Esistono i numeri che servono, quelli che non servono e quelli inventati.
Da circa un paio di mesi abbiamo inaugurato una rubrica semiseria che vi fornisce, senza una scadenza fissa, una serie di numeri che significano davvero poco, più probabilmente niente. Perché se da una parte è sicuramente vero che una familiarità con alcune statistiche può essere un indubbio vantaggio sia per il tennista che per lo spettatore, dall’altra è a volte imbarazzante leggere ed ascoltare numeri enunciati con una solennità che rischia di rasentare il grottesco. Percentuali buttati a casaccio nel bel mezzo di una telecronaca, o che accompagnano l’analisi di una partita o di un torneo come se potessero parlare da soli; serie storiche costruite su quattro-cinque anni; numeri assoluti confrontati tra loro nonostante il semplice buon senso suggerirebbe di lasciarli lì dove sono. Numeri che non servono a nulla, al massimo a creare attorno a chi li declama con vigore una discutibile aureola di serietà.
Ma come detto non tutti i numeri non servono ma la capacità di discernere tra gli uni e gli altri non è materia da dilettanti, ed è confortante che i giocatori si stiano lentamente attrezzando.
A chiudere l’ideale tripartizione ci sono i numeri inventati, che non sono veri e propri numeri ma piuttosto luoghi comuni che gli appassionati e gli esperti di tennis (e purtroppo di poco altro) ripetono ogni volta che una partita arriva ad un momento che sembra cruciale. L’inchiesta che L’Equipe ha ripreso dal blog di Jeff Sackmann, che Ubitennis vi presenterà per intera quotidianamente (anzi: la sera) grazie alla preziosa traduzione di Maria Cristina Graziosi serve proprio a sfatare alcuni di questi luoghi comuni sul tennis. Noi la presentiamo perché ci sembra compito anche della nostra rivista far crescere la coscienza critica dei lettori, convinti che anche se si parla di tennis, di uno svago, non c’è bisogno di essere per forza superficiali. Quindi quando ascoltate o leggete un numero non pensate che sia sempre utile e non pensate che sia sempre vero. Distinguete.
(erresse)
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Ah, il settimo gioco! Chi non ha mai sentito parlare di quello che è ritenuto un gioco decisivo quando il punteggio è sul 3-3? Jean-Paul Loth ha contribuito in televisione a diffondere questa convinzione: “Henri (Cochet) si è impegnato in una piccola indagine su questo tema e si è accorto che i break si verificano spesso sul 3-3”, ha dichiarato qualche anno fa.
Jeff Sackmann, lo specialista americano in statistica applicata allo sport, ha pensato di verificare se i fatti giustificano questa convinzione diffusa e ha condiviso sul suo blog le sue conclusioni al riguardo. Sono abbastanza chiare.
Metodo 1
Sackmann si è appoggiato su un campione di 11.000 partite giocate nel circuito ATP negli ultimi anni e ha estratto 11.421 set che hanno raggiunto il punteggio di 3-3. Ogni volta ha calcolato la probabilità che il servitore conservi il suo servizio sul 3-3 sulla base della percentuale di punti ottenuti al servizio nell’intera partita e della percentuale di giochi servizio vinti (da chi serve sul 3-3) nella partita in questione.
Se il mito dell’importanza del settimo gioco sul 3-3 fosse vero la percentuale (reale) di giochi di servizio vinti dal servitore sul 3-3 dovrebbe essere molto inferiore alla probabilità (teorica) che mantenga effettivamente il suo servizio. Questo accrediterebbe l’idea di un gioco più importante degli altri, come momento cerniera, di passaggio in un set.
I risultati
Negli 11.421 casi considerati chi era al servizio ha mantenuto la battuta l’80,2% delle volte. Se fosse la stessa identica cosa servire sul 3 pari, la percentuale dovrebbe essere uguale. La probabilità (teorica) che il servitore mantenga il suo servizio sul 3-3 è quindi dell’80,2%. Ebbene la percentuale (reale) di giochi di servizio vinti sul 3-3 è stata del 79,5%. 0,7 punti di differenza. Insignificante.
Andiamo al secondo punto da verificare: se il gioco sul 3-3 rappresenta davvero un punto di svolta, chiunque lo vinca dovrebbe prendere un vantaggio sostanziale.
Metodo 2
Per gli 11.421 set studiati, Jeff Sackmann ha calcolato due probabilità basate sulla percentuale di
punti guadagnati nel servizio durante la partita in questione: la probabilità per il servitore di vincere il set prima di servire sul 3-3 e dopo aver servito (gioco vinto o perso).
I risultati
In più di 9.000 casi, il servitore ha vinto il suo gioco di servizio sul 3-3. Aveva il 51,3% di possibilità di vincere il set prima di servire. A 4-3 in suo favore, le possibilità salivano a 57,3%. Nei fatti il giocatore ha vinto il 58,6% delle volte (1,3 punti percentuali di differenza tra la probabilità reale e teorica sembra escludere qualsiasi correlazione).
Negli altri 2400 set, il servitore ha perso il suo servizio sul 3-3. In questo campione, il giocatore aveva il 35,9% di possibilità di vincere il set sul 3-3 prima di servire. A 3-4, logicamente la probabilità scende al 12,6%. Nei fatti, il giocatore ha vinto il 13,7% delle volte (1,1 punti percentuali di differenza tra probabilità reale e teorica).
Questo secondo risultato smentisce l’opinione di un momentum sul 3-3, visto che il giocatore brekkato sul 3-3 deve compiere uno sforzo enorme per sfruttare le sue possibilità puramente teoriche di vincere il set. Queste sono logicamente molto più basse dopo un break sul 3-3, ma lo sarebbero ancora di più nel 4 pari o nel 5 pari.
Conclusione
Il settimo gioco, sul 3-3, non è più importante di un altro. I giocatori spesso conservano il loro servizio sul 3-3 come negli altri giochi del set. E vincere o perdere il settimo gioco non è un vero e proprio punto di svolta del gioco dal momento che il risultato (set vinto o perso) del giocatore che serve sul 3-3 non si discosta quasi mai dal risultato atteso (teorico).
1- continua. Prossimo luogo comune: dopo aver mancato delle palle break il giocatore perde davvero il servizio nel gioco successivo?