Boris Becker e la terra: ci troviamo di fronte davvero ad una storia irrisolta, e non solo a Roland Garros. Dei grandissimi qui esaminati, Bum Bum è l’unico a non aver mai vinto un titolo sulla terra. Connors e Mac non vinsero mai un torneo sul rosso, ma più d’uno sulla terra verde americana, mentre Sampras e Edberg riuscirono a vincere qualche volta sulla terra europea.
Becker giocò per la prima volta a Parigi nel 1985 e assaggiò subito la soffocante regolarità di Wilander, per poi raggiungere i quarti nell’86 dove fu estromesso dalla rivelazione del torneo. Michael Pernfors, lo svedesino che poi arriverà fino alla finale. Nel 1987 Becker si spinge fino alle semifinali lasciando sulla sua strada Sundstrom, Arias e Connors, ma in semifinale la strada è sbarrata dal solito implacabile Wilander. Nel 1988 perde uno spettacolare ottavo di finale con il genio Leconte. Nel 1989 l’edizione nella quale più Becker si avvicina alla finale: è la già citata semifinale con Edberg a porre fine al cammino nel torneo del tedesco, perché quell’Edberg tante volte dominato o comunque battuto al Masters o nei tornei del circuito, si rivela spesso letale per Becker proprio negli appuntamenti di maggior peso: dopo cinque set, Edberg vanifica la rimonta dell’avversario e vola in finale, segnando un significativo punto a suo favore nella storia di una rivalità in cui Becker ha vinto quindici volte su venticinque, ma in una sola finale di Wimbledon su tre. Certo non si può dire che “BB“ non abbia mai lottato per vincere lo Slam parigino, se è vero che ad esempio proprio in questa edizione, prima della sconfitta in semifinale era venuto fuori da una lotta spaventosa con il terraiolo argentino Perez Roldan, 75 nel set decisivo. Ma non ha mai avuto il giusto approccio mentale e tattico. A differenza di McEnroe ed Edberg, Becker spesso si è dimostrato così cocciuto, da voler vincere sulla terra praticando un gioco che non era nella sua natura, pagando poi conti salati per questa scelta. Spesso in molte occasioni, ha ostinatamente scambiato da fondo con avversari più resistenti di lui, più mobili e più leggeri. Questo in molte circostanze lo ha portato a stancarsi e a perdere la lucidità necessaria per i momenti topici dei match. Nessuno potrà mai dimostrare che se Becker avesse attaccato più assiduamente anche sul rosso avrebbe vinto il titolo, ma è ragionevole pensare che avrebbe ottenuto risultati superiori. Dopo una sconfitta con il giovane Ivanisevic al primo turno nel 1990, nel 1991 raggiunge la sua ultima semifinale parigina, dove un Agassi solido ne raccoglie i resti dopo avergli concesso il primo set. È l’ultima recita significativa di Becker a Roland Garros, dove metterà piede in due sole altre occasioni raccogliendo poco o nulla.
Come Becker, anche il grandissimo Pete Sampras non soltanto non ha vinto, ma neppure ha mai davvero avvicinato la possibilità di mettere le mani sul titolo degli Open di Francia. L’esordio a Parigi per il giovane Sampras fu traumatico: sulla poco conosciuta terra rossa continentale, l’ancor più giovane Michelino Chang nel 1989 gli lasciò tre soli game al secondo turno, lasciando molti pensare che sarebbe stata lui la stella più fulgida del tennis americano negli anni successivi. Altra brutta figura di Pete si registrò nel 1991 contro il non irresistibile francese Champion. Poi vennero tre quarti di finale consecutivi, ma Agassi, Bruguera e Courier sbarrano la strada a Pistol Pete. La questione appariva piuttosto chiara: l’immenso Sampras, nei suoi anni migliori durane i quali trionfava a ripetizione a Wimbledon e a Flushing Meadows, si trovava sistematicamente a Parigi a fare i conti con grandissimi giocatori da fondocampo, dei quali non era in grado di reggere la potenza o il ritmo nei prolungati scambi da fondo ai quali sulla terra era costretto. Dopo un’“ignominiosa“ sconfitta con l’austriaco Schaller nel 1995, nel 1996 Pete Sampras giocò il suo più grande Roland Garros. Il percorso è accidentato e per certi versi eroico: dopo Gustafsson, buon terraiolo piegato in tre set, ecco Bruguera, due volte vincitore del titolo. È una lotta durissima, la fantasia di Pete prevale nei primi due set, il fisico e la tenuta di Bruguera nei due successivi, ma è l’americano a vincere 63 al quinto set. Al terzo turno, altra maratona ed altro quinto set per Sampras, che impiega più di tre ore per avere ragione del connazionale in ascesa Todd Martin. Mai aveva dato l’anima in questo modo a Parigi.
Dopo la tregua contro Draper negli ottavi, arriva il giorno dei quarti di finale. Siamo a quella soglia del torneo che mai prima Pete ha superato. E che vuole superare. Di fronte il due volte campione di Roland Garros Jim Courier, un po’ in calo, ma sempre pesantissimo da affrontare in una giornata assolata e calda. Il copione sembra essere quello di due anni prima contro lo stesso Courier ed i fantasmi del 1994 fanno presto capolino. Courier martella con il dritto, sbaglia poco, si porta due set a zero. Sul 4-4 nel terzo set Sampras è sull’orlo del baratro. Serve sul 15-40. Ace. 30-40. Serve la prima, che non entra. Si sono rotte le corde! Bisogna andare a cambiare la racchetta, tornare sul campo, servire la seconda e salvarsi, se non si vuole che Courier vada lui a servire, ma per il match. Pete si avvia a passi lenti e a testa china, prende la racchetta, torna a fondo campo. Eccola la seconda, è all’incrocio delle righe, rimbalza male. Ace! Un momento indimenticabile. Il destino ha deciso che questa volta deve andare diversamente. E dopo 3 ore e 31 minuti durissimi, va, diversamente. Sul secondo matchpoint Sampras pare non reggersi più, ma chiude con un ace. In momento di rabbia Courier dirà “dicono che Pete sia un buon attore”, ma Sampras è stanco davvero, esausto. Tornerà sul centrale deserto dopo la partita, per contemplare in silenzio il teatro della sua più grande vittoria sulla terra nell’intera carriera. Tutto però finirà tre giorni più tardi, quando Sampras, svuotato, tiene fino al quattro a due in suo favore nel tiebreak del primo set, per poi cedere nettamente in tre set al futuro vincitore Kafelnikov. Un Roland Garros epico di Sampras, che molti dimenticano. Delle rimanenti sei edizioni giocate da Sampras è meglio non parlare, raccolse un terzo turno come miglior risultato, un pianto.
Perché Sampras non ce la fece mai? In fondo era molto più solido da fondo campo dei volleatori McEnroe ed Edberg, e meno rigido tatticamente di Becker. La sensazione è che non abbia mai creduto davvero dentro di sé di potercela fare e che abbia avuto con lo Slam Parigino un’approccio scettico e rinunciatario. Questo aspetto mentale, insieme ad una preparazione fisica e ad una resistenza spesso non adeguate ad un torneo composto di match al meglio dei cinque set da giocarsi su una superficie lenta, è forse stato decisivo.
Novak Djokovic: fa parte del club, ne uscirà?
Anche il grande Nole, dominatore del tennis dei giorni nostri, fa parte del club degli illustrissimi dell’era open ma vincitori a Roland Garros. Il fattore decisivo per giustificare l’assenza del titolo nel palmarès dell’attuale numero uno del mondo ha un solo, inequivocabile nome: Nadal. Contro lui, sul Philippe Chatrier, Djokovic ha un pessimo bilancio. Per sei volte, dicasi sei, Djokovic è andato a “sbattere” contro il muro eretto da Rafa lungo il cammino per la vittoria: è accaduto con il Djokovic immaturo e incompleto del 2007, 2008 e 2009, ma anche con il Djokovic dominatore del 2012 ,2013, 2014. Particolarmente brucianti queste ultime tre sconfitte, due in finale in quattro set, una in cinque nella celebre semifinale del 2013, quando il serbo, avanti di un break nel quinto set, sciupò tutto anche a causa di una banale ed ingenua invasione nel campo avverso. Su quel centrale in definitiva, l’uomo d’acciaio Djokovic rivela, quando Nadal è dall’altra parte della rete, un suo lato debole, un complesso psicologico che per adesso si è rivelato decisivo. Non è la vittoria agevole del 2015 contro lo spagnolo nei quarti, con Rafa in versione semi-disastrata, a smentire questa tesi. Problema risolto comunque, molti pensarono dopo quel match. Nossignore, in finale il miglior Wawrinka di ogni tempo, dopo aver perso il primo set, lo sommerge di colpi vincenti per portarsi a casa il trofeo più importante della sua carriera.
Sta adesso a Djokovic non alimentare dentro sé stesso l’ossessione della Coppa dei Moschettieri. Ma, come la storia narrata in questo articolo insegna, non sarà facile vincere una sfida che comporta una lotta contro gli avversari e contro sé stessi.
Luca Pasta