Nadal e Froome appartengono a quella categoria elitaria di atleti che, se proprio non lo hanno inventato, un aspetto caratterizzante del proprio sport lo hanno saputo spingere al limite del conosciuto. A tal punto da renderlo quasi alla stregua di una novità assoluta. Alla base della similitudine tra questi due campioni sta un movimento rotatorio, ovvero qualcosa che sappia descrivere con rigore una circonferenza. Geometricamente, per carità, nulla di nuovo – Giotto questa volta non c’entra – se non fosse che grazie all’esasperazione delle rispettive gestualità questo fenomeno ha cominciato a palesarsi secondo velocità angolari mai esplorate da nessun illustre predecessore. Top-spin, nel tennis, e pedalata a mulinello, nel ciclismo, non sono certo fenomeni nati ieri. Sarebbe quindi un errore grossolano quello di farsi prendere dalla tentazione di attribuirne loro la paternità, tuttavia c’è in comune un’innovativa forma di evoluzione nel bel mezzo di fenomeni prettamente fisici.
Capitolo tennis. I grandi arrotini degli anni ’90 come Thomas Muster e Sergi Bruguera sapevano già esibire, grazie anche all’avvento di attrezzi e materiali rivoluzionari, effetti ottenuti spazzolando la palla dal basso verso l’alto tutt’altro che trascurabili. Pare infatti che una pallina delle loro fosse in grado di ruotare su sé stessa la bellezza di 3500 volte in un giro di lancette. In quanto a top-spin quindi, inteso come parte integrante del gioco, niente di nuovo sotto al sole di Manacor. Probabilmente è facendo tesoro di quelle fortunate esperienze che Nadal ed il suo staff tecnico hanno messo a punto un’arma letale imperniata sull’uso esasperato della rotazione, grazie alla quale inseguire i grandi traguardi. Trattasi del famigerato diritto mancino, concluso con il caratterizzante finale di movimento pseudo-verticale al di sopra della spalla sinistra. Un colpo senza dubbio poco ortodosso – i manuali teorizzano infatti la chiusura sopra l’articolazione opposta alla mano che impugna la racchetta – e poco elegante – tuttavia de gustibus non disputandum est – ma capace, qualora supportato da fasce muscolari possenti, di spostare gli equilibri del tennis mondiale. Evoluzione darwiniana di un colpo, il diritto, vecchio quanto il tennis stesso. Il maiorchino, più simile in quanto a mimica ad un cowboy che si prepara al lazo nel bel mezzo di un rodeo, grazie alla poderosa frustata ascendente è in grado di scagliare oltre la rete traccianti che possono raggiungere il picco record di 4900 giri al minuto che, più che atterrare nel rettangolo di gioco, esplodono in rimbalzi alti e debordanti di energia. In definitiva, un top-spin portato all’ennesima potenza per un colpo capace di stravolgere la tecnica vista nei decenni precedenti. Domandare a Federer per credere.
Anche nel ciclismo c’è qualcosa che gira e che, almeno in certi termini, più in fretta avviene e più diventa redditizio. Questione di proporzionalità diretta tra velocità e potenza. L’essenza stessa della bicicletta è il movimento centrale che consente di trasformare la forza che l’atleta scarica sui pedali in un moto rotatorio. La rotazione per eccellenza è data dalla rivoluzione completa compiuta da un piede; la numerosità di quest’ultima nell’arco di un minuto costituisce la frequenza di pedalata. Evidente, pertanto, l’analogia con la quantificazione del top-spin di cui sopra. Se tutti i ciclisti pedalano, c’è invece qualcuno che pur praticando la medesima disciplina frulla. Quella che il gergo definisce pedalata a frullino (o a mulinello che dir si voglia) altro non è che la rivoluzione copernicana del gesto canonico che la meccanica del mezzo obbliga a compiere, elevando la frequenza oltre la soglia significativa dei cento colpi al minuto. La non ordinarietà di tale evento è traducibile per i meno avvezzi dalla sensazione che si avvertirebbe pedalando a vuoto in discesa, quando le gambe girano vorticosamente quasi prive di controllo con il cuore che schizza in gola. Far di ciò una virtù significa intanto tecnici che studiano ed interrogano parametri clinici, più ore e ore di maniacale allenamento in sella. Con la complessità che nello specifico non è detto che volere sia necessariamente potere considerati i requisiti biologici necessari, più da Superman che da comune mortale. Se i benefici di una pedalata agile, soprattutto in salita, erano già stati ampiamente dimostrati da Lance Armstrong nei primi anni duemila (anche se poi tutti sanno come purtroppo è andata a finire), Froome ed il suo entourage senza nulla inventare hanno saputo spingersi ancora più in là. A vederlo in azione violentare con la postura di un corpo magrissimo la simmetria della bicicletta, ci si rende conto che Froome non avrà mai la compostezza di un Gianni Bugno. Ma quando alleggerisce di qualche dente la corona posteriore salendo al contempo con la cadenza, l’illusione è quella di una strada che spiana d’incanto sotto le sue ruote. Anche se il traguardo è posto in cima al Monte Ventoso, teatro non a caso di una delle dimostrazioni di forza più cristalline della storia di questo sport. Mulinando in salita rapporti cortissimi anche fino a 130 colpi (per gli altri sarebbe arduo persino in pianura) senza mai levarsi sui pedali, Chris non impregna le articolazioni inferiori di acido lattico, si stanca di meno e allunga la performance di alto livello nel tempo, rendendo quasi impossibile per gli avversari resistere alla sua ruota. Che dire, un motorino.
La novità sta allora tutta nei neologismi. Uno spazzola con la chela mancina. L’altro frulla come se l’attrito si fosse dimenticato di lui. Entrambi gettano il cuore oltre l’ostacolo come se non ci fosse un domani. Se Rafa e Chris dividessero a metà il piccolo schermo, in quel moto rotatorio sgraziato e vincente che più di ogni altro li rende unici, inconfondibili ed irripetibili, due sagome così dissimili tenderebbero dinamicamente a sovrapporsi, quasi a coincidere. Spazzola e frulla, frulla e spazzola. Una, cento, mille volte, dall’alto della loro formidabile ineleganza. Del resto qui non si parla di discipline assoggettate al voto di una giuria, ragion per cui può tranquillamente succedere che il più forte non sia anche il più armonioso di tutti. Che piaccia o no, fino a prova contraria vincere è l’unica cosa che conta. E con buona pace di De Coubertin (e degli esteti ad ogni costo) questi due luminari di periodi, frequenze e velocità angolari li ricorderemo a lungo. Almeno finché la terra non si sarà stufata di ruotare…