Qui l’articolo originale.
Non è il crimine, è l’insabbiamento.
Più di quattro decenni dopo il Watergate, questa frase sta diventando logora dal tanto uso che se n’è fatto nel contesto sportivo.
Ma l’odore emanato dalle ultime rivelazioni del mondo del tennis, cadute sul sonnecchiante quartier generale a West London della International Tennis Federation è a suo modo preoccupante tanto quanto la puzza proveniente dalla tana della Fifa a Zurigo o dal disperato tentativo di ripulire il disastro lasciatosi dietro da Lamine Diack alla IAAF (Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera) e dallo sciagurato gruppo di sostenitori a Monaco.
Le rivelazioni del Guardian sono particolarmente scomode perché mostrano quantocoloro che supervisionano lo sport fatichino ad adattarsi alla realtà del mondo moderno che hanno aiutato a creare.
Come più volte evidenziato ripetutamente durante i recenti clamori sulle accuse di partite truccate, che non necessariamente può essere utilizzato come scusa ma che mette in luce questioni più ampie, è l’enorme diseguaglianza fra i soldi offerti ai ranghi più bassi del tour ed i ricchi al top della classifica che contribuisce alla seria preoccupazione sull’integrità dello sport.
Novak Djokovic ha guadagnato 21 milioni di dollari in prize money lo scorso anno e il tennista che ha concluso la stagione al n.100 del mondo, l’israeliano Dudi Sela, ne ha guadagnati 315 mila. Ma è ancora più in basso nelle gerarchie, nei tour Futures e Challenger che si fanno strada nelle più remote frange dell’est Europa, che il problema si inasprisce e cresce come un cancro.
Una volta che l’ITF ha firmato un accordo multi milionario con una compagnia di raccolta dati, in questo caso la Sportradar, che permette ai risultati delle partite e dei tornei più remoti di essere esaminati in tutto il mondo dai siti di scommesse, era divenuto quasi obbligatorio assicurarsi che la loro unità d’integrità fosse adatta allo scopo.
Se non potevano assicurare che quei tornei non fossero a rischio e spendere quindi una piccola parte dei 14 milioni che annualmente porta l’accordo con Sportradar nel farlo, allora non avrebbero dovuto rendere disponibili quei dati.
E il fatto che fossero i loro stessi arbitri ad essere presumibilmente corrotti, pone immediatamente una serie di domande. La più ovvia, perché non ne eravamo già a conoscenza?
L’idea che le indagini possano essere condotte al buio, avvolte nel segreto e con un’aria di disagio e di paranoia, può solo dare l’impressione che l’ITF sia più preoccupata dell’immagine di questo sport piuttosto che dalla voglia di sradicare la corruzione, senza paura o alcun favoritismo.
Nessuno di questi casi sarebbe saltato fuori se il Guardian non avesse messo insieme i pezzi della storia. E nonostante questo, le nostre fonti ci hanno aiutato in un’atmosfera di paura e di intimidazione che suggerisce la cultura dell’insabbiamento.
Ma adesso sappiamo che due arbitri sono stati squalificati – uno a vita per aver contattato un altro ufficiale nel tentativo di manipolare le partite, ed un altro per 12 mesi (il che appare estremamente clemente) per aver fornito informazioni interne e per aver scommesso. A questo si aggiungono altri quattro arbitri sotto investigazione. La ITF non ha voluto dirci perché, ma il Guardian ha capito che si presume che gli ufficiali di gara ritardavano i dati dei punteggi nel sistema ufficiale di scoring di almeno 60 secondi, così da permettere alle organizzazioni di scommettitori di piazzare la puntata e di raccoglierne i profitti.
Se provato, si tratta di un affare gravissimo. Pensate alla legittima protesta quando dei giocatori di cricket pachistani hanno cospirato per lanciare tre no-ball (ovvero tre penalità comminate quando il lanciatore commette un atto irregolare) in cambio di soldi. In quel caso non c’era alcun tipo di scommessa e nessuno è stato truffato. Tuttavia i tre giocatori sono finiti in prigione.
In questo caso, quattro ufficiali ITF sono sospettati di aver complottato in una truffa per dare quella sorta di margine che qualunque scommettitore sogna. Quello che viene definito “court-siding” (la pratica illegale di comunicare all’esterno i risultati in tempo reale dai campi), è stato un problema a lungo non solo nel tennis, ma anche in altri sport tra cui il calcio.
Le organizzazioni di scommettitori sperano di avvantaggiarsi del minimo ritardo tra l’azione dal vivo e quella mostrata in televisione per aumentare i profitti. Ma se l’arbitro è all’interno, e il risultato del punto, del game o del set è già conosciuto, allora è il momento per i responsabili di fare le valigie.
Cercate su Google Kirill Parfenov e non troverete di certo una grossa mole di informazioni sul giudice kazako. L’unica menzione presente è un elogio per un torneo ITF Junior a Kemenogorsk, suo paese nativo, nel 2012. Ma lui e i suoi quattro colleghi senza nome, potrebbero provare di essere la punta dell’iceberg.
Fonti ad alti livelli di questo sport hanno accusato l’ITF di “temporeggiare” quando si ratta di indagare su loro stessi ed il sospetto è proprio quello che preferiscano affrontare la questione all’interno. E ci sono gli echi di numerosi scandali recenti – prendete il ciclismo, il calcio o l’atletica – dove sembra chiara la priorità di difendere la reputazione dello sport piuttosto che sradicare la corruzione. Gli abbottonati abitanti dell’ITF potrebbero trovare offensivo questo paragone, ma dovrebbero capire che lo scenario è cambiato. Gli appassionati sono passati dalla preoccupazione per chi governa i loro sport rovinato alla palese ostilità e scetticismo. Sta ad ogni sport provare la propria onestà e la determinazione di vigilare sull’esplosivo mercato delle scommesse da cui commercialmente traggono benefici.
Nel caso del tennis l’attacco che ha oscurato l’inizio degli Australian Open ha provocato un curioso mix tra chi provava a farsi un esame di coscienza e chi stava sulla difensiva, forse in entrambi i casi in maniera giustificata, nella zuppa alfabetica di organi che lo compongono. Ma si può solo sperare che queste nuove rivelazioni li abbiano portati a mettere a fuoco il problema.
La Tennis Integrity Unit ha urgentemente bisogno di più indipendenza, di più dipendenti, di più trasparenza e finanziamenti. Ha anche bisogno che gli venga permesso di lavorare senza bastoni tra le ruote da parte di chi li controlla e soprattutto di lavorare alla luce del sole anziché all’ombra. Gli eventi di Zurigo e Monaco potrebbero essere il più severo ed estremo avvertimento.
Un controllo appropriato sull’integrità di uno sport dovrebbe sempre sconfiggere la paura di cosa si può scoprire che possa infangare la propria immagine quando ormai il sasso è stato lanciato. Se coloro in carica non riescono a capirlo, dovrebbero lasciare il posto a chi è in grado di farlo.