PARIGI – Non mi perdevo un’intervista di Safin, di Roddick, di Ivanisevic, quando mi era possibile. Con loro non ci si annoiava mai. A suo tempo, tornando a ritroso, nemmeno con Nastase, Panatta, Noah, McEnroe, Medvedev, Agassi. Parlo di giocatori che sono stati tutti fra i primi quattro del mondo. Ernests Gulbis è arrivato a malapena a n.10, il 9 giugno di due anni fa, dopo essere arrivato in semifinale qui al Roland Garros, quando battè Monfils nei quarti per perdere da Djokovic in semifinale. Però è uno dei pochi giocatori che meriterebbe sempre ascoltare. Brillante, spiritoso, originale, mai banale. E indubbiamente talentuoso anche se talmente discontinuo da essersi infilato fra i top-ten per un soffio e per poco, vincendo molti meno tornei di quanto avrebbe potuto, sei in una carriera che lo ha visto esordire in Coppa Davis a 16 anni nel 2005. Talmente discontinuo che oggi lo ritroviamo a n.80 del mondo. A Parigi Gulbis raggiunse i quarti nel 2007, le semi due anni fa. Anche se con gli ottavi qui almeno venti posti li risalirà. Con Tsonga, costretto al ritiro da uno stiramento all’adduttore, il tennista lettone è stato fortunato, ma – attenzione – aveva battuto 4 degli ultimi 5 top-ten affrontati negli Slam e ben 16 volte li ha battuti nei vari tornei a dimostrazione di un potenziale di primissimo livello. E top-ten di grande nome: Federer (un paio di volte), Djokovic, Del Potro, Berdych (due volte).
Se dovrà giocare contro Goffin può vincere e così anche con Thiem con il quale ha condiviso a lungo l’allenatore Gunther Bresnik. Ora sta cercando un nuovo coach, ma ha le idee chiare su cosa cerca e su chi non vorrebbe. L’allenatore famoso, l’ex campione tanto di moda (Becker per Djokovic, McEnroe ora per Raonic, Ljubicic per Federer), ad esempio non lo convince per nulla. E con l’abituale franchezza Ernests speiga perchè la cosa non gli va a genio. “Per essere onesto non credo che un ex campione sia necessariamente un buon coach, per quanto bravo sia stato. Un buon coach deve avere esperienza. Gunther ne aveva, soprattutto sotto il profilo tecnico, perché ha trascorso forse più ore di tutti sul campo. Con ragazzini, con giocatori destri, mancini, serve&volley players, juniors, 16, 18, tennisti più anziani. Quindi il suo livello di comprensione è molto ampio. Se invece prendi un ex giocatore quello si baserà sempre sulla sua prospettiva e non ti darà sempre la soluzione per risolvere il tuo problema. Un buon coach deve avere non uno o due piani di riserva, ma parecchi”. Fatta una prima selezione optando per coach magari di minor nome, più modesti ma più esperti, Gulbis ha anche un’altra necessità da tener presente: “Non cerco un allenatore che mi voglia trasmettere cognizioni tattiche. Ma un coach che abbia cognizioni tecniche. Uno capace di vedere come mantenere il mio gioco e i miei colpi puliti. Che guardandomi ogni giorno sappia intravedere quei piccoli cambiamenti che faccio o che non faccio… sono quel tipo di giocatore che se non tocco la racchetta per qualche giorno comincio a tirare il dritto in modo sempre diverso. Per questo ho bisogno di un coach capace di vedere questi dettagli. Tatticamente… il mio tennis dà fastidio a molti giocatori. Se servo bene, se tiro forte… certo devo pensare a dove indirizzare la palla, ma è comunque un colpo pesante”.