La storia di Martina Hingis è nota, ma ogni tanto vale sempre la pena di ricordarla almeno a grandi linee. Si può dire che la fuoriclasse di origini cecoslovacche (che DNA per il tennis che hanno da quelle parti!), nata il 30 settembre 1980, ed emigrata in svizzera a sette anni, abbia avuto tre carriere. La prima, dai 14 ai 22 anni, l’ha vista frantumare quasi ogni record di precocità, e non solo: più giovane campionessa Slam – in assoluto – di sempre (Wimbledon 1996 in doppio con Helena Suková, aveva 15 anni e 9 mesi), più giovane campionessa Slam – in singolare – del ventesimo secolo (Australian Open 1997, 16 anni e 3 mesi), più giovane numero uno del mondo di sempre (marzo 1997, 16 anni e mezzo), più giovane campionessa di Wimbledon (sempre 1997) in singolare dai tempi di Lottie Dod – era il 1887, 110 anni prima, terza donna nella storia a essere numero uno sia in singolo che in doppio, quarta della storia a realizzare il Grande Slam in doppio (Australian Open con Mirjana Lučić, gli altri tre con Jana Novotnà) , queste ultime due imprese risalgono al 1998, aveva 17 anni.
Nel 2001 comincia ad accusare una serie di problemi fisici, alle articolazioni delle caviglie, si sottopone a intervento chirurgico, ma a inizio 2003, ha 22 anni, annuncia il ritiro dal tennis, dopo 76 titoli (40 in singolo di cui 5 Slam – tre Australian open, un Wimbledon e uno US Open, due finali al Roland Garros, 9 Slam di doppio, 3/4 di Grande Slam in singolo nel 1997). Curiosità, nel frattempo – gennaio 2001 – vince la Hopman Cup per la svizzera in coppia con Roger Federer, un bel doppietto misto direi, che avremo tutti la fortuna di rivedere alle Olimpiadi in agosto quest’anno.
Tra il 2006 e il 2007 rientra nel circuito con risultati più che discreti, arriva a numero 7 WTA, vince gli Internazionali d’Italia e Tokio, fa quarti al Roland Garros e agli Australian Open, e batte Maria Sharapova, Flavia Pennetta, Venus Williams, Li Na tra le altre. La sua ultima partita in singolare in uno Slam la perde al terzo turno degli US Open del 2007 da una giovane Victoria Azarenka.
Nel novembre di quell’anno arriva la controversa squalifica per una minima quantità di un metabolite della cocaina, la concentrazione trovata era talmente bassa che per esempio non sarebbe stata nemmeno rilevata dai test effettuati nei severissimi controlli delle forze armate USA sui propri effettivi, Martina si appella (avendo probabilmente ragione) a una possibile contaminazione di laboratorio, ma subisce ugualmente una squalifica di due anni, che di fatto pone fine alla “carriera numero due” della Hingis, almeno in singolare.
Nel 2013 il secondo rientro, come specialista del doppio, fino al ritorno in vetta alla classifica mondiale della specialità, in coppia con Daniela Hantuchova, Flavia Pennetta, Sabine Lisicki e infine (e siamo ai giorni nostrri) Sania Mirza, la partner attuale, con cui è arrivata dopo la vittoriosa finale di sabato sera qui a Melbourne a tre slam consecutivi, e una striscia ininterrotta di vittorie che arriva a 36, la terza della storia dopo quella di 44 realizzata nel 1990 da Jana Novotna e Helena Sukova, e la spaventosa serie di 109 successi in fila di Martina Navratilova e Pam Shriver tra il giugno 1983 e il luglio 1985.
Ora Martina è una bella giovane donna di 35 anni, che nel tennis e nella vita ne ha viste di tutti i colori, ma che si diverte ancora da matti – basta vedere le immagini dei suoi match, solo allegria e sorrisi – a girare per il mondo con le sue Yonex, per di più vincendo praticamente sempre, anche nel misto. Perchè, banalmente, è quella che forse gioca, dal punto di vista tecnico, meglio di tutte, almeno secondo i canoni di un tennis classico, che privilegia la coordinazione, la pulizia anche scolastica dei gesti, la sensibilità e la fluidità rispetto alla potenza muscolare e alle accelerazioni ottenute dalle leve lunghe e dal peso della struttura fisica, invece che dalla velocità, dall’ampiezza e dalla precisione degli swing. Martina fa viaggiare alla grande soprattutto la racchetta, insomma, non solo il braccio. Esattamente come faceva fino a quattro mesi fa, splendidamente, una che come tecnica esecutiva le somiglia in modo evidentissimo: la nostra Flavia Pennetta.
Entrambe (e per esempio, uno come David Goffin, o Agnieszka Radwanska, anche se la “Maga” pur elegantissima ha esecuzioni più personali) vengono da una “scuola tennis” che purtroppo ormai sta diventando obsoleta: un modo di colpire la palla che parte dalla qualità tecnica del gesto, a cui aggiungere se possibile l’esplosività e la potenza fisica, e non l’esatto contrario come ormai è la norma. C’è una bella differenza tra i tennisti che sono anche atleti, e gli atleti che sono anche tennisti. Ma andiamo a vederla, la nostra maestra di tennis classico: non potevo mancare, sabato scorso, all’allenamento pre-finale di Hingis e Mirza, sul campo 21 di Melbourne Park, a ora di pranzo. Si parla in ogni caso di vent’anni di Storia del tennis, con la “S” maiuscola, rendere omaggio era doveroso.
In testa al pezzo, uno slice bloccato che non ha bisogno di commenti, non c’è un millimetro dell’intero corpo di Martina fuori posizione, immagine da poster.
Qui sopra, una sequenza di dritti che mostra la magnifica e ampia ovalizzazione, come già visto con Goffin una preparazione che parte con testa della racchetta bella alta, e uno swing a colpire che fa scorrere l’attrezzo con fluidità impressionante, fino alla conclusione sopra la spalla opposta, 360° abbondanti, e guardando le ginocchia e i piedi, un ottimo passaggio del peso dalla gamba di caricamento, quella esterna (destra, siamo in open stance, l’impugnatura è una western quasi piena e il finale è un windshield wiper con bella “toppata”, giocare tecnicamente classico mica significa giocare “vintage semipiatto di fianco impugnando eastern”, eh, non dimentichiamolo!) fino ad arrivare all’appoggio della sinistra in conclusione del movimento.
Qui sopra, dai due lati, l’inizio della preparazione del rovescio, sempre racchetta verticale, sempre perfetta la rotazione delle spalle, qui somiglia al rovescio di Flavia davvero tanto.
Qui lo sviluppo del movimento, con impatto e finale: bellissimo vedere i piedi nell’immagine a sinistra, in piena proiezione verso il colpo, solo le punte sfiorano il campo, e poi il finale ad accompagnare con il peso la direzione del colpo.
Qui sopra una sequenza di servizi, la cosa interessante da notare è l’attimo di massimo caricamento con testa della racchetta che va quasi all’altezza del braccio-palla, lo fa in modo molto simile Roger Federer, e poi l’esemplare sviluppo del movimento a colpire con attrezzo slanciato di taglio verso l’impatto e la pronazione finale, massima velocità e nessun momento di “inerzia zero”, cosa che avviene se si verifica la ormai famosa (per chi segue questa rubrica) “manata verso il cielo”, difetto che aveva un tempo Djokovic e purtroppo non si è mai tolta Sara Errani.
Qui un chop basso da metà campo ad approcciare la rete, sempre notevole l’equilibrio e la compostezza, e uno schiaffo al volo di rovescio, colpo “moderno” che comunque Martina esegue con sviluppo “classico” del finale, braccia in distensione completa prima della chiusura verso la spalla destra.
Infine, ancora dritti, in campo più stretto, e come si può notare anche nella sequenza più in alto, guardiamo l’allineamento e la simmetria tra mano-avambraccio destri e sinistri: se lo disegni con autocad non viene più perfetto di così.
In definitiva, il proverbiale “manuale dei fondamentali ambulante”, un libro illustrato di scuola tennis, per un tecnico è roba da sindrome di stendhal, vedere uno dopo l’altro colpi su colpi che sembrano creati in computer grafica tanto sono ineccepibili, dalla punta della racchetta fino all’ultimo centimetro di posizione della mano non dominante, è una pura e semplice favola. Che spero di avere la fortuna di ammirare ancora, e possibilmente a lungo. Splendida Martina.
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