Il tedesco si rifà l’anno successivo e a pagare il conto del suo desiderio di riscatto è nientemeno che John McEnroe. Il mancino festeggia in campo, davanti a una grande torta e in compagnia di Tatum O’Neal, il suo trentesimo compleanno ma in semifinale è Becker a rovinargli la festa. John non aveva mai perso a Milano e la sua striscia record di vittorie consecutive si ferma a quota ventitrè per la gioia, tra gli altri, del capitano dell’Inter Lotar Mattheus, tedesco come il suo giustiziere e proiettato alla conquista del 13° scudetto nerazzurro.
L’ultimo anno al PalaTrussardi incorona Ivan Lendl come “re dei tre impianti”. L’ex-cecoslovacco è infatti l’unico ad aver vinto in tutte le strutture in cui si è fin qui disputato il torneo e per farlo deve addomesticare due baldanzosi yankee che stanno spiccando il volo verso il successo: Jim Courier e Pete Sampras. In finale invece il malcapitato Tim Mayotte subisce la sedicesima sconfitta in altrettanti testa a testa ma per lui non varrà la regola Gerulaitis in quanto sette giorni più tardi perderà di nuovo, sempre in finale, a Toronto.
Come tutti i grandi campioni, Lendl non si accontenta e vorrebbe addirittura fare poker. Dopo Palazzone, Palalido e PalaTrussardi, il torneo si trasferisce nel nuovissimo Forum di Assago. Meraviglioso, ma assai scomodo e ancora poco servito dai mezzi pubblici. Nuovo anche lo sponsor (Muratti) e, ironia della sorte, se il torneo non va letteralmente in fumo è gran parte merito del quasi omonimo Caratti, ovvero il primo italiano finalista nella storia dell’Indoor di Milano. Il 20enne di Acqui Terme accetta di buon grado la wild-card, figlia primogenita del clamoroso piazzamento da lui ottenuto agli Australian Open (quarti di finale), ma in fondo al cuore gli organizzatori sperano che Ivan Lendl, la prima stella del torneo, brilli fino al termine. Invece è proprio Cristiano, che a Melbourne aveva ricevuto in sorte cinque avversari di classifica inferiore alla sua (era n°101), a sbattere fuori il campione in carica, che qui non perdeva da ben undici anni, e sulle ali dell’entusiasmo ripetersi anche con Kulti e Steeb e raggiungere Volkov nella più imprevedibile delle finali. In realtà il russo, mancino per necessità dopo che un incidente in gioventù al gomito destro gli ha limitato la potenzialità del braccio, è già stato finalista due anni addietro e le sue geometrie creano guasti evidenti nel tennis brillante ma leggero dell’italiano. Per Alexander è il primo titolo in carriera, per Caratti la fine di una bella favola.
All’improvviso, forse anche per latitanza di certi grossi nomi, Milano diventa terra di conquista per i nostri portacolori. Ciò che non è riuscito a Caratti, riesce a Omar Camporese l’anno dopo. Di tutte le teste di serie, solo la più bassa (Goran Ivanisevic, n°8) avanza oltre i quarti, livello raggiunto anche da tre italiani. Di questi, Pescosolido e Pozzi si affrontano tra loro (vince il primo) mentre Camporese è nella metà alta e ha preso il posto di Lendl, sconfitto al debutto. Omar da Bologna tiene duro nonostante un fastidioso inizio di epicondilite e in finale recupera un set al croato, regalando il Muratti Time Trophy a se stesso e all’Italia. Goran avrà modo di rifarsi, ma non nell’immediato perché il biennio seguente è un monopolio tedesco.
Boris Becker raggiunge McEnroe in quanto a titoli conquistati ed è curioso che tra le due vittorie non sia riuscito ad infilarne altre. Dopo il successo del ’92 (in finale sullo spagnolo Bruguera), l’ex-campione di Wimbledon resta a secco per dodici mesi e nemmeno la nascita del figlio Noah può placarne l’ira agonistica. Così un anno dopo torna sul luogo dell’ultimo delitto e, pur con molta più fatica, si conferma campione. Il nome prestigioso salva l’albo d’oro ma non può curare tutte le ferite di un torneo che inizia a mostrare il fiatone. Le tradizionali nebbie frenano l’entusiasmo dei milanesi, poco avvezzi a mettersi in macchina per raggiungere Assago, e c’è già chi parla di ritorno al PalaTrussardi.
Tre anni prima aveva vinto il Trofeo Bonfiglio, adesso il più importante torneo della sua ancor breve carriera da professionista. Nonostante l’IMG (proprietaria della manifestazione) continui a perdere soldi e spettatori anno dopo anno, il tennis giocato continua a regalare emozioni e spettacolo in un Forum troppe volte semi-deserto. Becker ha tutte le intenzioni di restare padrone di Milano ma in finale deve vedersela con Yevgeny Kafelnikov, che proprio il giorno prima ha compiuto 21 anni. Il servizio del tedesco trova nella risposta del russo una valida contromisura e allora la partita si snocciola in oltre due ore di gioco eccellente, in cui Boris è costretto a inseguire da un set sotto e nel terzo a rimanere in scia fino al tie-break. Qui Becker arriva al match-point, lo fallisce e cede il titolo a Kafelnikov con un doppio fallo. “Milano è la mia città fortunata” dichiara il Principe di Sochi. Non è dello stesso parere Sergio Palmieri, che se la prende con la RAI, rea di aver bistrattato il torneo con una programmazione deficitaria. Ma questa non è nemmeno una notizia.
Gli ultimi due anni antecedenti il forzato esilio del torneo a Londra sono appannaggio di Goran Ivanisevic. Siamo nell’epoca in cui, sui tappeti indoor, non si gioca. Nel senso che, quando ci sono certi tipi in campo, non si scambia da fondo campo. Quando va bene si assiste a: battuta, risposta e colpo vincente. Quando va male: battuta. E basta. Con il croato è spesso così e se poi in finale ci arriva un altro bombardiere come “Pippo” Rosset allora stiamo freschi. In cinquantanove minuti Ivanisevic mette finalmente le mani sull’Italian Indoors (nuova denominazione), tornato al PalaTrussardi dopo il lustro al Forum grazie alla regia di Franco Bartoni che, rincuorato dalla crescita degli spettatori, garantisce per il futuro. Un futuro di breve durata, però. Il tempo di tornare al Forum, ritrovare Goran con il trofeo in mano, Sergi Bruguera che lo guarda sconsolato e capire che siamo ai titoli di coda. Dal 1998 e fino al nuovo millennio Milano si giocherà a Londra.