È la quinta volta nelle ultime sei edizioni che vengo al Mutua Madrid Open.
C’ero nel 2011, quando Djokovic sconfisse Nadal in una splendida finale e (parere del tutto personale) si rese finalmente conto che la distanza tra lui e il maiorchino non era più abissale nemmeno sulla terra. Infatti la settimana successiva tornò a batterlo a Roma, poi ci riuscì a Montecarlo qualche anno dopo e poi di nuovo al Roland Garros. C’ero nel 2012, l’anno della “tierra azul” e delle polemiche, l’anno in cui il torneo avrebbe potuto fare un notevole salto di qualità e di immagine se solo Nadal non avesse perso sul centrale con Verdasco e se la fosse presa con il campo anziché con se stesso. Ero in conferenza stampa quando il maiorchino sibilò a denti stretti “su questa terra io non gioco più”. Il giorno dopo Djokovic, campione in carica, fece la stessa fine contro Tipsarevic e, per qualche scivolone di troppo, si accodò allo spagnolo nell’imporre l’aut aut alla terra blu. A nulla valsero gli apprezzamenti di molti altri giocatori e le vittorie di Federer e Serena Williams (che di lì a qualche mese avrebbero vinto insieme anche a Wimbledon) o le promesse di un entusiasta Tiriac che l’anno dopo, sempre per ragioni televisive, avrebbe introdotto le palline fosforescenti. Prevalse la ragion di stato e, nonostante gli organizzatori avessero giustificato la scarsa omogeneità dei campi con il ritardo con cui l’ATP e la WTA gli avevano dato l’autorizzazione, la terra blu venne abbandonata (anche se proprio quest’anno si è tornato a parlarne, come racconta anche Ben Rothenberg sul New York Times).
C’ero l’anno dopo, il 2013, quando si tornò al rosso e il torneo accusò il colpo. Djokovic perse nella notte madrilena con l’allora promessa Dimitrov e se la prese con tutti; venne fischiato e giurò che non sarebbe tornato (e infatti saltò i due anni successivi) mentre Nadal soffrì le pene dell’inferno con Ferrer per poi salvare la baracca trionfando in finale su Wawrinka. Quello fu un anno strano, si capì che Tiriac se l’era presa per la bocciatura del suo progetto visionario tanto che non si vide quasi mai in giro e furono le donne (Serena Williams e Maria Sharapova su tutte) a salvare la notorietà del Mutua Madrid. C’ero nel 2014, quando la defezione “improvvisa” di Roger Federer che preferì restare a casa con Mirka e attendere la nascita di Leo e Lenny (che avvenne proprio il 6 maggio) si aggiunse a quella di Serena Williams e di nuovo il torneo ruotò attorno al suo sole, Nadal, che vinse anche grazie al mal di schiena di Nishikori.
Dopo un anno di assenza (2015), son tornato volentieri alla Caja Magica, una struttura in cui mi sento come a casa. E allora proverò a spiegare – a tutti quelli (e, dai commenti che leggo su ubitennis come sui social-network, sono parecchi) che identificano il Mutua Madrid Open come un concorrente diretto degli Internazionali BNL d’Italia (rivalità peraltro che qui, dalla parte opposta, non viene avvertita per nulla) – perché i due tornei non siano paragonabili.
Innanzitutto, la location. Mentre il Foro Italico beneficia di una “quinta” naturale e suggestiva qual è la zona in cui si svolge, il complesso della “Scatola Magica” è stato edificato in un’area prima pressoché deserta nella zona sud della capitale spagnola in vista della candidatura di Madrid alle olimpiadi del 2016. Si tratta di una struttura in cui abbondano acciaio e alluminio, disposta su quattro livelli e servita da ascensori che facilitano le operazioni agli addetti ai lavori mentre il pubblico si sposta usando le scale. Dalle due ampie sale riservate alla stampa (una per i fotografi, l’altra per i giornalisti e le tv) è possibile raggiungere i campi in pochi minuti, anche quelli esterni più lontani, e ciò facilita enormemente il lavoro. In più, gli accreditati stampa possono pranzare e cenare gratuitamente al ristorante loro riservato e la disponibilità di bevande calde e fredde è più che dignitosa, considerato l’alto numero di inviati. Sia al livello 0 che al -1 c’è poi tutta la zona riservata agli stand di ogni tipo, dalle attrezzature sportive all’intrattenimento, dal palco riservato alla radio ufficiale del torneo a quello in cui si tengono concerti dal vivo, dalla ristorazione al museo del torneo (che quest’anno festeggia il 15° compleanno, ottavo qui alla Caja) in cui fa bella mostra di sé il magnifico Ion Tiriac Trophy.
I tre stadi provvisti di copertura mobile non sono esenti da critiche anche se, ovvio, presentano vantaggi e svantaggi. In un’edizione particolarmente bagnata come quella da poco conclusa, non ci fossero stati i tetti avrebbe dovuto sconfinare almeno al lunedì con tutte le complicazioni del caso sia per il torneo stesso che per quello seguente (Roma, appunto). Successe una situazione analoga pure nel 2011, quando la semifinale tra Nadal e Federer si disputò sotto un acquazzone così violento e prolungato che quasi non si sentivano i colpi dei due giocatori. I problemi ci sono invece quando fa bel tempo perché la struttura che regge la copertura crea fastidiose zone d’ombra, soprattutto sul Sanchez e sul 3; meno invece sul Santana, che è molto più ampio. Per il resto, in tutti questi campi la visibilità è ottima da ogni parte (forse sul Santana si potevano arrotondare gli angoli nelle tribune più in alto e sacrificare qualche posto scomodo ma sono davvero dettagli, giusto perché faccio il confronto con la Rod Laver Arena…) e i prezzi dei biglietti sono davvero popolari.
Il martedì, mercoledì e giovedì con 18 euro si entrava ovunque tranne che sul centrale e, tanto per fare un esempio, martedì 3 maggio sul Sanchez c’erano Thiem-Del Potro, Raonic-Dolgopolov, Gasquet-Verdasco, Cibulkova-Garcia mentre il giorno dopo erano in programma i match di Kvitova, Azarenka (se non si fosse ritirata), Fognini-Nishikori, Ferrer, Monfils e via dicendo. Per non dire che lo stesso giorno nello stadio 3 (in cui si entrava sempre con lo stesso biglietto del Sanchez) c’erano Wawrinka-Kyrgios con 1500 spettatori dentro e quasi altrettanti fuori. Proprio in quell’occasione ho colloquiato con uno spettatore italiano che mi chiedeva se fosse accettabile che una partita del genere fosse stata programmata in un campo secondario mentre sul centrale c’erano Lopez-Bautista Agut, Halep, Suarez Navarro e in serata Ramos contro Tsonga. “In Italia questo non succederebbe” ha detto. Può essere, anche se penso che un eventuale derby italiano nel singolare maschile più Vinci, Errani e Pennetta e un match di Bolelli contro un top-10 andrebbe sul centrale anche al Foro Italico e magari Wawrinka-Kyrgios finirebbero sul Grand Stand Arena.
E poi, qui a Madrid, non va sottovalutato il fattore Tiriac che, essendo contemporaneamente il patron del torneo e rumeno, ha sempre un occhio di riguardo verso i suoi connazionali, sia nella distribuzione delle wild-card che nella collocazione degli stessi all’interno del programma giornaliero. Poi succede, come quest’anno, che la qualificata Tig o la wild-card Cirstea fanno un gran torneo e allora vederle nei campi principali non è più frutto di “raccomandazione” bensì questione di merito.
E i fab four? Quelli vanno sul Santana dove, a parte le fasi conclusive del torneo, per vederli (ed eventualmente andare altrove, perché il ticket per il centrale dava accesso anche ai campi secondari tranne il Sanchez nei tre giorni suddetti) si spendevano una media di 20 euro a sessione fino al giovedì compreso. Insomma, più che abbordabile e con la garanzia che, anche in caso di pioggia, vedrai lo stesso giocare a tennis. A parte quando piove dentro, come durante la semifinale tra Cibulkova e Chirico, ma è stato un caso.
Poi c’è l’organizzazione, che coinvolge migliaia di persone ed è più che eccellente per professionalità e cortesia. Per agevolare la vita a noi “poveri” accreditati, il torneo ha stretto una convenzione con l’hotel AC Marriott (che è anche uno degli sponsor della manifestazione), un ottimo tre stelle in Calle Cartagena, al costo di 60 euro a camera con colazione e servizio giornaliero di trasporto (con le Mercedes ufficiali del torneo) da e per la Caja Magica. Niente male.
Infine, il tennis giocato. I parametri per giudicare la qualità di un torneo sono di solito la tradizione e l’albo d’oro. Il Mutua Madrid Open, come detto, ha 15 anni di cui solo gli ultimi otto in qualità di combined e disputati alla Caja Magica. In precedenza, dal 2002 al 2008, era solo un ATP Masters Series (attuale 1000) e si giocava sul duro indoor della Madrid Arena. In questi tre lustri, l’albo d’oro del torneo maschile ha collezionato solo vincitori di prove dello slam eccezion fatta per l’argentino David Nalbandian, straordinario protagonista dell’edizione 2007 quando si impose battendo uno dietro l’altro Nadal e Federer. Per il resto Agassi, Ferrero, Safin e i Fab-Four hanno nobilitato con il loro nome la lista dei vincitori, quest’ultima capeggiata da Nadal (4 titoli) seguito a sua volta da Federer (3), l’unico che abbia vinto su tre superfici diverse (duro, terra rossa e terra blu).
Nomi illustri anche nel singolare femminile, con l’unica eccezione della francese Aravane Rezai (anche a Roma ci fu l’anno di Maria Josè Martinez-Sanchez…) che sorprese tutti nel 2010. Per il resto Safina, due volte Kvitova e Serena Williams, Sharapova e Halep sono giocatrici che, magari in forma diversa, appartengono al gotha del tennis mondiale.
Questa edizione non toglie e non aggiunge nulla alle precedenti anche se, nel complesso, sono state più d’una le partite interessanti e non sono mancati gli spunti di interesse. Molto regolare il torneo maschile, con tre dei primi quattro del seeding in semifinale; Nadal (5) ha preso il posto dell’assente Federer (3) mentre Nishikori (6) si è infilato nello spazio lasciato libero da Wawrinka (4). Di spessore pure i quattro sconfitti nei quarti, dalla rivelazione (per certi versi) Kyrgios ai consolidati Berdych e Raonic con il portoghese Sousa unico “intruso” e bravo a sfruttare il corridoio lasciato libero da Federer. La rapidità della terra ha favorito la velocità del gioco e il tennis visto in questa settimana è stato forse più rapido di quello di certi tornei sul cemento (mi vengono in mente Miami, Bercy e le ATP Finals). La qualità complessiva dei match è stata eccellente, con alcuni picchi considerevoli. I favoriti hanno mantenuto un livello di rendimento molto alto nonostante le insidie a cui sono stati sottoposti. Raonic prima e Nishikori poi potevano impensierire il n°1 Djokovic, alla sua prima uscita dopo l’inopinata sconfitta patita a Montecarlo per mano di Vesely, così come Berdych (che aveva sempre battuto lo scozzese sulla terra) e Nadal erano brutte gatte da pelare per Murray. Invece sia Nole che Andy hanno saputo alzare il livello del loro tennis quando è servito e hanno rispettato il pronostico.
Decisamente più imprevedibile il torneo femminile, come peraltro succede spesso negli ultimi tempi. L’assenza di Serena Williams e il forfait di Victoria Azarenka hanno ampliato il numero di pretendenti al trono ma le premature sconfitte di Radwanska, Kerber, Muguruza e Kvitova hanno di nuovo ristretto il cerchio. A quel punto, in un tabellone ricco di rumene ma privo di nomi altisonanti, non era difficile prevedere che l’avrebbe spuntata la più alta in grado rimasta in corsa, ovvero Simona Halep. Vincitrice a parte, però, il torneo potrebbe essere stato la rampa di lancio per la giovane statunitense Louisa Chirico (prima qualificata ad issarsi fino alle semifinali di un Premier Mandatory da quando ci riuscì sempre qui Lucie Hradecka) o di rilancio per la slovacca Dominika Cibulkova.