Gli editoriali di Ubaldo da Roma:
Pensionata di lusso, promessa sposa, aspirante mamma e “metti su famiglia”, modella a tempo perso, tennista rimpianta da tutti, addetti ai lavori, avversarie, giornalisti: la campionessa dell’ultimo US Open, Flavia Pennetta, esordirà già oggi con gli Internazionali d’Italia come “talent” ai microfoni di Sky. Chissà se le faranno commentare anche il match di Fabio Fognini (terzo sul centrale) o se lei preferirà evitare (come per il suo bene le consiglierei…).
L’entusiasta produttore di Sky Giuseppe Marzo conta anche di lanciare un teatrino televisivo gustoso con cabarettiste – detto in senso buono – Flavia Pennetta e Francesca Schiavone per “un dietro le quinte”… frizzante.
A tutte queste spumeggianti novità televisive si aggiunge l’inedito doppio ruolo di Filippo Volandri “double face” che, dopo la vittoriosa lotta nel derby “vet” nell’ultimo turno di qualificazione, fra lui classe 1981 e Radek Stepanek classe 1978, si toglierà la soddisfazione di giocare nel main-draw del torneo di cui fu semifinalista nel 2007, dopo aver battuto Roger Federer. Finita la partita, dovrà assolvere anche ai suoi doveri di telecronista “talent” e precipitarsi in cabina a commentare tennis. Anche lui per Sky. Finora però non mi era mai capitato che un giocatore fosse al contempo partecipante attivo al torneo e commentatore.
Sky – perso l’ottimo Ivan Ljubicic inevitabilmente sedotto dal più prestigioso (e più remunerato) incarico di coach del tennista più popolare del mondo, Roger Federer – già vanta tutto uno stuolo di ex tennisti-opinionisti, da Paolo Bertolucci a Raffaella Reggi, Laura Golarsa, Laura Garrone, Claudio Mezzadri, Luca Bottazzi e chi più ne ha più ne metta.
Detta legge, e soprattutto trend, lo sport italiano che condiziona tutti gli altri: il calcio. Nello sport del pallone i vari Vialli, Mauro, Boban, Bergomi, Marchegiani, Adani, Costacurta hanno invaso il piccolo schermo facendo retrocedere la maggior parte dei giornalisti a comprimari degni tutt’al più di fare i presentatori, seppur bravi come indubbiamente sono – in rigoroso ordine alfabetico – i vari Bonan, Caressa, Cattaneo e soci.
Così alla fin fine l’impressione che percepisce il telespettatore comune è che i giornalisti “servano” ormai fino ad un certo punto, che possano fare al massimo i presentatori, i conduttori della trasmissione, ma guai a sovrapporre le proprie idee a quelle dei cosiddetti “talent”. Guai a fare domande insidiose che potrebbero disturbare i poteri forti.
Unica eccezione superstite, il panda del giornalismo in tv e quasi l’unico vero opinionista di Sky autorizzato a parlare…è Mario Sconcerti che peraltro, se non avesse il passato che ha e il presente da editorialista del Corriere della Sera, forse sarebbe stato allontanato anche lui perché reo di… potenziali domande scomode! Difatti in azienda dopo non poche discussioni hanno preferito dargli un suo spazio interattivo con i telespettatori, piuttosto che confronti diretti con allenatori e calciatori suscettibili che avrebbero potuto non gradire sue domande e giudizi meno “paludati”.
Ne consegue che la maggior parte delle interviste dei “talent” agli sportivi in attività sono quasi sempre banalissime, per nulla stuzzicanti. Quasi sempre, se non inginocchiate, fatte dopo aver steso un tappeto rosso all’intervistato. Talvolta ciò succede perché fra l’ex sportivo e lo sportivo ancora praticante c’era un rapporto che non si vuole alterare (e chi me lo fa fare? si chiede l’ex sportivo). Talaltra perché mentre lo sportivo in attività può permettersi di dire quello che vuole che tanto non ha nulla da perdere, per l’ex sportivo diventato commentatore invece c’è il rischio della impopolarità. Apparire critico nei confronti del campione idolo di tanti tifosi è come fare autogol. I tifosi lo bolleranno e le critiche arriveranno fino ai “capi” della tv che amano privilegiare oggi più di ieri sempre il consenso rispetto ad un’opinione critica che divida e magari allontani i dissenzienti.
E poi, e forse avrei dovuto mettere quest’aspetto per primo, c’è anche che sapere fare buone domande, buone interviste, capaci di procurare risposte non banali, non è roba per tutti. È un mestiere per il quale occorre avere certe doti, naturali o apprese via via con il mestiere. Non si nasce imparati.
Personalmente credo che sia purtroppo la fine del giornalismo di qualità. E non mi sembra che ci sia alcuna indicazione di un cambio di tendenza in vista. Anzi.
Meglio commenti politically correct, con grande attenzione a non prendere mai posizione nei confronti dei vari establishment sportivi, società, leghe, federazioni, CONI – tutti interlocutori con cui si ha tutto da perdere, rischiando silenzi stampa quando non proprio boicottaggi, rifiuto di trasmetterti notizie o, peggio, manifesta dimostrazione di voler favorire un tuo competitor più…realista del re- piuttosto che un sano approfondimento critico quando certe vicende, veri e propri casi, paiono insopportabili ed inaccettabili a gran parte dell’opinione pubblica, ma vengono “insabbiate” per quieto vivere.
La popolarità degli ex sportivi, calciatori come tennisti (ma il discorso vale per tutti gli sport che è qui inutile elencare), funge da richiamo per le allodole, cioè…i telespettatori. Li vedi e li ascolti. Anche se dicono cose banali. Gli ex sportivi vengono ingaggiati e buttati in mischia, con giacca e senza giacca, anche se di quello che dovrebbe essere un lavoro anche (anche?) giornalistico sanno ed hanno studiato poco o nulla.
Eppure si tratta o no di informare anche non asetticamente il pubblico, di esprimere opinioni soppesate? Di dare un proprio contributo di idee?
Negli Stati Uniti, dove la tv è nata e si è sviluppata restando sempre avanti anni luce, il giornalista non è quello soltanto in caricato di fare il “lead” – come da noi – ma è il vero leader del team di commentatori, due o tre che siano. In Italia è stato proprio il tennis, grazie alla felice intuizione di Rino Tommasi che conosceva lo sport americano (tutto lo sport americano, non soltanto il tennis e la boxe) e che lo aveva visto in tv nei frequenti viaggi negli States, che fu introdotto da Canale 5, da Mediaset prima, da Telecapodistria poi per arrivare agli anni Novanta e a Tele+ il tele-commento a due voci.
Fu il tennis il primo “esperimento”, con Rino e Gianni Clerici, un duo cult che ha rivoluzionato la storia delle telecronache sportive in Italia. E sì che a Berlusconi, all’inizio proprio non piaceva Clerici, principalmente per via della sua voce che considerava poco…virile. Ma Tommasi tenne duro, con una personalità che oggi pochi avrebbero se il loro boss dicesse “Tizio non mi piace, mandalo via e prendi un altro”.
“Gianni Clerici è un giornalista di qualità e la qualità giornalistica – disse Rino Tommasi a Berlusconi che ebbe l’intelligenza di fidarsi – è alla base della credibilità di una qualsiasi trasmissione, di qualsiasi telecronaca. Noi dobbiamo avere i giornalisti migliori su piazza…se vogliamo che tutti ci riconoscano che siamo davvero più bravi degli altri”.
Oggi chi fa ancora questo discorso? O pochissimi o nessuno, all’interno delle varie realtà televisive.
Nelle telecronache di Tommasi e Clerici c’era profonda conoscenza storica dello sport di cui parlavano, cultura, ironia, partecipazione mista a distacco, rispetto per l’intelligenza dei telespettatori più preparati (“Non siamo venditori di tappeti, se la partita è brutta lo diciamo anche se ne abbiamo acquistato i diritti”): in poche parole, grande giornalismo e grande onestà allo stato puro.
Oggi mi pare che le varie tv, ma anche radio e per tutti gli sport, non solo per il calcio o per il tennis, non abbiano più in alcuna considerazione il valore e l’importanza dei giornalisti di vero livello. Sembra quasi che mentre per i “talent” ci si sforzi – anche in termini economici e di investimento – di individuare i più adatti, i migliori o magari i più noti fra quelli che hanno appena lasciato l’attività agonistica, la stessa attenzione sui giornalisti non venga proprio posta. Un giornalista che ha occupato il proprio posticino lo tiene stretto per sempre come se fosse un impiegato del catasto.
Si è sempre comportata così la RAI, dove – per motivi parasindacali, quando non per meriti di partito e di equa distribuzione delle tessere – chi si impossessa di un microfono per una particolare disciplina se lo tiene finché va in pensione anche se è un incapace. Non sto dicendo, per carità, che tutti i giornalisti della Rai siano incapaci, sia chiaro e ci mancherebbe!, ma se qualcun lo è…non dovrebbe esser necessario un vero terremoto perché qualche capo si prenda la briga di sostituirlo; di fatto non ricordo quasi che sia successo.
Né si possono chiedere miracoli qualitativi alla tv federale Supertennis che impiega in rotazione una pletora di telecronisti legittimamente preoccupati dal sistema, fino ad appiattire professionalità e personalità per trasformarsi in trombettieri federali anche al di là del necessario. Il caso del coach sgradito alla FIT, Claudio Pistolesi, che pur inquadrato dalla regia internazionale quando era coach di Soderling piuttosto che di Bolelli, non veniva citato per ordini superiori è indice clamoroso di una mentalità che non favorirà mai l’indipendenza di giudizio, l’autonomia intellettuale.
È vero anche che, a causa della crisi economica dei giornali che perdono copie a rotta di collo e delle tv che per risparmiare non mandano più inviati sul posto teatro di un avvenimento, ma li fanno commentare via tubo, dalla cabina, i giornalisti di oggi non hanno più la possibilità di fare quelle esperienze che hanno potuto fare i loro colleghi di una volta. È normale che siano meno preparati, inevitabile.
Gli inviati di una volta conoscevano i tennisti ed i tornei per averli frequentati cinquanta volta l’anno. E i tennisti li riconoscevano, ci parlavano anche senza intermediari, agenti e p.r., si concedevano ad interviste one&one in ben altra misura. Così i giornalisti crescevano, frequentavano luoghi dove si affrontavano dal vivo problematiche di ogni tipo. Sapevano anche se mancava il sapone o la carta igienica negli spogliatoi.
Oggi, e non lo dico per una forma di autoreferenzialità, mi trovo spesso con i collaboratori di Ubitennis.com e net (il nostro sito in lingua inglese) ad essere il solo (o quasi) presente fin dal primo giorno di alcuni tornei. Eppure è solo vivendoli, incontrando i giocatori 50 volte l’anno che si può creare un vero rapporto con loro e che in conseguenza di ciò è più facile che si possano realizzare buone interviste giornalistiche.
Ma mi accorgo che quando esprimo questi concetti, spesso ho la sensazione di parlare ad un’assemblea di sordi.
Voglio però anche aggiungere dopo questa lunga tiritera, a questo punto, che sebbene lo spunto dell’articolo sia nato a seguito della notizia dell’ingaggio televisivo da parte di Sky di Flavia Pennetta e Francesca Schiavone (che finalmente con un microfono in mano non potrà più sussurrare con l’aria sofferta dell’attrice di filodrammatica come ha fatto tante volte in sue conferenze stampa post match, quando a malapena si afferrava cosa volesse dire), che ovviamente io auguro a Flavia e Francesca le migliori fortune nella loro nuova attività, per la loro nuova carriera.
E lo faccio riscontrando ancora una volta l’impegno delle varie tv a dotarsi sempre più di “talent”, mentre tutto resta invece immutabile nei secoli -una volta “dimissionati” Clerici e Tommasi – sotto l’aspetto giornalistico.