gesto di Connors ci pensò un “dimenticato” della storia del tennis, “gattone” Mecir (soprannome, neanche a dirlo, partorito dall’autore della mia fonte prima). Più disinvolto e fluido nell’esecuzione, aumentò l’estensione del braccio a beneficio della ricerca della palla, colpita in anticipo e meglio disposta a raggiungere gli angoli del campo. La strada delle rotazioni battuta da Borg fu invece seguita da Guillermo Vilas, testardo – ma quasi sempre sconfitto – sfidante dello svedese. Sebbene con il gesto a una mano riuscì a tarare il suo solido braccio sinistro come uno strumento di precisione, atto a generare chirurgiche traiettorie ricche di topspin. A ben guardare un certo maiorchino, pare sia questione di avere un cognome di cinque lettere.
A salvaguardia delle coronarie dei nostalgici del rovescio a una mano si palesò anche Stefan Edberg, che non ebbe solo il portamento del cherubino e la sua apertura alare a rete, ma anche uno splendido rovescio tanto angelico nella preparazione quanto secco nell’esecuzione; un sincero grazie al suo maestro, che in atto veggente gli corresse la presa bimane adottata in adolescenza. La modifica era possibile, poiché la mano dominante impugnava allo stesso modo e il “bimanismo” più che un colpo a sé stante rappresentava – ancora – una facilitazione del gesto classico, con la sinistra (destra per i mancini come Connors) a dare solidità al colpo, più che a guidarne l’esecuzione.
Iniziò a divenire comune anche il cambio d’impugnatura, che rese finalmente più agevole dotarsi di un doppio rovescio, come Laver aveva teorizzato – e concretato – vent’anni prima: rimase la continentale per tagliare la pallina, mentre si scivolò verso una eastern per il rovescio coperto. Edberg fu ottimo spot di questa tecnica, più del legnoso – ma spesso infallibile – Ivan Lendl, che nato regolarista imparò con il tempo a guadagnare la rete, seppur con la cautela del caso. Il ceco fu anche tra i primi a esibirsi con regolarità nel diritto anomalo, che si pose come valida alternativa all’esecuzione del rovescio in alcune dinamiche di gioco.
Mats Wilander chiuse il cerchio adattando il cambio d’impugnatura alla presa bimane, così da lenire la difficoltà di coloro che si servivano anche della seconda mano nell’attaccare la rete. Divenne quindi abituale vedere tennisti che “staccano la mano” per eseguire un colpo tagliato, pur colpendo il rovescio in top con due. Va riconosciuto allo svedese il coraggio di una scelta che non aveva precedenti, certamente dettata dall’esigenza di ampliare i propri schemi offensivi.
Giunti agli anni ’90 fu la diffusione ormai capillare delle nuove racchette, più leggere e con ovali più grandi, a dare l’ultima e decisiva sterzata alla storia del rovescio. Non la “racchetta-spaghetti”, che fu bandita prima che potesse infarcire gli albi d’oro di parvenue, ma attrezzi le cui dimensioni avevano ormai doppiato quelle delle prime racchette di legno (con conseguente ampliamento dello sweetspot e aumento del controllo) e i cui nuovi materiali, transitando per qualche esemplare metallico, recitavano ormai le avveniristiche diciture di “fibra di carbonio” e “resine polimeriche”.
L’esecuzione a due mani, più compatta, più rapida, limitando il margine d’errore divenne particolarmente utile per rispondere ai servizi dei grandi battitori, le cui velocità avevano ormai raggiunto i 200 km/h. La quieta armonia dei vincitori di Wimbledon dediti al serve&volley fu infatti spezzata dall’irruzione di un giovane Andrè Agassi, che nel 1992 si presentò armato di un rovescio mai colpito prima con tale anticipo e disinnescò uno ad uno i servizi dei suoi avversari, da un incredulo Becker a un quasi tramontato McEnroe. Il trionfo del contrattacco aveva come marchio di fabbrica la risposta di rovescio, offensiva come e più di un servizio.
In controtendenza, però, la nemesi di Agassi praticava regolarmente il serve&volley e soprattutto impugnava il rovescio con una sola mano: Pete Sampras riportò in auge il gioco verticale del precedente ventennio, e per quanto il lato sinistro non fosse il punto di forza del suo tennis dimostrò quanto fosse ancora possibile vincere, addirittura dominare, anche senza il “comfort” della presa bimane.
Proseguiva nel frattempo il serrato dualismo tra la due tipologie di rovescio: Guga Kuerten incantò per la capacità di raggiungere, con l’ausilio della sola mano destra, angoli che sembravano ormai preclusi al clan dei “monomani”, il rovescio di Courier ricordava il famoso colpo di Borg che a tutto diede inizio.
Fu però il nuovo millennio a dare nuova linfa al rovescio, che aveva ormai assorbito tutti i cambiamenti degli anni precedenti e si apprestava a raggiungere la conformazione attuale. La prevalenza degli interpreti del gesto a due mani s’era fatta ormai netta, a discapito di una vecchia scuola a cui restavano gli antichi fasti da ricordare e pochi, ma ancora dignitosissimi, esemplari da conservare.
Safin fu genio incompiuto, potenziale tuttocampista, e comandava lo scambio con un fulmineo rovescio bimane: nonostante la ricerca di palla a volte pigra, l’esemplare azione di perno della gamba destra gli permise di brevettare e poi somministrare ai suoi incauti avversari traiettorie di difficile lettura. Roddick al contrario nacque campione monco, dal rovescio poco meno che passabile: la sua abnegazione gli permise di portare il colpo fino a livelli – quasi – accettabili, dimostrando come la meccanica del colpo a due mani offrisse maggiori possibilità di miglioramento. L’americano forse non fu facilitato dall’aver sviluppato un rovescio a due mani “aiutato”, sulle orme del colpo di Borg.
Prendiamo l’esempio di Nalbandian, uno tra i migliori rovesci bimani mai visti sul campo: quando in giornata risultava intrattabile, impossibile da leggere la variazione in lungolinea, esasperati gli angoli in cross, l’argentino “montava” sulla palla con la ferocia di un conquistadores in atto coloniale. Nalba è l’esempio classico di bimane “puro”, la vera sublimazione del gesto a due mani: la mano destra, impugnando continentale, lavora quasi esclusivamente da perno, mentre la mano sinistra impugna come se dovesse eseguire un diritto mancino e guida il colpo, conferendogli forza e direzione. Il colpo viene detto “sinistra-dominante” e rappresenta la vetta dell’evoluzione del rovescio a due mani.
Video-carrellata dei migliori rovesci di Nalbandian:
Prima di arrivare ai giorni nostri val la pena citare anche il caso di Davydenko, colui che tracciò la strada poi seguita da Soderling e Djokovic per battagliare con Nadal sulla sua diagonale preferita: ci riuscì grazie a un rovescio giocato con incredibile anticipo, tanto da proiettarsi in avanti dopo l’esecuzione, con il quale compensava una struttura fisica non sufficiente a sviluppare i potenti traccianti di Nalbandian.
Djokovic e Murray hanno stabilizzato l’esecuzione di Davydenko, portando l’anticipo di rovescio verso una comoda routine: questo permette loro di rubare costantemente una frazione di tempo all’avversario, specie in risposta, dove colpire davanti al corpo diventa prerogativa fondamentale per un rapido contrattacco. Il rovescio del serbo è probabilmente inimitabile per equilibrio e fluidità d’esecuzione: indurlo all’errore non è meno eroico che portare Kasparov oltre la 40esima mossa.
Nadal chiude il cerchio dei bimani contemporanei, e lo fa esasperando il lavoro della mano destra (la sinistra per Nole e Andy) che impugna semi-western: lo spagnolo perde qualcosa sull’anticipo, ma ha la possibilità di imprimere maggiore rotazione alla palla, quindi anche maggior controllo. Non è un caso che anche in questo suo nefasto 2015 il rovescio sia il colpo che continua a tradirlo di meno.
E cosa è rimasto per i nostalgici? Se può mancare la quantità, la qualità è assicurata dagli eleganti gesti di Gasquet e Federer. Il rovescio del francese è a tratti poetico, sempre un po’ barocco in quella sua meticolosa preparazione, comunque infarcito di topspin e in definitiva bello, addirittura bellissimo da vedere. Lo svizzero non può vantare nel rovescio la stessa solidità di Richard, ma non esiste una traiettoria o un’esecuzione che gli sia preclusa: si spazia dal quasi dimenticato approccio in back al colpo tagliato con finalità difensive, transitando per il composto fendere l’aria dell’esecuzione in top, dei giorni ballerina, dei giorni trainante.
Torniamo al titolo, per chiudere: il rovescio di Wawrinka è a tutti gli effetti un’arma. Qui mi sembra fuori luogo perdersi in disquisizioni tecniche, il mio consiglio è di chiudere gli occhi durante un match dell’elvetico e provare a riconoscere, dal suono, quale dei due colpi stia eseguendo. Inizialmente incontrerete difficoltà, e quando crederete di aver identificato un diritto.. avrete appena ascoltato l’esplosione di un rovescio.
Video comparativo dei rovesci di Gasquet, Federer e Wawrinka:
https://www.youtube.com/watch?v=B04TFS2MrWU