46 anni fa Gian Maria Volontè metteva in scena la sua personale ribellione contro le sovrastrutture dell’ordine precostituito, da lui stesso rappresentato, mirando a scardinare l’assioma di insospettabilità dell’uomo distinto. Dopo aver soffiato via i sogni di Grande Slam di Djokovic anche Stan Wawrinka – calzoncini a quadri in luogo dell’azzurra cravatta di seta – ha iniziato a ribellarsi. Contro la “minaccia” di essere inserito al posto di Nadal tra i Fab 4, contro le aspettative di chi lo voleva ormai protagonista in ogni grande torneo, per riaffemare il suo status di turista della vittoria. L’assioma che ha sempre voluto confermare è quello dell’impronosticabilità dei suoi successi.
Stan in questo 2016 non ha più o meno mai convinto, nonostante i titoli curiosamente in rima conquistati a Chennai e Dubai. Ha affrontato – con scarsa fortuna – il solo Rafa Nadal tra i top 10, a Montecarlo, come chiara indicazione del suo essersi tenuto alla larga dalle fasi calde dei grandi tornei. Si è dovuto complimentare con Kuznetsov a Miami e Juan Monaco a Roma, ha raccolto tre vittorie nei 1000 sul rosso e ha spesso dato la sensazione di voler svernare altrove piuttosto che su un campo da tennis. Nel frattempo è arrivato il successo nel rinato torneo di Ginevra, ma adesso lo aspettiamo a Parigi. In altra epoca avrebbe atteso di sfidare il finalista del torneo – chissà che lo svizzero non ci pensi con rimpianto – mentre oggi gli tocca tutta la trafila per provare a difendere il titolo. Le speranze quali sono?
Includerlo tra i favoriti appare mossa troppo ardita. Djokovic, Murray e Nadal giungono a Parigi con credenziali ben più solide, mentre Nishikori è il quarto incomodo che a momenti spingeva Nole nel Tevere. Dietro sembra esserci un solco che soltanto Thiem e Kyrgios, a patto di reggere l’urto con la distanza dei 5 set, possono ambire a ricucire. Proprio questa carenza tra le seconde linee potrebbe giungere in soccorso di Wawrinka. Se Zverev ha in canna un altro exploit stagionale difficilmente sarà la gimcana parigina a fargli da palcoscenico, Federer ci sarebbe arrivato con la miseria di 5 partite giocate negli ultimi 4 mesi ma ha tristemente deciso di disertare e gli altri top 10 o non sprizzano vitalità (Gasquet, Berdych), o non amano la superficie (Raonic) o non sono più top 10 (Ferrer). Non giungono migliori notizie dai padroni di casa Monfils e Tsonga – a Montecarlo ruggenti e a Roma novelli Gregory Peck – perché solo il secondo sarà presente ai nastri di partenza, ed era sul primo che i francesi riponevano maggiori speranze.
Essere il detentore del trofeo dovrà pure valere qualcosa, però. Quando nel 2015 Stan ha dovuto difendere il titolo a Melbourne si è arreso soltanto a Djokovic in semifinale, mica senza lottare, vinto soltanto dalla resistenza inumana del serbo e punito da un ingeneroso bagel nel quinto set. Questo suggerisce che l’orgoglio può pungolare l’elvetico al punto di fargli tirare fuori il meglio di sé, come se nelle altre occasioni una certa mancanza di motivazioni gli impedisse di liberare completamente il braccio, di essere Wawrinka a 360 gradi. Ovvero quel tennista che si è dimostrato quasi infallibile nelle finali (non ne perde una dal 2013) e in grado di esprimere un tennis tale da non poter in alcun modo temere quello dell’avversario, nelle giornate di buona.
L’altro fattore in grado di trasformare lo svizzero nello Stanimal che tutto puote è la tenuta atletica. Nonostante la diffusa tendenza a pensare che Wawrinka sia un tennista “di solo braccio” il suo è un tennis che chiede molto, moltissimo, alla potenza degli arti inferiori. La versione sbiadita vista in campo nelle ultime uscite è imputabile anche (o soprattutto?) a una condizione fisica non impeccabile, certo lontana da quella che gli ha permesso di rendere inoffensivo il n.1 del mondo.
Il potere teurgico del Philippe Chatrier può contribuire a far riemergere l’orgoglio e il killer istinct nel nativo di Losanna, per le gambe servirà uno sforzo supplementare. In proposito le dichiarazioni di Roma non sono state certo incoraggianti ma tocca aggrapparsi alla speranza se si vuole scacciare lo scenario – mai edificante – del campione in carica che abdica troppo presto, tristemente costretto a guardare dal di fuori la contesa tra i pretendenti al suo trono.
Ma. I torneo dello Slam sono il suo palcoscenico. Tra 2014 e 2015 ne ha portati a casa due – gli stessi del palmares di Murray che però in carriera ha perso ben 7 finali e 6 semifinali in più – su un totale di due finali disputate. L’urna ha deciso di dargli una mano allontanando Nadal e Djokovic dal suo percorso prima dell’eventuale finale, il che non guasta. Nell’equazione i dubbi tallonano le certezze perché Stan Wawrinka è così, ha le carte per scombinare ogni antepost e quando arriva in fondo non sa perdonare, ma a volte si concede a Garcia-Lopez al primo turno. Negli ultimi due anni a Parigi ha vinto 7 incontri, ripartiti nel modo meno equilibrato possibile. Difficile venirne a capo: lui corre, sbuffa e sbraccia per poter essere sempre al di sopra di ogni pronostico.