In un saggio del 1908 intitolato “L’umorismo” e dedicato al personaggio letterario di Mattia Pascal, Luigi Pirandello inventa una celebre immagine metaforica per chiarire il confine fra l’umoristico e il comico. Scrive così il genio di Agrigento:
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere.
Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario.
Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che
forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna…”
Ecco la differenza, l’umorismo è un sentire più complesso, nel quale interviene la riflessione che ci porta oltre l’immagine iniziale per mostrare in lontananza il dramma che si cela dietro a quel riso sguaiato. Ai miei occhi oggi, Roger Federer era quella donna imbellettata e io l’ho troppo amata per accettare che diventi comica. La divisa candida con striature verdi, il colore della speranza ahinoi mai sorta, stonava con il volto tirato che nei momenti di maggior sconforto, o potremmo dire impotenza, ha mostrato tutti i suoi quasi 35 anni. Spesso si vede questo nello sport, il crollo giunge inaspettato, un momento sei lì che ci credi ancora e l’attimo dopo appare chiaro che tutto è finito. Per sempre. Il buio oltre la rete potremmo dire perché Novak Djokovic non ha fatto altro che interpretare il suo ruolo di spietato esecutore testamentario di una realtà che tutti ci stiamo nascondendo per troppo amore che è solo egoismo.
Il tempo non fa prigionieri e se volessimo veramente bene a Roger lo lasceremmo andare, sono convinto infatti che lui sia ancora lì anche perché sente che siamo noi a non rassegnarci alla perdita, che non riusciamo ad andare oltre, a crescere e ad immaginare il tennis senza di lui. Ma chi si avvia alle cinquanta primavere e segue lo sport del diavolo “ante Roger natu”, come chi vi scrive, sa bene che c’è sempre un domani e un altro Roger probabilmente ha da poco ricevuto in dono la sua prima racchetta e sta palleggiando contro il muro di casa da qualche parte nel mondo. Forse non sarà in grado di far sparire la pallina con un lungolinea perfetto, come ha scritto Foster-Wallace, ma qualcuno arriverà.
Caro Roger, sei stato uno dei grandi e non è solo la bacheca a dirlo, lo hai fatto con immenso talento e grazia innata, onorando il gioco del tennis, la sua storia e le sue tradizioni.
E per quelle sottili e impercettibili ragioni che nessuno saprà mai razionalizzare sarai sempre considerato più forte di Djokovic nella memoria collettiva, come succede per gli eletti e ti siamo grati per ogni singolo colpo che ci ha strozzato in gola un urlo di meraviglia.
Rassegnati, lo hanno fatto i tuoi antenati Tilden, Laver ( in tribuna aveva gli occhi tristi), Borg e persino quel Pete Sampras che proprio tu hai ferito a morte in un lontano giorno a Wimbledon. Sarai in buona compagnia. Arrivederci e grazie di cuore.
E tu Nole rassegnati, sei un bravo ragazzo, un grandioso tennista e uno sportivo rispettoso, potrai vincere cento Slam ma Roger sarà sempre altro da te. Non ci puoi far nulla.