Serena Williams e Nadal, i lottatori sono in crisi (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)
Chi non ha testa abbia gambe, si dice, ma quando testa e gambe non trovano un accordo, anche il meccanismo più sofisticato s’inceppa. Ed è così che i due emblemi della lotta tennistica, i due guerrieri della racchetta, Williams e Nadal, si trovano in difficoltà. Se per il maiorchino il peggio della crisi mentale sembra essere passato, per Serena Williams la botta post-Vinci non è ancora riassorbita. La sconfitta in semifinale a New York e il mancato Grande Slam sono una ferita che non si rimargina, che torna a far male sempre nel momento decisivo. La testa non va, le gambe non girano, le vittorie non arrivano. A febbraio, a Melbourne, è letteralmente evaporata nella finale contro la Kerber, togliendosi il pensiero del Grande Slam da subito. A Indian Wells, in finale con la Azarenka si è squagliata. La stessa cosa è accaduta a Miami, il torneo che per lei è il giardino di casa, che aveva già vinto otto volte, le ultime tre consecutivamente. Dopo un primo set vinto al tie break, dopo aver visto che la Kuznetsova non aveva nessuna intenzione di mollare, ci ha pensato Serena, e si è lasciata andare. I 53 errori gratuiti e gli otto doppi falli contro i 13 ace, la dicono lunga sull’atteggiamento mentale di Serena, che non si sente più invincibile «Ho fatto il meglio che ho potuto — ha detto la n.1 al mondo —. Non posso vincere ogni partita. Le altre giocatrici quando scendono in campo contro di me giocano come mai hanno fatto prima. Devo essere al 300 per cento ogni giorno».
Rafa, dopo il suo orribile 2015 aveva ammesso: «Ho passato più tempo a preoccuparmi degli avversari che di me stesso e del mio gioco», e Serena allo stesso modo la butta sul vittimismo: «Contro di me fanno tutte la partita della vita». Ma cosa scatta nella mente di questi campioni, da sempre simbolo di lotta e potenza in campo? «Le sconfitte, come quella molto pesante di Serena a New York, o quelle subite di frequente da Nadal lo scorso anno, hanno messo di fatto in discussione il concetto di potenzialità — spiega Giosè Milli, coach dell’istituto Hoffman —. L’idea di “voglio, quindi posso”, per qualche ragione per loro non ha più funzionato. E così l’inconscio di questi due campioni non ha lo stesso grado di motivazione di prima perché la percezione di se stessi è cambiata. La possibilità di raggiungere un obiettivo semplicemente giocando bene non è più la stessa di prima. Questo può condurre a circoli viziosi di motivazione decrescente e di prestazioni scadenti».
E per una Serena che parla delle avversarie troppo motivate, c’è un Nadal che ritiene il tennis troppo fisico. Un controsenso, una contraddizione in termini da parte dello spagnolo, massima espressione del tennis muscolare, dell’intensità agonistica come priorità del gioco. E la fine del tennis muscolare? «Stiamo parlando di un giocatore come Nadal che ha iniziato a giocare giovanissimo, colpendo milioni di palline l’anno — commenta Stefano Baraldo, preparatore atletico che lavora con Simone Bolelli —, Serena è una donna di 35 anni ed è ovvio che abbia un calo. Si gioca tutto l’anno, su superfici spesso dure che creano traumi alle ginocchia, si affrontano climi al limite giocando in orari folli per favorire la programmazione televisiva. Ricordiamoci che i giocatori non sono macchine (…)