Rassegna a cura di Daniele Flavi
Nole sulla terra: «Ma resto lassù»
Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 11.04.2016
Uno dominava. L’altro si affacciava. Dieci anni sono un carico di ricordi, brividi, emozioni. Una cavalcata nei sentimenti, la gioia dei trionfi e il malessere delle sconfitte. Dieci anni fa, nel 2006, Djokovic debuttava al Country Club: «E il sorteggio mi affidò subito a Federer: bell’avversario per cominciare. Ci persi in tre set, non avevo ancora 19 anni, capii già allora che senza sacrifici non arrivi». Il torneo, in finale proprio con Roger, lo vinse quel diavolo mancino di Nadal, al secondo successo di otto in fila e 42 partite senza macchia, fino al 2012: «Vedevo le partite in tv e mi esaltavo: questo è il primo trofeo che avrei voluto vincere da bambino»….Oggi, ad apparire invincibile, qui e anche altrove, è proprio quel ragazzino che ebbe la ventura di esordire contro il sovrano svizzero di un’era. Sembrava un intruso tra i big, Nole, forse lo è stato, fino a quando ha rivelato una forza tecnica e caratteriale quasi disumana, tanto da far diventare eccezioni mirabolanti le ormai rarissime sconfitte: «La pressione c’è sempre, fa parte dello sport. Io però so di aver lavorato duro per essere arrivato fin qui, mi sono sempre posto delle aspettative elevate ed inseguirle mi dà l’energia per provare a migliorare costantemente. Vivo di ambizioni, sono consapevole che se non continuo a progredire, gli altri si avvicineranno». PRESSIONE Novak il Robot, una macchina insaziabile la cui marcia finisce addirittura per destinare all’oblio epoche mica poi così lontane di potere di un sol uomo: perché fino a un paio d’anni fa, quando partiva la stagione europea del rosso, non esisteva altro dio al di fuori di Rafa. Bei tempi andati? «Io non A LA CHIAVE ILA CHIAVE 2 8 I titoli conquistati da Novak Djokovic al Masters 1000 di Montecarlo: 2013 e 2015 I titoli conquistati a Monaco da Rafa Nadal: ha vinto tutte le edizioni del torneo dal 2005 al 2012 ho mai pensato di poter vincere sempre, anche quando mi accadeva spesso — confessa ora Nadal — e ho sempre guardato a quello che mi attendeva il giorno dopo, non la settimana dopo. Certo, può sembrare banale, ma vincere ti dà la benzina per vincere ancora, e meglio. In tanti mi chiedono se il fatto che ci sia un giocatore in questo momento così più forte degli altri possa togliere pressione ai suoi avversari. Io vi dico che tutti vorremmo essere nella posizione di Nole». NUMERO UNO Non è una dichiarazione di resa, un guerriero non abbassa mai lo sguardo. ma come allontanare la sensazione, di fronte alla mostruosità delle cifre (28-1 complessivo in stagione, 22 vittorie consecutive nei Masters 1000 da agosto), che esista il circuito di Djokovic e poi quello degli altri? Eppure il segreto è in un paio di parole dal sapore antico: «Amore e passione. E’ quello che provo io per il tennis — confida il serbo — il motore di ogni minuto che dedico al mio sport. Essere numero uno è un sogno che si è realizzato, come i successi a Wimbledon, ma è anche una responsabilità, perché devi esserne degno dentro e fuori dal campo. Ci sono le grandi partite, le grandi rivalità, ma si dimentica spesso che il 90% del tempo non lo trascorri giocando, ma allenandoti. E’ in quei momenti, di fatica e sudore, che devi trasformare l’amore e la passione nell’arma per essere il più perfetto possibile». PARIGI 0 CARA Già, la perfezione. Quante volte è stato meraviglioso contemplarla in quel gancio mancino che ha scritto la storia, in un passante capace di strappare la racchetta dalle mani di chi stava a rete o di accarezzare le righe: perché questo era ed è Rafa Nadal. Anche quello ammaccato di oggi, riflessivo e paziente: «Non è più tempo di esperimenti, di cercare cambiamenti solo per esplorare qualcosa di cui non sei sicuro. E’ il momento di giocare attraverso le cose che conosco. Mi sento positivo ed energico, lo spirito è giusto. Parigi? Troppo lontana». L’amante mai conquistata di Djokovic, l’ultimo baluardo verso il progetto di Grande Slam: «Non cambierò preparazione per vincere al Roland Garros – dice Nole – sarebbe come uscire di strada. Io credo nella forza della mente, faccio esercizi per focalizzarmi su un obiettivo per volta. Solo così acquisisci calma e felicità». Una filosofia da re.
Intervista a Federer «Io, Totti e Rossi panda da tutelare»
Gaia Piccardi, il corriere della sera del 11.04.2016
Dieci anni fa avevo un unico desiderio: essere ancora competitivo a 34 anni. Ed eccomi qui Ero a casa da un mese e mezzo per l’infortunio: quando mi sono messo a fare le valigie, mi sono scoperto emozionato come un ragazzino Il ritiro? Ancora non è deciso, al dopo penso ma non è un’ossessione di Gala Piccardi nostra inviata a Montecarlo I1 ristorante dei giocatori è una suburra chic di bocche piene, mascelle ruminanti, stomaci da riempire. C’è Rafa Nadal, alle prese con un quarto di bue. C’è quel che resta di Boris Becker, azzoppato da quindici anni di professionismo. C’è Milos Raonic, la più affilata delle giovani pistole, due metri di figliolo che saziare con un piatto di fusilli al salmone auguri. E poi c’è lui, il Tennis. In tuta nera, avambraccio peloso e barba lunga della domenica Roger Federer emana il fascino di una creatura unica nel suo genere anche senza racchetta in pugno. Preceduto dalla sua stessa leggenda, è ieratico quando suona banale, definitivo se indeciso, carismatico pur al rientro da uno stop forzato, per lui una rarità: «Sono arrugginito, a Montecarlo non mi aspetto granché. Ma ho voglia di ributtarmi nella mischia». Prima dell’avvento del ginnasta Djokovic, uno che mastica il tennis come fosse chewing-gum, nessuno dubitava che i 17 Slam dello svizzero potessero essere eguagliati. Roger ha 35 anni (8 agosto), non gioca dall’Australian Open perché nel preparare i bagnetto alle figlie si è rotto il menisco come il ragioniere del circolo, tre su cinque non batte il serbo da Wimbledon 2012 («Ma l’anno scorso, due volte, ho vinto io»), non a caso il suo ultimo Major. Gioca ancora: è un dignitosissimo e nobile numero 3 del ranking. Eppure ne parliamo con cordoglio, già rimpiangendone l’enorme presenza; mentre si scusa per il ritardo (con lo stile con cui deposita sulla riga una demi-volée), su di lui si posano occhi invidiosi e occhiate concupiscenti di uomini (che sognano una stilla del suo talento) e donne (che vorrebbero essere al posto di Mirka). Federer, immensamente superiore a tutto, è molto meno alieno di come ce lo racconta il suo ufficio marketing, continua a essere Federer, quell’esperienza religiosa che un giorno, al capolinea, renderà impossibile qualsiasi altro atto di fede. Sorride: «Dieci anni fa avevo un unico desiderio: essere ancora competitivo a 34 anni. Ed eccomi qui». In Italia, Roger, abbiamo due splendidi esemplari di fuoriclasse longevi: Francesco Totti (39 anni) e Valentino Rossi (37). Non crede che dovreste chiedere al Wwf di essere protetti come il panda? «La battuta è buona e contiene una verità perché è vero che, in un certo senso, apparteniamo a un’altra specie. Io, Francesco e Valentino incarniamo i nostri sport. Quello che hanno fatto loro per calcio e motociclismo, non ha eguali. Sono esempi, icone, storia contemporanea. Nessuno può dirci quando smettere, è una decisione talmente intima e personale. Totti vuole continuare? Ne ha il diritto e io faccio il tifo per lui. Con me è sempre di una gentilezza imbarazzante: anche quest’anno, se verrò a Roma, gli chiederò dritte sui ristoranti. Rossi non lo vedo da un po’ però sono convinto che la stagione scorsa, sia pure con quel finale amaro, gli abbia dato nuove motivazioni. E poi li chiamano veterani…». E a lei la pausa forzata per infortunio ha dato nuova linfa vitale? «Ero a casa da un mese e mezzo, in convalescenza. Quando mi sono messo a fare le valigie, mi sono scoperto emozionato come un ragazzino. Questa è la mia diciottesima stagione da pro. Posso permettermi di giocare meno, ma meglio. Parigi, Wimbledon, l’Olimpiade: è un anno intenso e voglio godermelo. II tennis non dura in eterno: verrà il tempo di riposare e di occuparmi a tempo pieno dei miei figli. Più crescono, più ci sarà da fare. Sono quasi pronto, ma non ora». Non capita spesso di vederla sotto i ferri. «Gli infortuni ti fanno riflettere. Prima dell’anestesia, e al risveglio, mi sono sentito fragile, indifeso. Siamo tutti di passaggio: il mio mondo poteva finire lì. Ero impaurito, emozionato, preoccupato. Quando mi sono rimesso in piedi, con le stampelle, ho fatto i primi passi incerto come i miei bambini quando hanno imparato a camminare». Con una carriera e un ruolo da icona come il suo, è difficile pensare che il ritiro non sia già pianificato. Quando? Dove? Come? In ogni caso con stile, per favore. «Mi piace essere organizzato, ma non esageriamo. Non tutto ciò che mi riguarda è già stato deciso. Al dopo tennis penso, certo, senza che diventi un’ossessione. Quando mi sveglierò e mi accorgerò che la motivazione non è più lì con me, quello sarà il giorno giusto per dire basta. Sono fortunato a poter scegliere». E poi? «Coach, commentatore, opinionista: non escludo nulla. II tennis, compatibilmente con la famiglia, è e resterà il mio mondo». Quanti altri «Fetterer moments», come li chiamava David Foster Wallace, sente di avere nel serbatoio? «E una domanda che non mi faccio. Da ragazzo mai avrei immaginato, nemmeno nei miei sogni più proibiti, di avere così successo. Speravo di vincere un titolo di Wimbledon, ne sono arrivati sette; di diventare numero uno del mondo (è rimasto in vetta 302 settimane, di cui 237 consecutive ndr). Le magie si fanno largo lentamente, una dopo l’altra. Se finisse qui, sarebbe fantastico. Ma non mi pongo limiti e soprattutto non vivo nel passato». A Melbourne abbiamo scritto di scommesse e match venduti, poi come un fulmine a ciel sereno è arrivato il caso doping di Maria Sharapova, positiva al meldonio: oggi il tennis è uno sport sano o malato, secondo lei? «Non mi piace parlarne, ma mi rendo conto che negli ultimi due mesi il tennis non abbia goduto di ottima pubblicità… Cosa posso dire? Non sono mai stato approcciato per vendere i match né conosco colleghi che mi abbiano mai raccontato di averlo fatto. Di quella storia mi sfugge qualcosa: era fumosa e poco chiara dall’inizio, un gran polverone con poca sostanza ed è finita nel nulla. Della Sharapova, ho detto: pensavo annunciasse il ritiro, non una positività. Ma la sua storia dimostra che i nomi grossi non sono al sicuro. Nessuno lo è. Continuo a pensare che i campioni di sangue dovrebbero essere conservati per dieci anni e che chi bara andrebbe punito retroattivamente. Contro il doping non si fa mai abbastanza però, a costo di sembrare ingenuo e fino a prova contraria, mi fido dei colleghi». E noi, fino a prova contraria, di lei. «Anche se è difficile da credere, sento di avere ancora traguardi da raggiungere. Amo ritrovarmi in campo, viaggiare con la mia famiglia, fare una vita da globetrotter, iscrivermi ai tornei. La mia storia d’amore con il tennis non è finita. Essere Roger Federer, a quasi 35 anni, è sempre il mio mestiere».
L’intervista a Noah, dal tennis al pop antirazzista “Ho fatto tutto solo per piacere”
Emanuela Audisio, la repubblica del 11.04.2016
NELLO SPORT Campione, musicista, sempre schierato: non è stato il più grande, ma il più diverso Yannick Noah “Ho fatto tutto per piacere ma in questo tennis e in questo mondo adesso manca la luce” IM,.NUEL ,.,,UDISIa PARIGI NaN è stato il migliore, ma il più diverso. In campo, sul palco e fuori. D suo stile a 56 anni è ancora inconfondibile. Yannick Noah ha amato e giocato ovunque: con la racchetta e con la voce. Tre mogli, 5 figli, 11 album dopo il suo ritiro (’91), più di sei milioni di dischi venduti. Primo nero e ultimo francese dopo 37 anni a vincere il Roland Garros. Da ct tre Coppe Davis: due con gli uomini (’91 e ’95), una con le donne (Fed Cup ’97). Un idolo, uomo di più mondi, sport e rock, Ashe, Marley e Mandela Da pochi mesi è tornato a fare il capitano della Francia. L’incontro è a casa sua tra casse di vino, sigarettine e libertà. Il corpo non è cambiato, la gioia di vivere nemmeno. Se non rimpiangeva niente la Piaf, figurarsi lui «Ho fatto tutto per il piacere. Ho giocato per piacere, ho cantato per piacere. I miei genitori hanno sempre sottolineato il mio privilegio: fai la cosa che ami, cosa c’è di più bello? Così a 31 anni ho smesso di giocare e ho iniziato a cantare. Si, ho avuto successo. Ma per riuscire bisogna dedicarsi_ Ci ho messo dieci anni per imparare a giocare a tennis a altri dieci per apprendere a stare sul palco. Ho suonato davanti a poche facce, a persone che non mi ascoltavano, in posti senza elettricità. Sono passato anche io dalla gavetta, ma non mi ha mai pesato, nemmeno fare sette ore di prove. Io amo quello che faccio. Anche la mia rabbia. Sono abituato che si dà aiuto a chi lo chiede. Gli altri esistono, non si può lasciarli fuori con la scusa *** che disturbano.. Lei si è sempre schierato. «L’attacco a Charlie Hebdo ha cambiato tutto. Io non vivevo in guerra, io non avevo visto, né patito la guerra. Ora siamo testimoni di questa situazione di grande follia. La storia, la conoscenza non contano più, c’è solo la sciocchezza e l’ignoranza. Si, provo rabbia per come vanno le cose nel mondo, molta rabbia. Per come a certe latitudini la vita non conti niente, tanto più quella delle donne. L’altra sera ho visto un documentario e sono inorridito: ragazze ridotte a schiave, sottomesse, violentate. Gli uomini che in nome di una religione fanno questo sono barbari. Mi dicono: ma tu non vivi nella banlieu, stai in un bel quartiere. E allora? Sono cosciente dei miei privilegi, ma anche delle ingiustizie, penso che noi siamo responsabili del malessere degli altri. Anche con l’indifferenza Se da una parte comprimi i bisogni, da qualche altra la tensione scoppierà«. Ha scritto la canarine: Ma collere. Contro Le Pen e il Front National. «Mi voglio impegnare per chi non conta, voglio dare la mia voce a chi non la ha I] successo non è mai stato la mia finalità, nemmeno da tennista Lo è stato il gioco, che è molto più grande del risultato. Mio padre è del Camerun, mia mamma era francese, mi trovo nella doppia posizione del colonizzatoe del colonizzatore. Sono in una situazione complicata: in Francia sono nero, in Africa non lo sono abbastanza Il mio carattere mi ha portato a prendere posizione verso il Front National. Ho scritto e cantato: La Mia Rabbia E sul web sono stato trucidato da una violenta campagna anti-Noah. La facilità e la superficialità con cui si pub offendere tutti, senza fuma, è un danno«. Antifascista da avanspettacolo, era la critica «Una volta trovavi l’imbecille al bar che diceva qualche parola di troppo, gli rispondevi di farsi passare la sbornia, di mettersi sotto una doccia fredda e di andare da uno psicologo. Ora su internet ti trovi sommerso e linciato da insulti di vigliacchi senza nome. Sono socialista, ho cantato in piazza per Hollande, mio candidato nel 2012. Tre minuti di canzone mi sono valsi due anni di polemiche. 11 messaggio è sempre quello: stai buono, non immischiarti.. Sorpreso dal doping di Maria Sharapova? «Poveraccia. Non mi è mai stata simpa-tics, non ho passione per chi bara. Chi si dopa ti deruba di un attimo unico immenso: quello in cui alzi le braccia». E allora? «E’ che non sopporto l’ipocrisia, la finta verginità di uno sport che si copre le vergogne. Noi sporchi: ma che strano? Questo stupore è la cosa peggiore. E anche offensiva. Le hanno perfino permesso di dare l’ annuncio della sua positività. Di gestire la sua colpa in maniera elegante e soft, da notte degli Oscar. Al vertice del tennis interessa solo preservare se stesso: hai fatto la cattiva?, ora rimediamo, ma per carità, non roviniamo il gioco. Hanno paura che il sistema crolli e qualcuno inizi a chiedere il rimborso del biglietto.. La lotta al doping è fiacca. «Soprattutto impari. Quando un giocatore guadagna più di 11 milioni di euro l’anno, solo di premi, quando in carriera se ne portano a casa 60, sempre di milioni, non c’è lotta contro l’antidoping. Mettiamoci anche i consulenti, gli specialisti, tutti aggiornatissimi sulla lista dei prodotti. Non c’è partita, solo tentazioni. E in più ci sono i siti dove si scommette legalmente. Troppi fronti. Vogliamo ancora parlare di moralità sportiva vista la facilità con cui un giocatore può truccare un match? Per me questo è terribile. Ci sono cascati dentro anche i tennisti italiani.. D tennis era lo sport della precocità, ora non ci sono ventenni tra i primi 20. «Mantenere il potere oggi è più facile che conquistarlo. Se sei tra i big hai uno staff colossale, viaggi in prima classe, dormi nel lusso, riposi, mangi bene, controlli il tuo ritmo. Sempre assistito dai migliori. Altro che Air Force One. Se sei un pretendente tutto è più difficile: viaggi male, dormi peggio, sei stanco, perdi lucidità. Ai miei tempi in pochi avevano l’allenatore al seguito. Eravamo soli, ma la vera partita è questa: riuscire a risolvere i problemi . Avrebbe preferito uno sport di squadra? «Ho scelto un gioco individuale perché mio padre giocava a calcio e mio figlio Joaquim ha preferito il basket Nba, ora a è Chicago, per lo stesso motivo. Ognuno ha fatto l’opposto del genitore. Papà, mi dice sempre: sei stato fortunato a non dover condividere i successi e a spartire sconfitte. Se potessi tornare indietro giocherei più a golf. Anche per non annoiarmi. Ci sono magnifici posti nel mondo dove fino al match non sai che fare. Il golf è un ottimo rimedio, ma l’ho capito tardi». Gli sportivi si lamentano di non avere tempo. «Non è vero. Ce l’hanno, ma non lo sanno. Fanno soldi, ma restano fragili, insicuri, con nessuna vera percezione di sé. Gli manca uno specchio lucido. C’è sempre chi gli organizza cosa dire e cosa fare: preparatore, psicologo, nutrizionista, agente, padre, madre, baby-sitter. Si sentono grandi, invincibili, e quando il mondo gli cade addosso si ritrovano piccoli e incapaci.. Anche lei a 23 anni sul ponte sulla Senna ebbe cattivi pensieri. .Vero. Ero stordito, volevo buttarmi giù. Una crisi d’identità: ero veramente l’eroe che la Francia osannava? Dopo la vittoria al Roland Garros il mio telefono bolliva: venivo invitato da tutti a far tutto. Ero disorientato, senza riferimenti, possibile che fossi così buono bravo e bello? Poi ho preso coscienza: è il percorso che fai per arrivare la cosa più importante, mi sono rivisto bambino, a piedi nudi, a Yaoundè nel Camerun a giocare con un pezzo di legno per racchetta. L’ha capito perfino uno svedese come Mats Wilander, sconfitto in quella finale.. Vi siete parlad? «Sì. Mi ha confessato una cosa splendida: ‘E stata l’unica volta nella mia vita in cui è stato bello perdere’. Anche Vitas Gerulaitis sapeva che la sconfitta non è tutto. Resta geniale la sua battuta sul ritiro di Borg, per 16 volte sua bestia nera: deve ancora nascere chi sia in grado di battere Gerulaitis 17 su volte di seguito. A quella generazione mi ha unito anche la musica.. Oggi si riconosce in qualcuno? «No, sono sport diversi. Quello era il mio tennis, questo non lo è, anche se resta un ambiente migliore di altri. Ora che sono et della Davis ho incontrato giornalisti che non vedevo da 20 anni. Mi hanno chiesto di messaggiare sul web. Sarete mica pazzi, ho risposto, dopo gli allenamenti, si va tutti a bere una bottiglia e si discute fino alla morte. Ho un difetto: eccedo, sono intenso nei miei piaceri. Abbiamo portato la Davis per la prima volta nelle isole Guadalupe, giocando lì nelle Antille il turno in casa, siamo andati con i giocatori a visitare ospedali e scuole, a questo deve servire lo sport, a dare e creare occasioni. Non dico che bisogna essere tutti Mohammad Ali, basta anche molto meno.. Si aspettava che Amélie Mauresmo diventasse coach così apprezzata? «E anche vincente. No. Farei più bella figura a dire sì, che in anticipo avevo capito tutto, visto che sono stato quello che l’ha più seguita e consigliata. E anche adesso al telefono mi chiama capitano. Ma sono contenta per lei, per come lavora con Murray e con la squadra femminile francese. Ha sofferto, ha subito offese per la sua omosessualità, ma alla fine il suo è un percorso fantastico. La sua bellezza è la forza di chi ha scelto la libertà….
Montecarlo con vista Parigi
Stefano Semeraro, La Stampa del 11.04.2016
Si chiama Mindfulness, si traduce consapevolezza, ed è l’arma in più di Novak Djokovic, il tennista in missione per conto del suo Io. «No, non sono diventato buddista», ha spiegato il serbo a Montecarlo alla vigilia del Masters 1000 partito ieri ma dove i migliori – oltre allo stesso Djokovic, Fede-rer al rientro dopo l’operazione al menisco, il neo-papà Murray e l’ex re della terra Rafa Nadal – entreranno in scena fra domani e mercoledì. «II problema è che quando devi agire come una macchina umana devi farlo concentrandoti solo sull’attimo che stai vivendo. La Mindfulness è un approccio di tipo olistico che mi permette di ottimizzare ogni aspetto: non solo fisico, ma anche mentale ed emozionale. E questo comporta eseguire ogni giorno con disciplina tutta una serie di esercizi». Insomma, da Joker indiavolato a serafico Maestro Zen. Palline Zen Del resto il Nirvana tennistico a cui aspira il guru serbo è complesso, sintetizzabile in tre obiettivi di difficoltà decrescente. Il primo: vincere tutte le partite che gioca (nel 2016 ne ha persa 1 su 29, per ritiro, a Dubai). II secondo: chiudere il Grande Slam, e per ora si è messo in tasca gli Australian Open. Infine, rompere il tabù e trionfare al Roland Garros, l’unico dei quattro grandi tornei che ancora gli manca e che l’anno scorso gli negò – in una finale memorabile – Stan Wawrinka. L’ideale tappeto rosso che conduce a Parigi passando per Roma e Madrid inizia da sempre sulle terrazze del Country Club, il circolo dove i più forti del mondo, dai fratelli Doherty in giù, si sfidavano già nel 1897 – quando il Roland Garros neppure esisteva – e dove Djokovic ha vinto due volte: nel 2013, interrompendo una serie di 8 successi filati di Nadal, e l’anno scorso. Ovvio che tutti si aspettino da lui un tris nel Principato come antipasto alla sospirata vittoria parigina che per Nole – imbattibile ovunque tranne che al Bois de Boulogne – è diventata un’ossessione. «La parola ossessione non mi piace – puntualizza lui – perché proviene da uno stato d’animo sbagliato. Ma certo il fatto che Parigi sia l’unico Slam che ancora non ho vinto è una spinta in più a dare il mio meglio qui a Montecarlo». Murray distratto Impossibile, dopo una striscia di 19 finali (e 15 vittorie) raggiunte negli ultimi 21 tornei giocati, non considerarlo strafavorito. La vera domanda è: chi può fermarlo? Nadal avrebbe il curriculum giusto, ma non alza una coppa dal luglio scorso ad Amburgo, continua a essere preda dell’ansia da prestazione e pare rassegnato al dominio del rivale. «Note è in un periodo incredibile – ammette – a meno che qualcuno non si svegli, sarà il favorito in tutti i tornei». Murray sul rosso non ha mai convinto e da quando è diventato papà ha pure perso concentrazione (a proposito di Mimdfulness…). Ergo, a parere di molti, compreso un ex n.1 molto esperto di terra battuta come Guga Kuerten, l’unico che può infastidire Djokovic almeno sulla distanza breve dei due set su tre resta il patriarca Federer. Che però a Montecarlo non ha mai visto la luce – quattro finali perse – ed è reduce da uno stop lungo più di due mesi causa operazione al menisco. «II ginocchio è a posto al 100 per cento e Montecarlo mi è sempre piaciuta anche se qui non ho mai vinto – ha avvertito Roger – ma vedrò come va un match alla volta e non mi aspetto di arrivare in fondo al torneo. Stavolta il risultato non è la cosa più importante». Tabellone in discesa Fra l’altro Nadal, Murray, la mina vagante (ma spesso vacante) Wawrinka – vincitore a Monte-carlo nel 2014 – e il finalista 2015 Berdych sono finiti nella tonnara della metà inferiore del tabellone, mentre prima di una teorica semifinale con il convalescente Federer, Djokovic ha un cammino soft. Intoccabile, il maestro? «Da un lato sono il primo a essere sorpreso di quello che ho ottenuto negli ultimi due anni», spiega Nole. «Dall’altro, ho sempre saputo che sarei arrivato a questo livello»…