Qui potete trovare la rassegna stampa completa del giorno 11.04.2016
Emanuela Audisio, La Repubblica, 11.04.2016, Intervista a Yannick Noah: “In questo tennis e in questo mondo ora manca la luce”
Nello sport campione, musicista, sempre schierato: non è stato il più grande, ma il più diverso. In campo, sul palco e fuori. Il suo stile a 56 anni è ancora inconfondibile. Yannick Noah ha amato e giocato ovunque: con la racchetta e con la voce. Tre mogli, 5 figli, 11 album dopo il suo ritiro (’91), più di sei milioni di dischi venduti. Primo nero e ultimo francese dopo 37 anni a vincere il Roland Garros. Da ct tre Coppe Davis: due con gli uomini (’91 e ’95), una con le donne (Fed Cup ’97). Un idolo, uomo di più mondi, sport e rock, Ashe, Marley e Mandela. Da pochi mesi è tornato a fare il capitano della Francia. L’incontro è a casa sua tra casse di vino, sigarettine e libertà. Il corpo non è cambiato, la gioia di vivere nemmeno. Se non rimpiangeva niente la Piaf, figurarsi lui.
«Ho fatto tutto per il piacere. Ho giocato per piacere, ho cantato per piacere. I miei genitori hanno sempre sottolineato il mio privilegio: fai la cosa che ami, cosa c’è di più bello? Così a 31 anni ho smesso di giocare e ho iniziato a cantare. Sì, ho avuto successo. Ma per riuscire bisogna dedicarsi. Ci ho messo dieci anni per imparare a giocare a tennis a altri dieci per apprendere a stare sul palco. Ho suonato davanti a poche facce, a persone che non mi ascoltavano, in posti senza elettricità. Sono passato anche io dalla gavetta, ma non mi ha mai pesato, nemmeno fare sette ore di prove. Io amo quello che faccio. Anche la mia rabbia. Sono abituato che si dà aiuto a chi lo chiede. Gli altri esistono, non si può lasciarli fuori con la scusa che disturbano“.
Lei si è sempre schierato.
“L’attacco a Charlie Hebdo ha cambiato tutto. Io non vivevo in guerra, io non avevo visto, né patito la guerra. Ora siamo testimoni di questa situazione di grande follia. La storia, la conoscenza non contano più, c’è solo la sciocchezza e l’ignoranza. Sì, provo rabbia per come vanno le cose nel mondo, molta rabbia. Per come a certe latitudini la vita non conti niente, tanto più quella delle donne. L’altra sera ho visto un documentario e sono inorridito: ragazze ridotte a schiave, sottomesse, violentate. Gli uomini che in nome di una religione fanno questo sono barbari. Mi dicono: ma tu non vivi nella banlieu, stai in un bel quartiere. E allora? Sono cosciente dei miei privilegi, ma anche delle ingiustizie, penso che noi siamo responsabili del malessere degli altri. Anche con l’indifferenza. Se da una parte comprimi i bisogni, da qualche altra la tensione scoppierà“.
Ha scritto la canzone: Ma Colère. Contro Le Pen e il Front National.
“Mi voglio impegnare per chi non conta, voglio dare la mia voce a chi non la ha. Il successo non è mai stato la mia finalità, nemmeno da tennista. Lo è stato il gioco, che è molto più grande del risultato. Mio padre è del Camerun, mia mamma era francese, mi trovo nella doppia posizione del colonizzato e del colonizzatore. Sono in una situazione complicata: in Francia sono nero, in Africa non lo sono abbastanza. Il mio carattere mi ha portato a prendere posizione verso il Front National. Ho scritto e cantato: La Mia Rabbia. E sul web sono stato trucidato da una violenta campagna anti-Noah. La facilità e la superficialità con cui si può offendere tutti, senza firma, è un danno“.
Antifascista da avanspettacolo, era la critica.
“Una volta trovavi l’imbecille al bar che diceva qualche parola di troppo, gli rispondevi di farsi passare la sbornia, di mettersi sotto una doccia fredda e di andare da uno psicologo. Ora su internet ti trovi sommerso e linciato da insulti di vigliacchi senza nome. Sono socialista, ho cantato in piazza per Hollande, mio candidato nel 2012. Tre minuti di canzone mi sono valsi due anni di polemiche. Il messaggio è sempre quello: stai buono, non immischiarti“.
Sorpreso dal doping di Maria Sharapova?
“Poveraccia. Non mi è mai stata simpatica, non ho passione per chi bara. Chi si dopa ti deruba di un attimo unico immenso: quello in cui alzi le braccia“.
E allora?
“È che non sopporto l’ipocrisia, la finta verginità di uno sport che si copre le vergogne. Noi sporchi: ma che strano? Questo stupore è la cosa peggiore. E anche offensiva. Le hanno perfino permesso di dare l’ annuncio della sua positività. Di gestire la sua colpa in maniera elegante e soft, da notte degli Oscar. Al vertice del tennis interessa solo preservare se stesso: hai fatto la cattiva?ora rimediamo, ma per carità, non roviniamo il gioco. Hanno paura che il sistema crolli e qualcuno inizi a chiedere il rimborso del biglietto“
La lotta al doping è fiacca.
“Soprattutto impari. Quando un giocatore guadagna più di 11 milioni di euro l’anno, solo di premi, quando in carriera se ne portano a casa 60, sempre di milioni, non c’è lotta contro l’antidoping. Mettiamoci anche i consulenti, gli specialisti, tutti aggiornatissimi sulla lista dei prodotti. Non c’è partita, solo tentazioni. E in più ci sono i siti dove si scommette legalmente. Troppi fronti. Vogliamo ancora parlare di moralità sportiva vista la facilità con cui un giocatore può truccare un match? Per me questo è terribile. Ci sono cascati dentro anche i tennisti italiani“
Il tennis era lo sport della precocità, ora non ci sono ventenni tra i primi 20.
“Mantenere il potere oggi è più facile che conquistarlo. Se sei tra i big hai uno staff colossale, viaggi in prima classe, dormi nel lusso, riposi, mangi bene, controlli il tuo ritmo. Sempre assistito dai migliori. Altro che Air Force One. Se sei un pretendente tutto è più difficile: viaggi male, dormi peggio, sei stanco, perdi lucidità. Ai miei tempi in pochi avevano l’allenatore al seguito. Eravamo soli, ma la vera partita è questa: riuscire a risolvere i problemi“.
Avrebbe preferito uno sport di squadra?
“Ho scelto un gioco individuale perché mio padre giocava a calcio e mio figlio Joaquim ha preferito il basket Nba, ora a è Chicago, per lo stesso motivo. Ognuno ha fatto l’opposto del genitore. Papà, mi dice sempre: sei stato fortunato a non dover condividere i successi e a spartire sconfitte. Se potessi tornare indietro giocherei più a golf. Anche per non annoiarmi. Ci sono magnifici posti nel mondo dove fino al match non sai che fare. Il golf è un ottimo rimedio, ma l’ho capito tardi”.
Gli sportivi si lamentano di non avere tempo.
“Non è vero. Ce l’hanno, ma non lo sanno. Fanno soldi, ma restano fragili, insicuri, con nessuna vera percezione di sé. Gli manca uno specchio lucido. C’è sempre chi gli organizza cosa dire e cosa fare: preparatore, psicologo, nutrizionista, agente, padre, madre, baby-sitter. Si sentono grandi, invincibili, e quando il mondo gli cade addosso si ritrovano piccoli e incapaci.
Anche lei a 23 anni sul ponte sulla Senna ebbe cattivi pensieri.
“Vero. Ero stordito, volevo buttarmi giù. Una crisi d’identità: ero veramente l’eroe che la Francia osannava? Dopo la vittoria al Roland Garros il mio telefono bolliva: venivo invitato da tutti a far tutto. Ero disorientato, senza riferimenti, possibile che fossi così buono bravo e bello? Poi ho preso coscienza: è il percorso che fai per arrivare la cosa più importante, mi sono rivisto bambino, a piedi nudi, a Yaoundè nel Camerun a giocare con un pezzo di legno per racchetta. L’ha capito perfino uno svedese come Mats Wilander, sconfitto in quella finale“.
Vi siete parlati?
“Sì. Mi ha confessato una cosa splendida: ‘È stata l’unica volta nella mia vita in cui è stato bello perdere’. Anche Vitas Gerulaitis sapeva che la sconfitta non è tutto. Resta geniale la sua battuta sul ritiro di Borg, per 16 volte sua bestia nera: deve ancora nascere chi sia in grado di battere Gerulaitis 17 su volte di seguito. A quella generazione mi ha unito anche la musica”.
Oggi si riconosce in qualcuno?
“No, sono sport diversi. Quello era il mio tennis, questo non lo è, anche se resta un ambiente migliore di altri. Ora che sono ct della Davis ho incontrato giornalisti che non vedevo da 20 anni. Mi hanno chiesto di messaggiare sul web. Sarete mica pazzi, ho risposto, dopo gli allenamenti, si va tutti a bere una bottiglia e si discute fino alla morte. Ho un difetto: eccedo, sono intenso nei miei piaceri. Abbiamo portato la Davis per la prima volta nelle isole Guadalupe, giocando lì nelle Antille il turno in casa, siamo andati con i giocatori a visitare ospedali e scuole, a questo deve servire lo sport, a dare e creare occasioni. Non dico che bisogna essere tutti Mohammad Ali, basta anche molto meno“.
Si aspettava che Amélie Mauresmo diventasse coach così apprezzata?
“E anche vincente. No. Farei più bella figura a dire sì, che in anticipo avevo capito tutto, visto che sono stato quello che l’ha più seguita e consigliata. E anche adesso al telefono mi chiama capitano. Ma sono contento per lei, per come lavora con Murray e con la squadra femminile francese. Ha sofferto, ha subito offese per la sua omosessualità, ma alla fine il suo è un percorso fantastico. La sua bellezza è la forza di chi ha scelto la libertà….”
Così parlò Yannick Noah. Eccessivo forse, ma intenso, vero. E Roger Federer? Giudicate voi. Yannick Noah ha talvolta parlato anche a sproposito, non c’è dubbio che sia un personaggio di grande personalità. Da sempre, anche quando era giocatore. Roger Federer è più …svizzero, tende ad essere neutrale, politically correct. Difficilmente, pur essendo lui un idolo incontrastato e il più amato globalmente dei tennisti, ti dice cose davvero sorprendenti e memorabili. Quindi nel confrontare queste due interviste delle due note giornaliste delle principali testate italiane, La Repubblica e Il Corriere della Sera (di cui qui abbiamo pubblicato il link per non esagerare nella lunghezza dei due articoli) non si vuole mettere a confronto chi ha scritto queste interviste ma i personaggi intervistati che ovviamente offrono spunti diversi, a prescindere dalle domande che vengono loro rivolte. Il titolo è volutamente provocatorio e sono sicuro che irriterà migliaia di estimatori del campionissimo svizzero. Nota di Ubaldo Scanagatta