Il mancino nato per caso a Wiesbaden entra nel cuore dei milanesi proprio come il nuovo sponsor, l’olio Cuore, che accompagnerà l’evento per un quadriennio. Nel 1980 una serie di concause fa dimezzare il numero degli spettatori. Il tappeto è velocissimo, le teste di serie cadono prematuramente come birilli e i tre italiani (Panatta, Bertolucci e Zugarelli) non sono da meno. Per fortuna che McEnroe non delude, anche se è costretto a cedere l’unico set del torneo in semifinale a un ventenne che, in quanto a sorrisi, fa concorrenza a Buster Keaton: Ivan Lendl. Il ragazzo è giovane e, nonostante le spalle strette, si farà. Eccome se si farà.
La finale mancata del 1979 va in scena due anni più tardi. Borg torna a Milano nella stagione in cui ha scelto di ridurre l’attività. La sua stella è stanca, al debutto stagionale ha perso a Bruxelles dal tedesco Gehring ma con il pubblico meneghino ha un conto in sospeso e ci tiene a fare bella figura. Per raggiungere McEnroe nell’atto conclusivo, Bjorn trova pure la maniera di “riabilitare” Gianni Ocleppo. Il torinese è il secondo italiano, dopo Adriano Panatta, a raggiungere la semifinale nell’evento milanese; tuttavia basta dare un’occhiata al suo cammino per rendersi conto che la buona sorte ha avuto la sua bella importanza. Un qualificato al primo turno e due ritiri (la lombalgia di Amaya e la caviglia in disordine di Gene Mayer) hanno accomodato Ocleppo verso un traguardo insperato ma il futuro telecronista di Eurosport non ci sta e, pur perdendo in due set, strappa al n°1 del mondo ben undici giochi. “Bjorn non è più lo stesso” afferma McEnroe a fari spenti; mentre erano accesi, sul campo, lo svedese ha avuto tre palle per salire 4-2 nel primo set ma le ha fallite e da quel momento l’americano ha edificato la sua quinta vittoria contro Borg. La sesta e la settima, in teatri ben più prestigiosi, sanciranno il passaggio di consegne tra i due.
Nelle tre edizioni seguenti, McEnroe non metterà più piede vicino San Siro e sul trono della Cuore Cup si siedono altri re consacrati (Vilas, 1982) o in divenire (Lendl e Edberg, 1983 e 1984).
L’argentino si è scrollato la terra da sotto le suole e con l’età ha affinato il suo tennis rendendolo adatto anche ai tappeti indoor. I suoi passanti imbavagliano gli attaccanti Denton e Curren e in semifinale a Sandy Mayer non bastano i dieci minuti di yoga pre-partita per fermare la corsa del poeta. Nella finale tra le teste di serie principali, superficie e rango collocano Guillermo un gradino sotto ma Connors ha faticato più di Ercole nella settimana lombarda e Vilas si porta a casa il titolo.
L’anno dopo Ivan Lendl sopperisce ai forfait dell’ultimo minuto di Connors e McEnroe ma la curiosità degli addetti ai lavori è tutta per il computer, la cui apparizione in sala stampa lascia più d’uno a bocca aperta. Oltre a fare i caffè e snocciolare dati ancora poco apprezzati, il cervellone azzecca pure 18 pronostici su 31. Non un granché, vien da pensare, ma prevedere che Simpson e Dickson battano al primo turno Gerulaitis e Gomez e, soprattutto, che quel lungagnone di Chip Hooper arrivi in semifinale e rischi di fare lo sgambetto anche a Lendl… Beh, altro che computer! Nostradamus ci vuole. E servirebbe l’indovino anche per azzeccare i finalisti della più giovane finale nella storia del torneo, quella tutta svedese del 1984.
Quell’anno McEnroe e Connors ripetono lo scherzetto del ritiro in “Zona Cesarini” (un po’ di calcio non guasta, visto che siamo a due passi dal Meazza) e il “rimedio” Lendl va in fumo perché Ivan sta acquistando un ristorante in Florida. Come se non bastasse, il Palazzone viene messo a disposizione degli organizzatori solo 24 ore prima dell’inizio del torneo per via della coppa del mondo di equitazione. Gli aggiustamenti alla struttura si susseguono per tutta la settimana e la vittoria in finale del diciottenne semisconosciuto Stefan Edberg sembra la ciliegina sulla torta della maledizione. Sembra, appunto. Dopo aver fatto il pieno tra gli juniores, lo svedese che si è ribellato alla “logica-Borg” e ha tolto la seconda mano dal rovescio inaugura qui la sua bacheca di trofei maggiori. Il resto lo conosciamo.
Come detto in apertura, la nevicata del secolo toglie di mezzo il Palazzone a due mesi dall’inizio dell’ottava edizione. Per la Fila, nuovo main-sponsor, un debutto niente male. Il carrozzone del tennis si trasferisce nell’angusto Palalido e il ripiego crea danni evidenti alle casse del torneo. Parziale consolazione, i giocatori si dicono felici del calore emanato dalla vicinanza del pubblico. Poi c’è da festeggiare il ritorno di John McEnroe, che aveva lasciato la manifestazione senza il suo tricampione in carica nell’82 e riprende il filo interrotto con altre cinque sonanti vittorie in due set. Più del finalista Jarryd, a mettere in apprensione SuperMac è un tedesco di neanche diciotto anni e rosso di capelli le cui bordate, quando riesce a tenerle dentro le righe, non si prendono. Boris Becker perde 6-4 6-3 al primo turno ma il futuro è nella sua racchetta. Anche se McEnroe la pensa diversamente: “Raggiungerò il vertice della mia carriera nei prossimi 2/3 anni” afferma al termine della finale. Si sbaglia: il vertice ha appena finito di toccarlo.
Ritirato dall’attività (almeno per il momento), Bjorn Borg è rimasto ambasciatore della casa d’abbigliamento italiana che lo vestiva quando giocava e dunque premia il vincitore nel triennio del Fila Trophy. Dopo McEnroe, tocca a Lendl (1986) e allo stesso Becker (1987) ricevere il trofeo dalle mani dell’orso ma i due campioni vengono percepiti in maniera quasi opposta dal pubblico. In prospettiva Wimbledon, che l’ex cecoslovacco vuole aggiudicarsi a tutti i costi, Ivan si presenta a Milano nei panni del semi-attaccante ma continua a beccarsi dell’antipatico perché ai sorrisi preferisce gli scatti d’ira. E così i milanesi gli preferiscono il vellutato Mecir, da lui sconfitto in semifinale e che l’anno dopo fa un passo avanti e raggiunge la finale, stavolta fermato da Boris. Nel frattempo il torneo ha di nuovo cambiato dimora e si gioca al PalaTrussardi, su un sintetico rapidissimo e con palle Pirelli ancora più veloci. Nonostante le difficoltà logistiche, Cino Marchese e compagnia fanno di tutto per rendere indimenticabile la settimana di tennis a Milano e continuano a contornare il torneo di avvenimenti mondani. Sono quasi cinquantamila gli spettatori che testimoniano il dominio di Becker e la debacle del secondo favorito, Mats Wilander, al cospetto della sua bestia nera Mecir, e la domenica della finale il tedesco sta ancora posando con il trofeo che già gli inservienti hanno tolto il tappeto e predisposto l’impianto per la gara interna della Tracer.
Nel 1988 Fila cede il posto a Stella Artois e per tre stagioni lega il suo nome al torneo, che continua a riscuotere grande interesse sia nei protagonisti che negli spettatori. Per esigenze di calendario, il torneo viene anticipato di oltre un mese rispetto al periodo abituale di inizio primavera e si colloca a metà febbraio, tra gli Australian Open e la prima parte della stagione sul cemento americano. È l’anno delle treccine, da quelle del fuoriclasse olandese del Milan Ruud Gullit in tribuna a quelle di Yannick Noah in campo. Il funambolico francese è una mina vagante che può tutto e il contrario di tutto; si complica l’esistenza al secondo turno con l’austriaco Antonitsch per poi lasciare cinque giochi a Cash. Becker vorrebbe confermarsi campione ma nell’altra occasione in cui ha affrontato Noah in Italia ci ha perso (a Roma, sulla terra) e la storia si ripete anche al PalaTrussardi in un match di rara bellezza e intensità. Yannick sa cosa deve fare, ovvero tagliare col rovescio e costringere Becker a piegarsi su palle basse e viscide, ma la teoria va bene solo quando si riesce a metterla in pratica. Due break, uno per parte, consegnano altrettanti 6-4 all’uno e all’altro mentre il terzo set si chiude al 13° gioco nonostante Noah abbia servito per il match sul 5-4. Becker non vuole abdicare e per una volta risponde meglio di quanto solitamente serva, ma deve arrendersi al tie-break per un soffio. Una grandissima partita, che sostituisce di fatto la finale resa monca dal ritiro di Connors dopo soli otto giochi (4-4) a causa di uno stiramento.