Continuano, per fortuna del tennis italiano, a sorprendere in positivo le nostre giocatrici, capaci di ottenere risultati brillanti forse addirittura a dispetto della loro attuale classifica e stato di forma. Il caso di Pennetta e Vinci, protagoniste della prima finale di uno Slam tutta italiana in un momento in cui erano lontane dal loro best ranking, è stato riproposto questa settimana, ovviamente in maniera minore, dai risultati di Sara Errani e Francesca Schiavone.
Sarita ha sorpreso tutti, crediamo anche lei stessa, ottenendo a Dubai il nono e soprattutto più prestigioso titolo in carriera, un WTA Premier, stessa categoria e dote di punti di quello di San Pietroburgo vinto dalla Vinci la settimana scorsa, ma con un prize money tre volte superiore. Eppure, la marcia della Errani, era iniziata non senza difficoltà: all’esordio contro Zheng, qualificata al numero 72 del ranking, si è trovata sotto nel primo set col punteggio di 1-5, prima di operare una rimonta che le avrebbe consentito di vincere addirittura il primo parziale per 7-5 e poi il secondo per 6-3, dopo un’ora e tre quarti di partita. Probabilmente quel primo set vinto infilando sei giochi di fila dopo aver giocato malissimo all’inizio, è stato il segnale di un avvenuto cambio di marcia per Sara, reduce dalla eliminazione al primo turno agli Australian Open con la Gasparyan, allora al 58 ° posto del mondo e poi dalla doppia sconfitta nei singolari a Marsiglia in Fed Cup, con due giocatrici come la Mladenovic e la Garcia, buone ma pur sempre classificate fuori dalla top 30. Soprattutto, preoccupavano le dichiarazioni di Sara sia a Melbourne che a Marsiglia, nelle quali manifestava una certa stanchezza psicofisica verso il tennis. Invece a Dubai, dopo quell’inizio di partita disastroso, si è fortunatamente accesa la lampadina.
Già il secondo turno le presentava un avversario tutt’altro che comodo: la Shvedova l’aveva sconfitta negli ultimi tre precedenti (il più recente era la nettissima vittoria a favore della kazaka a Wimbledon 2012, con l’onta del golden set subito) ed aveva appena eliminato la Vinci. Invece, Sara in meno di un’ora di gioco si è guadagnata l’accesso ai quarti col pesantissimo punteggio di 6-3 6-0. La vittoria nei quarti contro la Brengle, sessantesima giocatrice del ranking di singolare, è, delle cinque partite giocate a Dubai, quella dove ha sofferto maggiormente il gioco dell’avversaria e nella quale ha più dovuto tirar fuori la “garra”che l’ha resa celebre. Trovatasi sotto 4-1 nel terzo, per rimontare l’americana ha sfoderato intelligenza tecnica (una serie di smorzate per spezzare il fiato e far saltare i riferimenti all’avversaria) ed una cieca determinazione che l’hanno portata, dopo quasi due ore e mezza, a guadagnare l’accesso alle semifinali. Qui l’attendeva la ventunenne ucraina Elina Svitolina, n° 21 del ranking wta, contro la quale aveva vinto l’unico precedente del 2014 sull’indoor di Parigi. Un impegno per nulla facile, che Sara ha affrontato brillantemente, cercando di evitare di essere attaccata sulla sua seconda (ha messo in campo un ottimo 86% di prime in campo): nei momenti cruciali dei due parziali è stata brava a rompere l’equilibrio del punteggio ed ha così vinto in 1h51’.
In finale Sara è stata perfetta: aveva dall’altra parte della rete Barbora Strycova, ventinovenne tennista ceca al quarantasettesimo posto del ranking. Sara ha sfruttato da campionessa l’occasione di affrontare in un Premier una giocatrice che sopravanzava in classifica e contro la quale aveva già vinto cinque dei sei precedenti scontri diretti ed ha conquistato una finale senza storia, ottenendo un titolo che la riporta anche nella top 20 (precisamente al diciassettesimo posto).
Il titolo vinto da Francesca Schiavone è ovviamente meno importante di quello della Errani dal mero punto di vista tecnico: il torneo di Rio per campo di partecipazione, montepremi e punti messi in palio, era di basso livello, basti notare che la prima testa di serie era la Pereira, beniamina di casa, numero 44 del ranking e che l’ottava testa di serie non era tra le prime cento al mondo. Tuttavia, ha regalato ugualmente grande gioia agli appassionati italiani il ritorno al successo della prima campionessa italiana a vincere un Grande Slam. La nostra Leonessa, reduce dalla trasferta in Fed Cup come quarta giocatrice, circostanza che ad alcuni era sembrata preludio ad un suo futuro ruolo di capitano non giocatore, nel 2015 non aveva raggiunto che i quarti due volte in un torneo WTA ed era reduce dalla grossissima delusione della mancata qualificazione agli Australian Open con il conseguente fallito record della Ai Sugiyama (la partecipazione a 62 Slam consecutivi). Era dunque davvero difficile immaginare la grande cavalcata operata da Francesca a Rio, che è da lodare innanzitutto per la capacità di trovare a 35 anni, dopo aver vinto un Roland Garros ed essere stata top ten, ancora stimoli per sobbarcarsi scomode trasferte per giocare nei tornei minori.
A Rio la Schiavone è subito partita col piede giusto: sorteggiata contro la testa di serie numero 7, la tedesca Tatjana Maria, ha superato l’ostacolo rappresentato dalla novantesima giocatrice al mondo, con estrema facilità. Contro la colombiana Duque Marino, numero 81 del ranking WTA, Francesca ha confermato di aver conservato anche un’ottima condizione fisica, venendo a capo di una lunghissima battaglia di due ore e mezza. Trovatasi ad avere due match point nel decimo game del terzo set, è stata bravissima a non disunirsi per averli sprecati ed a cogliere la vittoria alla seconda chance nel dodicesimo gioco.
Il ritorno ad un quarto di finale da luglio (quando ad Istanbul dopo aver battuto la Giorgi fu fermata dalla Flipkens in due set) è contro una qualificata, la 23enne olandese Cindy Burger, numero 187 del mondo. Se la classifica suggeriva che per la Schiavone fosse un impegno più facile dei due precedenti, il campo certifica il contrario: Francesca parte male e dopo un inizio difficile, che le costa il primo set, l’olandese si trova a servire per il match sia nel decimo che nel dodicesimo gioco ed ad avere un match point a proprio favore. In questo frangente, la Schiavone si dimostra la Leonessa di un tempo e porta il match al tie-break, dove fa valere la sua maggiore freddezza ed esperienza. Il terzo set aveva così un finale già scritto e Francesca accede in semifinale dopo 2h36’ di lotta.
La semifinale contro Petra Martic, venticinquenne croata scivolata al 162esimo posto del ranking, ma tennista con colpi e talento, era più complessa di quello che la classifica e l’unico datato precedente a favore di Francesca (Marrakesh 2013) potesse far pensare. Per fortuna, però, la Schiavone ha sciorinato per gran parte dell’incontro un tennis di apprezzabilissimo livello, nonostante i 32 gradi umidi di Rio, ed ha raggiunto la finale.
Il settimo titolo in carriera (in diciotto finali) che riporta Francesca tra le prime cento giocatrici al mondo, arriva al termine di una finale sofferta, ma che proprio per questo forse regala più gioia. Contro Shelby Rogers, 23enne tennista al 132esimo posto del ranking, la Schiavone si trova sotto di un set e di un break, prima di trovare il bandolo della matassa e lasciare le briciole alla disorientata avversaria: il successo va in archivio dopo 1h47’.
L’altra grandissima gioia della settimana nel tennis femminile, prima in ordine di tempo, non è arrivata da una partita, ma da un grande e prestigioso obiettivo raggiunto. Dubai 2016, nonostante l’eliminazione al primo turno, resterà infatti comunque scolpito indelebilmente nella testa di Roberta Vinci: l’eliminazione della Suarez Navarro da parte della Garcia al secondo turno del ricco Premier arabo (2.000.000 di dollari di montepremi) ha difatti regalato alla tarantina una delle maggiori soddisfazioni della sua carriera, l’accesso alla top ten del ranking di singolare, traguardo meritatissimo se rapportato all’eleganza ed al talento del gioco della nostra giocatrice. Roberta, dopo essere arrivata stanca a seguito di un volo di sei ore affrontato il giorno prima e reduce da una settimana fantastica, ma molto impegnativa a San Pietroburgo, è apparsa andare in campo martedì sera legittimamente scarica psicofisicamente e non capace di ambientarsi subito alle cambiate condizioni di gioco rispetto all’indoor russo. Opposta alla qualificata kazaka Schvedova, buona giocatrice sebbene abbia una classifica che non le renda merito (nr 83 Wta), la tarantina non è riuscita a far pesare il vantaggio di fiducia, classifica e di confronti diretti (2-1, ma i due sul cemento vinti entrambi dalla Vinci): dopo un pessimo inizio di partita costatole il primo set, la tarantina ha iniziato a giocare come sa abbastanza da poter portare la gara al terzo, ma non sufficientemente per evitare la sconfitta, arrivata dopo 1h49’ col punteggio di 6-0 4-6 6-3 a favore della sua avversaria.
Preoccupa invece molto la sconfitta di Camila Giorgi rimediata contro Andrea Petkovic: contro la tedesca, ventottesima giocatrice al mondo ed ex-top ten, si può perdere, ma se lo si fa col punteggio di 6-2 6-1 in sessantatrè minuti contro una tennista con la quale sei avanti tre ad uno nei precedenti (ed in due di essi erano stati lasciati alla Petkovic tre game, una volta proprio a Dubai appena due anni fa) iniziano ad evidenziarsi segnali di regressione, assolutamente preoccupanti a ventiquattro anni. Camila dalla bellissima vittoria di S’Hertogenbosh, primo titolo in singolare che sembrava dovesse essere trampolino di marcia per il raggiungimento di altri e più prestigiosi trofei, ha addirittura una sola volta raggiunto i quarti di finale (ad Hobart a gennaio, in un tabellone modesto dove era seconda testa serie): la crisi di risultati è incontestabile e preoccupa vedendo l’indiscusso talento dell’ancora giovane maceratese.
Passando agli uomini, bisogna purtroppo osservare che quella appena trascorsa è invece senz’altro la settimana peggiore sin qui nel 2016 per il tennis maschile azzurro: non solo per la prima volta quest’anno nessun uomo è arrivato nemmeno nei quarti (ovviamente non considerando gli Australian Open), ma, soprattutto è arrivata la bruttissima notizia della lesione agli addominali obliqui occorsa durante l’ ATP 500 di Rio al nostro numero 1, Fabio Fognini. Tutto il tennis azzurro spera che l’infortunio del nostro miglior giocatore comporti una breve assenza dal circuito: per intanto, l’unica notizia certa è che Fabio si è cancellato dal torneo di San Paolo, che poteva essere una buona occasione per recuperare almeno parzialmente la grossa dote dei 300 punti che la mancata difesa della finale di Rio dello scorso anno comporterà. E dire che Fognini aveva iniziato bene nel torneo della capoluogo carioca, dove aveva raggiunto i quarti due anni fa e la finale nel 2015, sconfiggendo per la prima volta in carriera Nadal: opposto al primo turno a Bedene, sloveno naturalizzato britannico al cinquantunesimo posto del ranking ATP contro il quale aveva vinto tutti i cinque precedenti, ha vinto senza troppi problemi. Anche quando si è trovato sotto di un break nella parte centrale del primo set, non ha mai dato l’impressione di poter perdere, e difatti in 1h34’ Fabio ha guadagnato l’accesso al secondo turno col punteggio di 7-5 6-3. Qui ha dovuto affrontare lo spagnolo Gimeno Traver, terraiolo doc scivolato al centodiciottesimo posto del singolare e proveniente dalle qualificazioni: sia i precedenti (3-1 per il nostro giocatore) che il primo set, vinto col punteggio di 6-4, corroboravano le speranze di vedere il nostro giocatore nei quarti. Purtroppo, dopo un’ora di gioco ed appena tre punti giocati a seguito di uno stop per la pioggia, Fabio ha dovuto ritirarsi: il desiderio di tutti gli appassionati italiani è di rivederlo prestissimo in campo, non tanto per il primo turno di Davis per il quale la sua presenza pare incerta, ma per i Masters 1000 sul cemento americano e soprattutto per i grandi tornei sulla terra battuta europea, dove Fabio avrebbe le carte in regola per essere protagonista.
Sulla terra di Rio si è anche disputato al primo turno il derby azzurro tra Cecchinato e Lorenzi, vinto dal nostro giocatore più in forma nel 2016 al termine di, come era prevedibile, una lunga battaglia di due ore. La chiave del match è stata l’abilità con la quale Paolo è riuscito facilmente a conservare il servizio (ha concesso solo due palle break in una partita sulla terra rossa, perdendo il servizio una sola volta nell’ottavo game del secondo parziale, circostanza che gli è costata la perdita del secondo parziale). Continua a non pagare la scelta di Cecchinato di misurarsi nel circuito maggiore: non possiamo che sperare che le dodici sconfitte di seguito nel circuito maggiore servano comunque per accumulare esperienza e maturare tecnicamente a breve. Purtroppo per Lorenzi, lo scontro al secondo turno contro Federico Del Bonis, a Rio suo compagno di doppio, è stata occasione di una prestazione insolitamente per lui non guerriera: per Paolo, perdere 6-3 6-0 in un’ora contro un giocatore che lo precede di sole quattro posizioni e che era stato da lui battuto a livello challenger ben tre volte, è stato probabilmente segno di un fisiologico momento di stanchezza per un giocatore che a 34 anni ha disputato il suo ventunesimo incontro di singolare nel 2016.
A Marsiglia è invece continuato purtroppo il 2016 avaro di soddisfazioni per Simone Bolelli (quattro eliminazioni al primo turno, unica vittoria a Melbourne, quando ha sconfitto dopo quattro tie-break Brian Baker che rientrava dopo due anni e mezzo nel circuito). Il bolognese, al rientro nel circuito dopo i problemi fisici manifestatisi durante gli Australian Open, era opposto a Benoit Paire, testa di serie numero 8 del tabellone e ventiduesimo giocatore al mondo, tennista talentuoso anche lui reduce da un inizio d’anno disastroso. Simone purtroppo non è riuscito ad essere incisivo col servizio, concedendo 16 palle break e facendosi rubare la battuta quattro volte: i due controbreak operati da Simone a metà dei parziali non sono serviti a nulla perché nello sprint finale dei due set il francese è riuscito nuovamente ad allungare nel punteggio, chiudendo l’incontro in un’ora e mezza.