Dal nostro inviato a Nizza
Incastrato tra gli Internazionali e il Roland Garros, tra il Festival di Cannes e il Gran Premio di Monte Carlo, il piccolo Open di Nizza volge al termine. Del nutrito gruppetto di singolaristi che si era presentato, a scaglioni, lo scorso weekend, ne sono rimasti soltanto quattro: Dominic Thiem, Adrian Mannarino, Joao Sousa e Alexander Zverev. Questi ultimi due sono i primi a scendere in campo, con il tedesco a caccia della prima finale ATP dopo tre semifinali perse.
Zverev, piedi dentro al campo, prende subito il comando delle operazioni. Sousa lo lascia fare, conscio d’essere più dotato difensivamente, ma Sascha è in giornata sì: ottiene due palle break (non sfruttate a dovere) e poi supera con autorità un game di battuta complicato, impegnandosi a non subire mai lo scambio. Ad un certo punto, il portoghese si trova a lanciare in aria la prima pallina del famigerato settimo game, quando Zverev gli intima di aspettare che tutti gli spettatori dietro di lui siano seduti. C’è poco da stupirsi, visti i due caratterini, che ne segua uno scambio di battute dal tono non troppo conciliante, che si rivela sufficiente a deconcentrare Sousa quanto basta a provocare un break. Da lì in avanti, facendo ricorso al contropiede con successo, il baby teutonico trova punti fondamentali – esemplare il 4-3 40 pari, quando pesca l’ultimo angolo di campo con il rovescio – e si accontenta di conservare la battuta nell’ultimo gioco, chiudendo con un ultimo contropiede, stavolta di dritto.
Attenzione: non è la prima volta nel torneo in cui Sousa si trova indietro di un set. Il numero cinque del tabellone è un tennista tutt’altro che arrendevole, e un miscuglio di break gli consente di alzare la testa nel secondo parziale. Un altro dritto, stavolta il suo, riporta il punteggio in parità. Zverev inizia a preoccupare, anche perché il suo primo punto al servizio nel set decisivo – un comodo smash spedito in rete – rievoca recenti fantasmi. L’apparizione funesta tuttavia dura poco, per fortuna dei suoi sostenitori, perché nonostante le palle corte gravemente inefficaci e la regolare cadenza dei doppi falli, si vede bene che il più forte in campo è lui. Così Sousa perde due volte il servizio, e alza bandiera bianca davanti a un ace: match chiuso, c’è un tedesco in finale.
In finale contro un austriaco, ma questo era più facile da pronosticare. Dominic Thiem torna per difendere il suo primo titolo ATP in carriera, e ci arriva avendo giocato la miseria di tre ore in tutto il torneo – anche se il suo amico Zverev fa notare, non a torto, che bisogna aggiungere le quattordici di furioso allenamento settimanale. Neppure l’ultimo dei francesi in gara, Adrian Mannarino, riesce a cavare un ragno dal buco: Dominic crea rotazioni ormai ingestibili a questi livelli.
Mannarino prova ad attaccare, ma ogni palla gli ritorna indietro. Prova ad attaccare di più, ma a quel punto è costretto ad uscire dal “suo” tennis e i suoi colpi smettono di superare la rete. Lo scoramento del mancino (caratteristica di solito utile a creare problemi negli avversari) è palesato, prima ancora che dal body language, dagli zero turni di servizio vinti nel primo set. Quando Thiem manda finalmente fuori di poco un passante in recupero – che quasi chiunque altro avrebbe desistito dal tentare e per di più su un punto reso trascurabile dal margine di vantaggio – Mannarino lo vede, e con lui lo vede il pubblico, mimare il gesto che avrebbe dovuto fare, scuotendo la testa. È fatto così Dominic Thiem, non si perdona nulla. E non si accontenta. Stai pronto domani, Sascha, perché questo è più tosto degli altri.
Risultati:
[8] A. Zverev b. [5] J. Sousa 6-4 4-6 6-2
[1] D. Thiem b. A. Mannarino 6-1 6-3