Clerici G., Quello del tennis. Storia della mia vita e di uomini più noti di me, Mondadori, 2015.
Per quel che vale, cioè nulla, l’ho sempre trovato straordinario, quindi ciò che state per leggere è un parere rigorosamente di parte. Questo vi devo per onestà intellettuale.
È da poco passata l’alba nella grande casa sul lago. Un uomo che ha molto vissuto si aggira irrequieto nel suo studio, sulla scrivania solo una curiosa matita che riproduce in piccolo una Dunlop Maxply con la punta dalla parte del manico e una risma di fogli rossi, un rosso identico alla terra del centrale di Parigi. Ad una tratto l’uomo si siede, impugna la matita e scrive: “…tra le due case c’è un giardinetto, nel quale cresce, orba di sole, una palma striminzita come un asparago”.
Questa è poesia, ma lui non è un poeta.
Più di settant’anni prima lo stesso uomo, ancora bambino, il volto più pieno e il fisico scattante, apprende rudimenti e rispetto del gioco allenandoli con passione all’Hanbury di Alassio. E sogna. Sogna di diventare campione del mondo a Londra e quando giunge l’invito listato di verde e viola dell’ All England Tennis and Croquet Club si mette in viaggio per la terra promessa. Due giorni dopo perde dolorosamente dallo iugoslavo Laszlo “…un match che ancora mi fa rabbia” e dopo poco più di un anno abbandona di fatto le competizioni.
Ha giocato nei Championships ma non sarà mai un tennista professionista.
Fra questi due estremi temporali, fra queste due metà del cuore, il ragazzo di Como cresce, legge moltissimo, rimbalza come una pallina Slazenger da un capo all’altro del mondo con l’intento e la speranza di assistere dal vivo ad ogni singolo quindici e scrive, soprattutto scrive. Scriveva fin da giovane giocando e non ha mai smesso di giocare scrivendo.
Scommetto che il suo ideale sarebbe stato colpire un dritto incrociato vincente con una preziosa penna stilografica. Questo Marco Polo con la racchetta ha modi e linguaggio che sono solo suoi ma lui fatica a dirsi scrittore. Ecco l’autobiografia di Gianni Clerici scritta da sé medesimo, tennista, autore, giornalista, drammaturgo, poeta e viaggiatore del mondo, forse la sola definizione che lui accetterebbe di buon grado con un sorriso nascosto.
E il tennis? Il tennis è un fiume carsico che scorre lento e tranquillo al di sotto della narrazione, lasciando zampillare fuori solo ogni tanto un pallina bianca di feltro dal bagliore abbacinante.
Ma questa è soprattutto la storia intima della vita di un uomo che ha avuto il raro privilegio, in parte per nascita ma poi ben meritato, di poter scegliere di non essere. Una libertà strenuamente difesa che gli ha consentito sempre di percorrere le strade del mondo con leggerezza d’animo e autoironia, quella più rara e vera.
Leggete e mettetevi in viaggio, potreste ritrovarvi alla redazione del “Giorno” accanto a Gianni Brera e alla sua pipa oppure a Londra, zona Portobello Market, per mercanteggiare con un inglese alticcio l’acquisto di un antico battoir. A Pamplona preparate i fazzoletti mentre berrete anis seduti al Txoko ascoltando da Hemingway la struggente storia di Rafael Romero e del toro Amigo.
E non cercate un filo narrativo logico perché non c’è, perdetevi invece nello scorrere di capitoli che non conoscono cronologia, ognuno dei quali è un quadro a sé stante, a volte completo in ogni sua parte altre solo abbozzato, come in fondo è la vita dell’autore stesso.
Da parte mia quindi un grosso ringraziamento. A te, sconosciuto iugoslavo Laszlo, ovunque tu sia, che un lontano giorno hai spento le ambizioni di un giovane tennista donando a tutti noi un grande scrittore.
Scusa l’ardire, Gianni.
Prima parte: https://www.ubitennis.com/blog/2016/01/10/la-piccola-biblioteca-di-ubitennis-spazio-clerici-il-contrario-di-pasolini/