La vera rivelazione degli Australian Open è Stephane Robert, il francese che dalle qualificazioni è giunto fino agli ottavi in una magica cavalcata
“Game, set and match, Murray”. Il britannico grida, esulta e di rito si concede quei 5 minuti di riassetto in panchina. Applausi a cascata sulla Hisense Arena. Murray sorride, pensa che siano per lui. Poi si gira, e vede il suo avversario, Robert, che si inchina, ringrazia e ricambia l’affetto del pubblico. Un po’ si stupisce, poi però capisce che è giusto che sia così. Allora va a fare l’intervista rituale a bordo campo: non fa in tempo a lasciare qualche dichiarazione scontata post-partita che viene letteralmente sommerso dagli scrosci del pubblico. Robert stava facendo il giro dell’arena per gli autografi. Ciliegina sulla torta: i fischi di apprezzamento assordanti quando il francese va a togliersi la maglietta. Anche Murray l’aveva fatto in verità, ma forse non se n’erano accorti. Ma va bene così, Andy glielo concede. È il suo momento.
Senza dubbio, anche io mi sarei unito a quella folla impazzita per battere le mani ad un grandissimo Robert. E probabilmente anche voi. Perché Stephane Robert più che un tennista, rappresenta un ideale: è un po’ tutti noi, lucky losers della vita quotidiana (più losers che lucky verrebbe da sottolineare). Noi che lottiamo ogni giorno per la nostra chance, per i nostri 5 minuti magici (nel caso di Robert, una magica settimana intera ). Noi che di batoste ne prendiamo molte ma continuiamo ad andare avanti ad inseguire i nostri traguardi. Stephane Robert rappresenta chi, quando ha la chance inaspettata, è pronto a coglierla ed a sfruttarla al meglio. Chi sa accontentarsi delle piccole soddisfazioni, pur raccogliendone poche. La storia del francese è fatta di molti bassi e pochissimissimi alti. Divenuto professionista nel 2001 il suo ranking ATP è quasi sempre rimasto a 3 cifre, tranne un suo best ranking (61) targato 2010. La sua carriera non è mai decollata veramente. Nel suo palmares ci sono più partecipazioni a Challengers e Futures che vittorie nel circuito ATP. E pensare che dovette pure stare lontano dai campi per un’epatite. Credete che Robert abbia mollato? Quando gente del calibro di Edberg si ritirava (a 30 anni) lui iniziava l’ingresso nei tornei che contano, centrando una finale (a Johannesburg). Anzi, le motivazioni tutt’ora non gli mancano. Il suo gioco è la dimostrazione del suo modo di affrontare il tennis, il modo in cui dovremmo tutti noi affrontarlo: un divertimento. Variazioni,cambi di ritmo, soluzioni inusuali, discese a rete, imprevedibilità, tutto per ovviare ad una mancanza di potenza e di fisicità, ma ancora di più per gustarsi ogni match giocato, assaporarlo come fosse l’ultimo.
Ma la fortuna premia chi la cerca, prima o poi. A questi Australian Open il fato gli ha ridato quello che gli aveva sottratto in passato. Una piccola chance. Un ritiro di una testa di serie, Kohlschreiber, e lui che era stato estromesso dal tabellone principale alle qualificazioni, ora rientrava magicamente. Non solo fortuna, però. Robert ci credeva e si preparava da quando aveva visto Gilles Simon in condizioni malconce al ristorante. Il connazionale alla fine non aveva ceduto ma ci aveva pensato il buon tedesco Philip a dargli una mano. Il tabellone principale, significava il diritto ad un prize money di 27.600 dollari, somma ghiotta visto i suoi miseri guadagni. “Non fatemi pensare ai soldi. Quando ci penso, gioco male“. E così è stato. Al diavolo i guadagni! Al diavolo i calcoli del ranking! Al diavolo lo Slam! Giocherò come ho sempre fatto: match dopo match, divertendomi. E fu così che turno dopo turno, contro giocatori dal nome impronunciabile quasi quanto quello da cui ha beneficiato del ritiro, si è ritrovato con un piede nella storia: il lucky loser con il più grande risultato agli Australian Open. Il match con Murray l’ha affrontato con la serenità di sempre, consapevole di aver già fatto già quello che poteva fare.
Ora, a fari spenti, uno sguardo ai soldi lo si può dare: il prize money si è quintuplicato, 125.000 dollari. Una bella somma per permettersi un altro anno di tennis. Il ranking si abbasserà di molto, e l’assalto al suo miglior piazzamento è oltre l’angolo. Ma Stephane non ci pensa, a lui importa relativamente. Per lui, come noi lucky looser, l’importante è solo continuare ad andare avanti, correndo. Perché, se qualcuno perderà terreno, se qualcuno si ritirerà, non ci penseremo due volte a passargli avanti.