Dopo quattro mesi dalla leggendaria impresa di New York, si percepisce ancora nettamente come il ruolo della Vinci nel mondo del tennis sia cambiato: nella conferenza stampa successiva a un secondo turno francamente banale, una vittoria in scioltezza contro una onesta tennista di seconda fascia, si sono presentati diversi giornalisti americani, ma la povera Irina Falconi – che è di West Palm Beach in Florida – non è nemmeno stata nominata. Per l’ennesima volta, i colleghi USA hanno voluto sapere i ricordi della notte di Flushing Meadows, le sensazioni, le prospettive per il futuro. È chiaro che per i media statunitensi, e per l’ambiente del tennis in generale, la figura di Roberta Vinci è ormai indissolubilmente legata a quella di Serena Williams. Un po’ come John Isner e Nicolas Mahut, che rimarranno per sempre “quelli del 70-68 al quinto”, con tanto di pagina Wikipedia specificamente dedicata al match, e alla fine poco importa perfino chi dei due abbia vinto.
E Roberta conferma, con la schiettezza e l’onestà che la contraddistinguono, che la “nuova Vinci” che stiamo ammirando negli ultimi tempi è figlia di quella semifinale newyorkese. “Gioco bene perché sono serena”, dice la tarantina, con involontario ma riuscitissimo gioco di parole. “Dopo quella finale allo US Open non ho più ansie, non mi arrabbio, sento di aver raggiunto quello che volevo. Non mi sento appagata, e ci tengo ancora moltissimo, ma visto che questo sarà il mio ultimo anno, me la godo, e questo in campo si vede. Il mio gioco ha bisogno che io sia lucida e tranquilla, e pensare che ho battuto Serena, che ho fatto finale Slam, mi fa stare bene. Se non entro tra le prime dieci non muore nessuno”.
Abbiamo poi riferito un simpatico siparietto alla Vinci, partito da una domanda fatta dal direttore Ubaldo Scanagatta a Serena Williams: “Fernando Verdasco ha detto che ha rivisto dieci volte il suo match perso con Rafa Nadal qui a Melbourne in semifinale nel 2009, tu lo hai fatto con la partita di New York con Roberta?” Serena, chiaramente ironica, risponde: “Io riguardo la semifinale con Roberta ogni giorno!”. La Vinci, che è una delle giocatrici più attente e intelligenti del circuito, dopo essersi fatta una bella risata, ha colto lo spunto per riflettere e raccontare le sensazioni profondamente diverse che si provano in campo, rispetto alla più asettica visione di un match su uno schermo televisivo.
“Quando tu guardi una partita di tennis con la pennina (USB, n.d.r.), o al computer, o alla televisione, non capisci il vento, non capisci la velocità della palla, e non lo capisci perché non puoi riuscirci, non è che il commentatore o il telecronista ‘non ci arrivano’. È che proprio è impossibile da percepire, in campo è tutta un’altra storia, se sei contro sole o contro vento, se ti va lento il braccio. Sono tutte cose che puoi vedere e puoi capire stando al limite fuori dal campo, secondo me, mentre dalla televisione è più difficile immedesimarsi nella partita”.
“Un commentatore può dire ‘ah, lì doveva giocare lungolinea’, ok, però non sa se la giocatrice era in difficoltà col braccio, era controvento, o cose così. Non credo che vorrò mai fare la telecronista, anche se mi piace tanto guardare il tennis, capire gli schemi, con il mio tipo di gioco devo farlo, devo usare il cervello, non sono una che tira e basta. Certo, penso che potrei essere brava a far capire le situazioni al telespettatore… non ci ho mai provato. Ho paura che sarei molto critica con le giocatrici, però”.