Signor Mouratoglou, è un grande piacere per noi di Ubitennis averla qui potendole parlare di persona. Desidero sinceramente ringraziarla per aver accettato di concederci questa intervista. La sua prima autobiografia “Impara a Vincere” è approdata in questi giorni sugli scaffali delle librerie italiane; in questo suo primo lavoro in veste di autore, lei analizza a fondo i diversi aspetti che hanno contraddistinto la sua crescita professionale nel corso degli ultimi vent’anni, dalla nascita della sua accademia fino all’incontro con Serena Williams: ci può raccontare com’è avvenuta quest’evoluzione?
Quando ho avviato la mia accademia nel 1996, non avevo l’ambizione di diventare un allenatore di tennis. Ero totalmente assorbito nella sua gestione per farla diventare una delle migliori del mondo. Nel 1998 assunsi Bob Brett, per un paio di anni, come capo allenatore: lui allora iniziò a darmi qualche dritta, a mostrarmi le sue tecniche e ad insegnarmi come allenare. Abbiamo avuto un ottimo rapporto, era molto felice di condividere con me le sue conoscenze ed io ero molto fortunato, perché potevo apprendere da uno dei migliori coach al mondo di quel periodo. Poi, chiaramente, col tempo ho iniziato a conoscere meglio il lavoro di allenatore e ho iniziato ad amarlo. In quel periodo mi parve il lavoro perfetto per me, dato che univa la maggior parte delle cose che amavo: il tennis, le alte prestazioni, le persone. Costruii solide relazioni con i giocatori che frequentavano la mia accademia a quei tempi e dato che passavo ore e giorni sui campi con Bob e i giocatori, fu una cosa naturale per molti di essi rivolgersi a me per chiedermi di lavorare con loro. Credo che un giocatore debba sinceramente desiderare di lavorare con te sul piano della relazione umana per riuscire veramente a produrre risultati e a decollare.
Ha incontrato particolari difficoltà quando si è avvicinato a questo lavoro, da parte degli addetti ai lavori, nel circuito ATP ad esempio, o come a volte può succedere, all’interno della sua famiglia? Suo padre è un dirigente di punta di una delle più importanti compagnie energetiche francesi. Ha sostenuto la sua scelta in principio oppure si è opposto?
Ho cominciato la mia carriera occupandomi di affari, lavorando nell’azienda di mio padre dai 20 ai 26 anni di età. Lavoravo bene e lui era eccitato all’idea di lavorare con me e di continuare a sviluppare la compagnia a fianco di suo figlio. Quindi, chiaramente, fu deluso quando gli dissi che volevo avviare questo progetto: fui però molto fortunato, perché scelse di supportarmi completamente. Mi aiutò, mi consigliò e qualche anno dopo aiutò finanziariamente me e la mia famiglia quando iniziò a credere nel progetto. Nel mondo del tennis, all’inizio, nessuno credeva in me perché non ero conosciuto da nessuno. La federazione francese mi vedeva come una minaccia alla loro supremazia. Si comportarono molto male a quei tempi, come spiego nel mio libro. In ogni occasione in cui mi sono sentito aggredito ho sempre reagito a abbiamo avuto dei notevoli scontri in quei giorni, lo devo confessare. A tutt’oggi i rapporti tra me e la federazione però sono migliorati molto e spero che potremo collaborare in futuro per il bene del tennis francese.
Nel suo libro ha fatto chiari riferimenti alle difficoltà che lei ha incontrato da
giovane, in particolare un precario stato di salute, le sue paure personali e come la mediocrità la facesse inorridire. Come ha fatto a superare questi “macigni” durante questo viaggio? C’è stato qualcosa che l’ha resa fiducioso non solo di riuscire in questo campo, ma soprattutto di raggiungere i livelli professionali attuali?
Ho iniziato la mia vita come un perdente. Tutto, per me, era già stato programmato. Non ero in grado di relazionarmi alle persone perché ero tremendamente timido, ero sempre ammalato e completamente senza autostima. È stato un lungo percorso diventare la persona che volevo essere. Quel percorso è ciò che racconto nel mio libro: come trasformare il tuo destino nel diventare la persona che vuoi diventare, come plasmare il tuo corpo e la tua mente per raggiungere i tuoi obiettivi. Mi sono dovuto riprogrammare, vedermi in un modo diverso da quello in cui mi vedevo prima e finalmente creare delle nuove esperienze, delle esperienze vincenti, per modificare la percezione che avevo di me stesso.
Serena Williams ha curato la prefazione di questa sua opera prima; insieme, voi due formate quello che Serena ha soprannominato “Dynamic Duo”: come la fa sentire vedere il suo nome così spesso associato a quello di Serena? È qualcosa che rappresenta un peso, per lei, o che la rafforza ulteriormente? Che cosa manca, se manca, al gioco di Serena per conquistare il Grande Slam e diventare la più grande giocatrice nella storia, superando il numero di Slam di Steffi Graf?
Innanzitutto, sono molto orgoglioso di Serena. La sua carriera è unica e quello che abbiamo ottenuto insieme negli ultimi 4 anni è formidabile: ha vinto il 40% dei suoi Slam, restando al primo posto del ranking mondiale per oltre la metà delle settimane di gioco da quando è entrata nel circuito. Riusciamo a farlo grazie ad una grande intesa, ma anche ad una reciproca motivazione a raggiungere qualcosa di grande, di speciale, qualcosa di storico. Lei ci ha chiamato “Dynamic Duo” probabilmente perché sentiva che entrambi spingevamo e incitavamo l’altro ad ottenere grandi risultati insieme. È incredibile quando ricordo quella prima volta in cui mi chiese di diventare il suo coach: disse che aveva bisogno del mio aiuto per vincere ancora un torneo del Grande Slam. Oggi siamo seduti qui e lei ne ha vinti 8, da quel giorno, battendo i record di Evert e Navratilova, ed è a un solo torneo Slam dall’eguagliare il record dell’era open di Steffi. L’ultimo ostacolo è sempre il più difficile da superare. È anche una gara contro il tempo, visto che Serena compirà 35 anni quest’anno.
Ora, dopo quattro anni di vittorie, avete pensato di fare un bilancio di questo periodo, magari programmando i prossimi anni, nel caso non riusciste a “spuntare” la casella Grande Slam?
Serena ha ottenuto tutto ciò che un giocatore può sognare di raggiungere e si sveglia ancora ogni giorno per andare sui campi affamata di vittorie quando la maggior parte delle altre giocatrici si sono già ritirate dal circuito. Naturalmente, quello che la mantiene motivata a compiere tutti questi sforzi è la possibilità di vincere il Grande Slam e di infrangere ogni record. Il Grande Slam è decisamente l’obiettivo e la priorità numero uno. Non abbiamo in programma di non riuscire. Abbiamo solo un piano: fare la storia, e questo è quello per cui stiamo lavorando.
Negli ultimi anni il tennis in Italia è stato più volte accostato a casi di scommesse: allo stesso tempo, la scoperta di un uso frequente di sostanze illecite ha sconvolto questo sport a livello internazionale, mettendo a rischio mai come prima la sua credibilità. È sempre stato così secondo lei? Saremmo felici di conoscere il suo personale punto di vista anche sul caso Sharapova; se una cosa simile fosse accaduta ad una giocatrice da lei allenata, quale sarebbe stata la sua reazione?
In ogni settore ci sono persone che imbrogliano, fa parte della vita. Queste persone sono ovunque, incluso ovviamente il mondo sportivo. Io credo che nel tennis ce ne siano meno che in altri sport perché per avere successo, in questo campo, sono richieste molte capacità differenti. Sicuramente la forma fisica è importante, ma puoi raggiungere il livello necessario di forma per competere a ogni livello senza alcuna droga. Quello che fa la differenza, alla fine, è più una combinazione di tecniche, mentali e tattiche. Per quanto riguarda il caso di Maria, c’è una regola e certe sostanze sono proibite. Chiunque non rispetti questo deve essere punito. Questa regola vale per tutti e credo che sia un’ottima cosa che l’ITF abbia mostrato che nessuno ne è al di sopra.
Si è guadagnato il soprannome di “Mastermind”, vista la sua fama di guru nell’allenamento mentale. Come lavorerebbe su Fabio Fognini, il giocatore con maggior potenziale in Italia? Cosa pensa che dovrebbe migliorare maggiormente?
Questo soprannome è molto gratificante. Mi mette addosso molta pressione e per questo proverò sempre a fare il mio meglio per mostrare che lo merito. Riguardo Fabio, è un giocatore con un grande talento ed è sempre difficile per giocatori talentuosi mostrare una certa stabilità sul piano mentale. Se troverà un modo per padroneggiare questo aspetto, sono certo che avrà l’abilità tennistica e fisica per entrare nella top ten. È stato più costante nel 2014, per alcuni mesi, ed è arrivato al n. 13 del ranking ATP. Ha un ottimo allenatore che lavora con lui, Jose Perlas, e sono certo che è assolutamente ancora in grado di raggiungere quell’obiettivo.
Quest’anno Serena ha giocato molto poco, a Madrid si è ritirata mentre a Roma ha dato dimostrazione di un buon stato di forma, conquistando per la quarta volta il Trofeo: quali sono le prospettive in vista del Roland Garros?
È vero che Serena non ha giocato molto quest’anno. Compirà 35 anni ed entrambi abbiamo pensato che fosse più intelligente giocare meno e più continuativamente che giocare molto e doversi ritirare per infortuni. Penso che il suo livello di gioco agli Australian Open fosse eccellente. Sfortunatamente, non è stata in grado di mantenere quello stesso livello in finale e ha perso il match, ma sono felice della qualità di gioco che ha prodotto durante il primo torneo Slam dell’anno. Insieme ci stiamo preparando per riuscire ad arrivare pronti al Roland Garros.