Qui l’articolo originale del New York Times
Di tutti i palcoscenici sportivi da cui potevano suggerire che le donne “dovrebbero inginocchiarsi ogni notte e ringraziare Dio” per la loro controparte maschile, cui devono in effetti i loro mezzi di sostentamento, l’ultimo da cui ce lo saremmo aspettati è il tennis.
Perché, se ci fosse una Corte Suprema a presiedere sul mondo dello sport, la questione della parità di genere così come è applicata al tennis, sarebbe stata da anni una legge. Durante l’Era Open di guadagni economici enormi, Chris Evert ha brillantemente perorato la causa, in coppia per sempre con Martina Navratilova, al fianco di Steffi Graf, Venus e Serena Williams, e Monica Seles fra le altre.
Raymond Moore, l’ormai ex direttore del BNP Paribas Open, che domenica ha affermato che le donne “cavalcano il successo degli uomini”, ha dimenticato che il complesso tennistico a New York che funge da Centro Nazionale Americano, prende il nome di King?
Che sarebbe Billie Jean, regina spirituale del movimento per la parità di genere fra le sportive.
Moore, 69 anni, è sudafricano ma anche il direttore di un grande torneo in California. I suoi commenti hanno portato Navratilova a dichiarare in un messaggio: “Sarebbe difficile immaginare che una qualunque donna vorrà andare a giocare ad Indian Wells se Moore dovesse restare direttore del torneo”.
Moore si era immediatamente scusato per le sue dichiarazioni, che da una parte sembrava volessero rendere omaggio alla lunga corsa ai vertici di Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic.
Buon per lui, eppure da quale tipo di sistema dei valori regresso ha tirato fuori questo linguaggio? Quei commenti sono andati ben oltre lo strano per arrivare ad essere misogini. E provengono da un uomo che non è certo un principiante in questo sport o di questo particolare torneo; questi commenti tradiscono un notevole caso di amnesia riguardo a cosa fosse questo sport prima che Federer diventasse un Baryshnikov in scarpe da ginnastica, seguito successivamente da Nadal, spadaccino spagnolo.
Moore ricorda che la battaglia per i prize money delle donne negli Slam – appassionatamente difesa dietro le quinte da Venus Williams – è cresciuta in larga parte in quel periodo pre-Federer, quando le donne trascinavano questo sport in termini di varietà di stili, di personalità e sì, di una sana dose di competizione?
Qualche mese fa, Martina Hingis ha parlato del punto apparentemente dimenticato da Moore – la natura ciclica dello sport – quando disse, “Lo so che possono sembrare le parole di un’ ex tennista che dice, ‘Oh, i nostri tempi erano migliori’, ma per qualche anno noi siamo state come gli uomini di oggi, solo, credo, con stili differenti”.
“Avevamo le sorelle Williams, la loro forza e movimento, il talento di Lindsay Davenport, il mio gioco che era come una partita a scacchi e Monica Seles, ancora fantastica dopo quello che le era successo”.
E non dimentichiamo Jennifer Capriati – che questo mese compirà 40 anni – che scacciava via i demoni della sua adolescenza vincendo tre titoli del Grande Slam, e giocando in modo così vigoroso fino a quando un infortunio non l’ha ostacolata nel 2004.
Al volgere del secolo, c’era anche un’eccezionale tennista che non ha mai vinto un torneo. Riferendosi ad Anna Kournikova, Hingis ridacchiava e raccontava, “E Anna era davvero bella – era bello vederla in campo”.
O.K., quindi anche una donna può abbassarsi al rischio dell’oggettivazione. E Moore si è reso colpevole anche di questo, quando si è riferito alle promettenti giovani tenniste Eugenie Bouchard e Garbiñe Muguruza come “fisicamente e competitivamente attraenti”.
Indian Wells, il bersaglio della famiglia Williams di un boicottaggio durato anni, dopo la controversia del 2001 che secondo le sorelle aveva delle implicazioni razziali, ancora una volta sale alla ribalta per le ragioni sbagliate, e Moore non è il solo ad aver fatto notizia.
Navratilova è stata particolarmente colpita dalle parole del numero uno del mondo Novak Djokovic, secondo il quale bisognerebbe mettere di nuovo sul tavolo la questione prize money “dato che le statistiche mostrano che noi abbiamo molti più spettatori nelle partite maschili”.
“Credevo avessimo chiarito questo punto anni fa”, ha dichiarato Navratilova.
Con buone intenzioni ma con dei giudizi discutibili, Djokovic si è avventurato in altre sabbie mobili quando ha elogiato le donne per essere capaci di elevarsi al di sopra delle dispute biologiche.
“Sapete, gli ormoni e altre cose differenti – non c’è bisogno di scendere nei dettagli”, ha detto.
Quei dettagli, proprio no, perché la sola introduzione di questo tema sembrerebbe un modo infruttuoso da parte di Djokovic di riparare a qualcosa di indelicato. Se avesse voluto far luce su una questione che riguardava il corpo femminile, avrebbe potuto dire che le carriere più lunghe sono molto meno complicate per gli uomini.
Federer ha giocato senza interruzioni dopo aver avuto quattro figli. Djokovic ha continuato a dominare dopo essere diventato padre. Ma le donne hanno dovuto fare a meno delle carismatiche campionesse Slam Kim Clijsters, 32 anni; Justine Henin, 33 anni e Li Na, 34 anni, tutte donne che si sono ritirate per avere dei bambini.
A 34 anni, Serena gioca ancora, pronta a ricordare a Moore e al mondo intero che la sua caccia al Grande Slam è stato l’immortale racconto degli scorsi US Open fino alla sconfitta in semifinale contro Roberta Vinci.
E Moore dovrebbe ricordare che per quanto Federer e Nadal restino amati, il tennis maschile non ha questa convincente aria di inevitabilità – cioè il dominio di Djokovic – creando quindi una dinamica simile a quella di Serena.
Chi sa da quale parte di questo sport emergerà la prossima stella? Il tennis è uno sport in cui queste domande possono essere a malapena poste.
La parità di genere è un rompicapo quasi ovunque, una continua ragione di dibattito sulle condizioni di crescita, di imparzialità nella copertura mediatica e su numerosi altri fattori.
Mary Jo Kane, un’attivista in questo ambito, non si considera di certo una delle più grandi tifose di tennis. Eppure come direttrice da tempo del Centro Tucker per la ricerca sulle ragazze e le donne nello sport, presso l’Università del Minnesota, è più focalizzata sulle azioni, attitudini e sì, il linguaggio.
Dopo aver letto le parole di Moore, ha detto in un’intervista telefonica che avrebbe voluto che qualcuno gli avesse chiesto: “Ogni volta che Serena gioca un match che mette in ombra quelli maschili, per caso loro si inginocchiano e ringraziano Dio per la sua esistenza? E per caso i primi cinque tennisti americani – e non saprei nemmeno dirti i loro nomi – si inginocchiano e ringraziano Dio per l’esistenza di Federer e Nadal? Perché dovrebbero farlo solo le donne?”.
Ha ammesso che è stato bello sentire Moore scusarsi immediatamente; spera che lui sia stato solo un’anomalia con quelle convinzioni, ma “anche se così fosse, lui è anche in una posizione di potere”.
A cui Nancy Lieberman, la pioniera leggenda del basket femminile che si trovava con i Sacramento Kings sabato notte al Madison Square Garden in quanto secondo assistente coach donna nell’NBA, ha detto: “È triste che un uomo nella sua posizione abbia una così bassa considerazione delle donne, specialmente mentre si trova accanto a Serena Williams”.
Lieberman, che una volta allenò Navratilova, ha aggiunto: “Mi sorprende che sia in grado di tenersi il suo lavoro”.
Almeno fino a lunedì sera, quando Moore si è dimesso dal suo ruolo di direttore. Visti i suoi commenti grossolani, lui e altri direttori di tornei devono sapere che l’immagine di una donna che si inginocchia, supplicando un uomo, non può appartenere ad un torneo combined di quel livello, nonostante le scuse. Doveva andarsene.
Leggi fra i commenti le risposte di Ubaldo a Derek e Pippo