Nonostante la terra rossa sia storicamente superficie sulla quale i nostri tennisti ottengono la maggioranza dei loro risultati positivi, Madrid, da quando nel 2009 è diventata sede di un grande torneo sulla terra battuta, non è mai stata foriera di buoni risultati per il tennis azzurro. Basti pensare che la migliore affermazione nella capitale spagnola dai giocatori italiani iscritti quest’anno è la semifinale raggiunta dalla Errani nel 2013 e che nessun altro, tranne la Vinci, vi ha mai raggiunto neanche gli ottavi. Una circostanza abbastanza inspiegabile, se non molto parzialmente con le particolari condizioni altimetriche del torneo madrileno (si gioca 650 metri sopra al livello del mare) alle quali i nostri giocatori sono meno abituati rispetto a professionisti di varie altre nazionalità. Va poi anche considerato che Madrid viene nel calendario tennistico la settimana prima di Roma, per i tennisti italiani un torneo importantissimo ed è forse possibile ipotizzare un calo di attenzione psicofisica nella settimana precedente al torneo romano.
Fabio Fognini, unico azzurro ad essere iscritto nel tabellone principale, è l’esempio più lampante di tale particolare situazione: il ligure, anche secondo Nadal uno dei migliori terraioli al mondo, a Madrid è arrivato da Monaco di Baviera con un record personale modestissimo, due sole vittorie in sette partecipazioni. Per capire ancora meglio quanto sia negativo, basta confrontarlo rispetto a quello degli analoghi Masters 1000 sulla terra: sia Roma (5 successi in 8 partecipazioni, miglior risultato gli ottavi nel 2015), sia, soprattutto Montecarlo (11 vittorie ed 8 sconfitte con l’acuto delle semifinali nel 2013). Proprio per l’allievo di Josè Perlas, questa spedizione 2016 può comunque paradossalmente definirsi la più positiva in carriera a Madrid, nonostante i risultati nemmeno questa volta siano stati brillanti. Sorteggiato al primo turno contro Bernard Tomic, ventiduesimo giocatore al mondo, contro il quale aveva vinto nel 2012 ad Eastbourne sull’erba, ma perso malamente appena lo scorso novembre a Parigi Bercy, Fabio ha approfittato del pessimo stato di forma di Tomic (non vince una partita da Indian Wells) e della sua scarsa adattabilità alla terra battuta (un mediocre 36% di vittorie nel circuito in carriera su questa superficie). Il ligure infatti ha sin da subito dominato l’incontro contro lo svogliato avversario, necessitando di soli cinquantacinque minuti per ottenere il pass per il secondo turno, ottenuto col netto punteggio di 6-2 6-4. Purtroppo per Fabio, il secondo turno contro il giapponese Nishikori, sesto giocatore al mondo contro il quale aveva perso in quattro set l’unico precedente agli Australian Open 2011, è stato lo specchio di quello che il tennista ligure può fare, nel bene e nel male. Contro uno dei più forti in assoluto sella terra battuta come il nipponico, Fabio prima è partito malissimo (0-4 in pochi minuti) con il suo purtroppo celebre body language svogliato e quasi strafottente, poi è entrato in partita, troppo tardi per non cedere il primo set dopo quaranta minuti di gioco, ma abbastanza presto per mettere alle corde il giapponese nel secondo parziale, vinto nello stesso lasso di tempo giocando un gran tennis col punteggio di 6-3. Ma è soprattutto nel terzo set che si è visto condensato tutto il repertorio, tecnico e non (purtroppo) al quale Fabio ci ha abituati. Fognini ha condotto la partita, va detto a suo merito, contro un giocatore che ha vinto due volte a Barcellona, che a Madrid nel 2014 molto probabilmente solo un infortunio frenò dal battere in finale un Nadal ancora re della terra e che esclusivamente la fragilità fisica ha sin qui fermato dal cogliere altri successi importanti sulla terra. Fabio nel terzo set è stato bravissimo ad andare avanti 5-3 e poi sul 5-4 40 pari e servizio, arrivando a due punti dal match. Da quella situazione di punteggio si è poi dissolto: il ligure non ha racimolato più neanche un punto e, facendone fare dieci consecutivi all’avversario, con annesso un antipatico ed evitabilissimo penalty-point, gli ha consegnato su un piatto d’argento il passaggio agli ottavi, risultato che avrebbe molto probabilmente meritato maggiormente l’azzurro, come ha riconosciuto lo stesso Nishikori in conferenza stampa post-match. Fabio alla soglia dei ventinove anni (li compie il prossimo 24 maggio) deve decidere una volte per tutti se vuole rimanere l’ottimo giocatore su terra, da tutti i migliori temuto e pubblicamente lodato, al quale però manca sempre un soldo per fare una lira, o ottenere quei risultati da campione che probabilmente il suo mero talento tennistico gli consentirebbe. Un approccio più sereno e concentrato punto su punto, un tentativo di provare ad iniziare a non sfogare sempre su tutto e tutti gli errori inevitabili, potrebbero aiutarlo, quando la trentina è alle porte, ad avere maturità maggiore sul rettangolo di gioco ad ottenere risultati migliori di quelli sin qui ottenuti (best ranking 13 al mondo, tre titoli e diversi scalpi importanti, tra cui Nadal, Murray e Berdych; la top ten nel doppio con un Australian open vinto). Traguardi che lo pongono già adesso, va detto, come il migliore azzurro negli ultimi trentanni: sperare che finalmente accada quanto da anni molti invocano, per il bene del nostro tennis, non costa nulla.
Nonostante diversi azzurri avessero poi la classifica per partecipare alle qualificazioni, nessuno l’ha tentata: il motivo è da ricercare nella scelta da parte loro di partecipare alle pre-qualificazioni degli Internazionali d’Italia disputatesi al Foro Italico, che assegnavano wc al tabellone principale ed alle stesse qualificazioni del Masters 1000 romano.
Tra le donne, Camila Giorgi e Sara Errani sono state beffardamente sorteggiate una contro l’altra al primo turno, in una sfida che ha messo di fronte chi a metà aprile ha rinunciato alla trasferta di Fed Cup (la marchigiana) e chi, per prendervi parte (la bolognese), ha rimediato un infortunio di tre settimane. L’interessante confronto tra la seconda e terza giocatrice italiana per classifica (ovviamente non considerando la Pennetta) è stato vinto da Camila, già vincitrice dell’unico precedente tra le due, disputatosi nel 2012 sul cemento del Premier Mandatory di Pechino con Sara che, però, era stata costretta al ritiro per un problema fisico. A Madrid la Errani può recriminare per aver sprecato in entrambi i set un vantaggio di 5-3, vanificato in entrambi i parziali, grazie alla complicità di una Camila in palla, che in entrambi i set, da tale situazione di punteggio, si è poi aggiudicata i quattro game di fila ed ha così portato a casa la vittoria col punteggio di 7-5 7-5 in un’ora e trentasette minuti. Purtroppo la Giorgi ha poi dovuto prendere la decisione di ritirarsi dal secondo turno, dove sarebbe stata opposta alla russa Anastasjia Pavlyuchenkova, numero 26 del ranking. Una vera disdetta perché la russa era un avversario difficile, ma alla portata di Camila, che si trovava nella parte di tabellone dove era caduta la testa di serie numero 1, Aga Radwanska: aveva quindi buone chances di fare tanta strada nel torneo.
A Madrid Roberta Vinci tornava alle gare, dopo le terapie al piede seguite al torneo di Stoccarda, che le avevano imposto di non giocare a Praga, dove era iscritta. Al primo turno ha trovato dall’altra parte della rete la ventunenne montenegrina Danka Kovinic, numero 52 del ranking Wta, sconfitta in tre set a settembre a Wuhan nella prima partita post sbornia Us Open. Purtroppo questa volta Roberta ha perso da Danka Kovinic, recente finalista di Istanbul, al termine di una gara nella quale, di fronte ad un’avversaria in forma e in fiducia, non è mai riuscita a trovare il suo ritmo di gioco, apparendo nervosa ed incapace di sfruttare le poche chances che ha avuto (ha convertito una sola palla break su nove). Per fortuna, nonostante questa inopinata eliminazione, la tarantina, complici le precoci sconfitte delle giocatrici vicine in classifica, ha comunque migliorato il suo best ranking, salendo al settimo posto della classifica di singolare, traguardo che sembra per fortuna solo parziale. Infatti, non va dimenticato che Roberta ha solo i 180 punti della finale di Norimberga da difendere da qui sino a luglio, visto che l’anno scorso a Roma, Parigi ed in tutta la stagione sull’erba fu sempre eliminata al primo turno.
Le buone notizie in campo femminile arrivano da Karin Knapp: dopo aver sfiorato da molto vicino la vittoria nei primi turni a Katowice ed Istanbul (dove aveva addirittura avuto un match point a suo favore), trova finalmente il suo primo successo da quando, a seguito dell’operazione al ginocchio destro nello scorso autunno, è rientrata nel circuito a Miami (l’ultimo era arrivato al primo turno degli Us open contro la Tomlijanovic). La vittoria contro la giovane russa Margarita Gasparyan è molto bella sia perché ottenuta contro una giocatrice in crescita (numero 48 al mondo) che l’aveva sconfitta nell’unico precedente, sia perché conseguita a seguito di una rimonta (primo set perso 4-6 in mezzora di gioco), circostanza che certifica la ritrovata attitudine psicofisica all’agonismo professionistico di Karin, che ha purtroppo la pesantissima cambiale dei 280 punti della vittoria del torneo di Norimberga in scadenza tra una settimana, che se non onorata la farà uscire dalle top 100. La tennista nata a Brunico è stata davvero molto brava a non mollare una volta sotto di un set e di un break ed anzi ad alzare il livello del suo tennis sino a portare a casa l’incontro col punteggio di 4-6 6-3 6-2 dopo due ore e due minuti di partita. Purtroppo per Karin, al secondo turno l’ostacolo rappresentato dalla rumena Simona Halep, numero 7 del mondo che poi andrà a vincere il torneo, si è rivelato insormontabile. Pur lottando tutti i game ed iniziando la partita con colpi molto profondi, l’altoatesina è riuscita a tenere il servizio una sola volta: troppo poco per poter impensierire l’allieva di Darren Cahill, che firmerà il successo con un duplice 6-1 in sessantadue minuti di gioco.