Tra gli anni della grande depressione tennistica e gli ultimi bagordi per l’Insalatiera, il popolo della Regina aveva sperato in Tim Henman. Andy Murray doveva ancora farsi le ossa e gli inventori del tennis, ansiosi di conquiste, tifavano per un oxfordiano che li entusiasmava solo una volta l’anno, quando Timbledon, come veniva soprannominato a Wimbledon, si issava fino alle semifinali del torneo di Church Road per essere inesorabilmente trafitto dal vincitore di turno. Henman si è issato fino al numero 4 del ranking ma oltre a non aver mai vinto sull’erba più famosa del mondo, non è neanche riuscito a risollevare le sorti della patria.
Cresciuto in una famiglia di sportivi, Henman è stato forse l’ultimo specialista del serve and volley a raggiungere risultati di un certo rilievo. In un periodo in cui c’erano Sampras e Rafter, ma cominciavano al tempo stesso a emergere i pallettari delle rotazioni e dello scambio lungo, Henman ha collezionato quattro semifinali a Wimbledon in cinque anni (1998, 1999, 2001, 2002); una semifinale al Roland Garros 2004 (perdendo dal mago Coria); e una agli US Open nello stesso anno, sconfitto da un inesorabile Roger Federer. La sua gioia sportiva più importante la ottenne forse nel 2003 quando vinse il prestigioso torneo di Parigi-Bercy, battendo atleti come Federer e Roddick, prima di infilare tre set a zero al romeno Pavel.
Chissà se quando il sobrio oxfordiano pensa ai tornei di Wimbledon, nei quali la pressione popolare era per lui ingestibile, l’amarezza si mischia alla rassegnazione. Nella semifinale del 1998 e del 1999 affrontò il futuro campione Sampras, perdendo in 4 set, quando su quel prato Pistol Pete giocava un tennis degno delle sfere celesti. L’americano era semplicemente il più forte ma la sconfitta bruciava lo stesso. Nel 2001 Henman si trovò a contrastare quella che sarebbe poi diventare la favola di Ivanisevic e mollò solo al quinto set, dopo varie interruzioni per pioggia. Piccola nota a margine: il campione mancino croato vinse quella prova dello Slam partendo da wild card, in un periodo in cui era sceso oltre la centesima posizione del ranking. L’anno successivo, Henman ci riprovò e fu Hewitt stavolta a sconfiggerlo ancora in semifinale e con un secco 3 a 0. Forse è quella la grande occasione sprecata, il rimpianto di una vita. L’australiano vincerà il torneo contro Nalbandian, in una delle finali più brutte della storia. Da due non erbivori non ci si poteva aspettare il 100% di serve and volley, ma vederli mentre si prendevano continuamente a pallate è stato uno strazio.
Alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, con il compagno Neil Broad, il britannico vinse l’argento. L’oro invece, adornò il petto della coppia australiana Todd Woodbridge e Mark Woodforde. Fino al 2007, anno del suo ritiro, vinse undici tornei in tutto. Chiuse la sua carriera con la nazionale nel medesimo anno, con lo spareggio di Davis contro la Croazia. La Gran Bretagna, composta anche dai fratelli Murray, si sbarazzò dei rivali 4-1. Con Andy, odierno eroe nazionale, si sono affrontati 4 volte e sempre nei primi turni. Lo scozzese guida il duello con tre vittorie e la sua unica sconfitta è coincisa con l’ultimo incontro fra i due: nel 2006 a Bangkok, l’oxfordiano si è imposto 6-4, 6-2.
Henman ha forse deluso le aspettative, anche se a sua discolpa si potrebbe dire che nel 90% dei casi ha giocato con tennisti più forti e più solidi emotivamente di lui. Tutt’altro che un tennista-guastafeste, il sobrio Tim è oggi commentatore di una nazione festante. Portata in alto da un bad boy rabbioso, colpitore da fondo e gran riposta. La negazione del suo tennis.
Francesco Cerminara