Il tennis è lo sport individuale per eccellenza, infatti sul rettangolo di gioco si è sempre soli. Un bambino portato per il tennis, che mostra evidenti segni di talento e un grande potenziale, per emergere davvero a grandi livelli non può non fare affidamento su un’ingente fonte economica investita per finanziare la sua crescita, inevitabilmente accompagnata da maestri e, quando supera l’età dell’infanzia, veri e propri coach, e soprattutto per coprire viaggi, vitto e alloggio nei posti più disparati del mondo alla ricerca dei primi punti ATP o WTA.
A tal proposito, nell’ambito di una digressione su un match degli Australian Open che stava commentando su Eurosport, Adriano Panatta, ha lanciato un’interessante provocazione: abolire il doppio, giocato oggi solo da giocatori attempati e semisconosciuti, per destinare i relativi prize-money alle qualificazioni dei tornei di singolare, concedendo così maggiori opportunità ai giovani che non hanno adeguati mezzi economici per mantenersi nel circuito. La provocazione dell’ex n.4 del mondo (best ranking raggiunto in quel fenomenale 1976 in cui vinse prima gli Internazionali d’Italia e poi il Roland Garros, per poi chiudere la stagione con la vittoria dell’Italia in Coppa Davis a Santiago del Cile) può essere condivisibile o meno ma è certamente rispettabilissima, anche se probabilmente si scontra con la legge del mercato.
Anche limitandosi agli Slam e ai principali tornei ATP e WTA, il pubblico garantito dai tornei di doppio (“malato terminale”, secondo la spietata definizione di Rino Tommasi, appunto per sottolineare che i giocatori migliori non lo disputano praticamente più) è quantitativamente lo stesso, sia dal vivo che in tv, di quello delle qualificazioni e, volendo allargare il discorso, di quello dei tornei junior? Per gli appassionati certamente sì, ma per il grande pubblico no: molto più interessante vedere Martina Hingis che con le sue geometrie perfette mette in difficoltà le migliori giocatrici di 10 anni più giovani di lei oppure qualche sedicenne dal rovescio esplosivo ma ancora sconosciuto ai più? Il vero appassionato può anche preferire i tornei junior nella speranza di scorgere i campioni del domani, ma chi ama il tennis a un livello più superficiale, magari equiparandolo nella sua scala di gradimento e passione al calcio o a un altro sport, opta sicuramente per un bel match di doppio con in campo uno come Feliciano Lopez che non di rado prende parte anche al torneo di doppio, deliziando gli occhi col suo gioco di volo. Tutto questo senza contare che tra i grandi appassionati di tennis si annoverano anche molti spettatori attempati e nostalgici del tennis di qualche tempo fa, che si schierano per il “partito del doppio” per ammirare ancora le volèe e il gioco d’attacco che oggi si vedono sempre meno o anche solo per prolungare la venerazione di quei grandi giocatori che decidono di allungare la loro carriera nel doppio come la sopra citata Martina Hingis, oltre ai Radek Stepanek e agli highlander Daniel Nestor e Leander Paes.
Se allora il mercato garantisce in generale più soldi ai doppi che a qualificazioni e tornei junior, quale organizzatore sceglierà di cancellare dai tornei i primi per puntare tutto sui secondi? Arduo, davvero arduo, immaginarsi un organizzatore che preferisca essere ricordato come benefattore del tennis piuttosto che trarre il maggior profitto possibile dalla sua attività professionistica…
Ecco allora che chi deve intervenire è la Federazione nazionale: il suo primo compito è quello di scovare i giovanissimi dal potenziale più promettente, sostenerne la crescita e aiutare le famiglie nella copertura delle spese. La Federazione italiana ha raccolto in campo femminile insperati successi ma dopo questa generazione d’oro i problemi coperti dalle varie Schiavone, Pennetta, Errani e Vinci, tutte formatesi all’estero ad eccezione della tarantina, si manifesteranno inevitabilmente, visto che all’orizzonte non si vedono giovani in grado di arrivare molto lontano né in campo maschile (dove il solo Matteo Donati ha margini di progresso oltre a grande determinazione, testa ed equipe al seguito) né femminile (dove tra le nuove leve probabilmente solo Ludmilla Samsonova potrebbe avere le doti della campionessa). Un’altra federazione, quella francese, è considerata da non pochi addetti ai lavori, tra i quali il direttore di Ubitennis Ubaldo Scanagatta, la migliore del mondo perché riesce a piazzare tra i primi cento un gran numero di giocatori (ben dieci, di cui quattro nei primi 20 tra gli uomini, e tre, ma tutte tra le prime 40, tra le donne). Come infatti amava non di rado sostenere Rino Tommasi durante alcune delle tante digressioni con Gianni Clerici che costituivano il tratto distintivo e più amato delle loro telecronache, “il talento innato te lo dà il Padre Eterno, sono i buoni giocatori quelli di cui si deve occupare una buona Federazione nazionale”.
La FIT ha peraltro avviato negli ultimi anni non pochi progetti, ma quello su cui ha puntato davvero tanto è l’emittente televisiva Supertennis. Non c’è alcun dubbio che un canale gratuito che trasmette moltissimi tornei, spesso di ottimo livello, costituisca un ottimo volano per appassionare al tennis molti ragazzini che si auspica decidano di prendere in mano una racchetta e comincino la strada verso il professionismo. La scelta di Supertennis è inevitabilmente molto onerosa per la FIT, basti pensare alla brevissima esistenza di GazzettaTV, il canale messo in piedi dalla Gazzetta dello Sport, che nonostante il buon livello di qualità e il nome che si portava dietro non ha potuto sostenere i grandi costi che un’emittente televisiva monotematica non a pagamento fatica sempre a coprire. La domanda fondamentale è naturalmente la seguente: è stato Supertennis la scelta migliore da parte della Federazione? Per alcuni sì per il motivo detto sopra, per altri no. Chi non la sposa, sostiene che un investimento così grande dovrebbe essere destinato alla valorizzazione delle scuole tennis più virtuose, alla formazione di maestri e coach di valore e ad aiutare i ragazzi tra i 14 e i 17 anni che dimostrano un potenziale da vero campione a sostenere le grandi spese che la strada del professionismo non può non comportare.
La Federazione spagnola, più che aiutare direttamente le famiglie dei giovani più promettenti, ha favorito la creazione di strutture e accademie private di primo livello, come quelle che sono state scelte proprio da Francesca Schiavone, Flavia Pennetta e Sara Errani per formarsi e diventare le campionesse che conosciamo (“tennis academy” come quella che ha espresso di voler realizzare la Schiavone dopo il suo ritiro in occasione dello scorso Wimbledon, di fatto denunciando l’assenza in Italia di un numero adeguato di grandi coach).
Anche ragionando più in piccolo, ci sono degli esempi di politiche molto più pratiche e quasi immediate che possono risultare foriere di ottimi risultati. Come quella della Federazione israeliana, per esempio. Alcuni genitori hanno unito le forze per destinare le loro personali risorse economiche non ai viaggi dei propri figli nei vari tornei internazionali ma alla creazione e all’organizzazione di un torneo ITF nella loro regione, con spese nettamente inferiori. Allargando questa iniziativa su larga scala, la Federazione, contribuendo a sua volta, è in grado di aiutare molti più giocatori a raccogliere punti utili per i ranking internazionali incrementando il numero di tornei che si giocano in Israele. Molti tornei significa tra l’altro molte wild card, con la possibilità di dare a molti ragazzi che non potrebbero altrimenti mai permetterselo la grande opportunità di prendere parte a un torneo ITF.
Naturalmente, poter avere molti più tornei ITF (e in seconda battuta Challenger) in Italia di quelli che già ci sono aiuterebbe la crescita e la conquista dei primi punti nelle classifiche internazionali dei giovani talenti con spese enormemente inferiori di quelle che i genitori dovrebbero farsi carico per permettere ai figli di giocare e mantenersi nei tornei in giro per il mondo. Un altro vantaggio, forse meno evidente ma potenzialmente ancora più importante, sarebbe fornito da un’efficace distribuzione dei nuovi tornei su tutto il territorio nazionale, anche in quelle zone dove il tennis è meno sostenuto e coperto. Se un bambino di una famiglia dalle possibilità finanziarie limitate si emoziona guardando su Supertennis i campioni contemporanei e non vede l’ora di prendere in mano una racchetta, oggi non ha molte possibilità di dare seguito alla sua passione. Se però lo stesso bambino a scuola o ai giardini pubblici incontra degli amici che gli spiegano che a pochi chilometri da casa organizzano un bel torneo di tennis, può incuriosirsi e chiedere ai genitori di accompagnarlo a vedere dal vivo le partite. A quel punto, la passione per il tennis davanti a un incontro dal vivo – che è cosa ben diversa che seguire una partita alla tv, forse ancora di più in tenera età per tutta la cornice di tifo e coinvolgimento che un match giocato davanti gli occhi comporta – nascerebbe ugualmente e il giovanissimo in questione avrebbe ben maggiori possibilità di tentare una strada che rimarrebbe comunque difficilissima e onerosa, ma in misura minore che nella situazione attuale.
Questo articolo ha voluto sottolineare la difficoltà per un genitore di sostenere un figlio che manifesta passione per il tennis e al contempo un potenziale da ottimo giocatore, limitandosi a suggerire uno spunto di riflessione su un’idea finora mai percorsa, ma senza entrare in dettagli più approfonditi che un’analisi più tecnica richiederebbe. Lo scopo è infatti quello di stimolare tra i nostri lettori un commento e un giudizio sull’efficacia della politica delle diverse federazioni. Soprattutto voi, genitori di un bambino che sta giocando a tennis manifestando chiari segnali di talento, sareste disposti a contribuire economicamente all’organizzazione di un torneo ITF nella vostra città?