Il rapporto tra denaro e meriti sportivi è sempre stato parecchio conflittuale. All’inizio perché di sport non si poteva vivere (e di tennis men che meno), ora perché lo stesso sport ha ribaltato completamente la situazione ed è ormai un enorme catalizzatore di interessi televisivi, pubblicitari e dunque economici. Pecunia – misconosciuta divinità latina della ricchezza – non olet disse uno, dimostrando un certo senso per gli affari e ricacciando nel buco la questione etica. Djokovic è certamente un tipo particolare di “imprenditore di sé stesso”, dato che gli basta fare più o meno ogni giorno le stesse cose, allenandosi in modo tale da poterle fare al meglio il più a lungo possibile, per accrescere costantemente il suo conto in banca. Talento, disciplina, fortuna. Tant’è.
I fatti dicono che il serbo battendo Bautista Agut ha tagliato il traguardo dei 100 milioni di dollari (più di 6 nel solo 2016) guadagnati in carriera grazie ai montepremi dei tornei, primo a riuscirci nella storia di questo sport e di conseguenza leader della graduatoria ATP dei tennisti “nababbi”. Il serbo è entrato in questa classifica nel lontano 2003 grazie ai 118 dollari del Future di Monaco di Baviera, lui poco più che un ragazzino probabilmente ignaro di quello che gli avrebbe riservato il futuro. Djokovic primo, segue ovviamente Federer superato da Nole in graduatoria appena un paio di mesi fa al termine del Masters 1000 di Miami. Terza piazza per Nadal, come prevedibile, ma in quarta posizione Murray precede Sampras. Questo dato anomalo induce una prima ovvia riflessione: il costante aumento del prize money dei grandi tornei negli ultimi anni favorisce decisamente chi a tennis ancora ci gioca.
Nel 2000 – anno dell’ultimo Wimbledon conquistato da Sampras – il prize money complessivo ammontava a circa 8 milioni di sterline e lo statunitense ne portò a casa circa mezzo milione. Nel 2015 Nole si è messo in tasca quasi il quadruplo (poco meno di 2 milioni) su un prize money – più che triplicato – di circa 27 milioni di sterline. E quest’anno il montepremi toccherà quota 28 milioni di sterline – in dollari 41 milioni – proseguendo una crescita che sembra non conoscere sosta.
La medesima analisi negli altri tornei dello Slam conduce pressoché agli stessi risultati: gli Australian Open dal 2000 al 2015 hanno incrementato il prize money del 32%, gli Us Open del 28% e il Roland Garros del 27%. Numeri da capogiro.
Alla luce di questa analisi non stupisce (o stupisce meno) il settimo posto di David Ferrer ($28,921,094) nella classifica comandata da Djokovic, tra Agassi (sesto con $31,152,975 ) e Becker (ottavo con $25,080,956) che a memoria dovrebbero aver vinto qualcosa in più del pur generosissimo tennista valenciano. Diventa invece quasi ingeneroso andare a pescare Bjorn Borg in 183esima posizione – tallonato da David Goffin che è pronto a superarlo battendo Thiem – e Rod Laver addirittura in 394esima (subito dietro all’attuale n.90 ATP Stephane Robert), lui che nel 1971 fu il primo a sfondare il tetto del milione di dollari. Scherzi del danaro di cui probabilmente neanche lo stesso Robert è a conoscenza.
Insomma i guadagni sono notevolmente aumentati per i top player e Djokovic da dominatore del circuito ne beneficia più degli altri. Forse non proprio di tutti, stando all’annuale graduatoria degli sportivi più pagati del pianeta stilata da Forbes. Quella del 2015 è guidata stabilmente dal pugile Floyd Mayweather con $300M, seguito dal suo “collega” Manny Pacquiao con $160M e dai soliti Cristiano Ronaldo ($79,6M) e Leo Messi ($73.8M); Djokovic occupa un rispettabile 13esimo posto con $48M. Non è però il primo tennista perché Federer lo precede in quinta posizione con 67M.
Eppure Djokovic nella passata stagione ha guadagnato 21,6M in prize money, Federer “soltanto” 8,7M. Cosa genera questa notevole discrepanza che permette a Federer di moltiplicare sensibilmente i suoi guadagni sul campo e avere, alla fine, il portafoglio più gonfio rispetto a quello del serbo? Si tratta della voce “endorsements” che fa riferimento a sponsor, contratti pubblicitari o in generale extra-sportivi. Nel caso dei tennisti dobbiamo anche aggiungere gli accordi con le federazioni per la partecipazione alle competizioni a squadre, i contratti per le esibizioni e quelli che alcuni tornei fanno firmare ai migliori giocatori per assicurarsi la loro partecipazione (famosa fu la querelle tra Federer, sempre lui, e gli organizzatori del torneo di Basilea). Insomma, facendo la tara, il “marchio Federer” vende più del “marchio Djokovic” sebbene il serbo sia oggi (e lo sia stato nel 2015) innegabilmente più forte sul campo.
Lo stesso discorso è riproducibile al femminile con i nomi di Sharapova (26esimo posto nella graduatoria Forbes) e Serena Williams (47esima). La siberiana, per motivi che ci sembra a questo punto ridondante sottolineare, ha introiti complessivi superiori alla statunitense di circa 10 milioni, nonostante nel 2015 abbia guadagnato ben 7 milioni di premi sportivi in meno.
Federer e Sharapova, per quanto significativi, non sono però gli esempi migliori di sportivi in grado di tirare fuori più quattrini dalla loro immagine di quanto non sia possibile fare sul campo. Se la cavano egregiamente anche i cestisti Lebron James e Kevin Durant, primi tra i giocatori di basket e rispettivamente in posizione 6 e 7, che triplicano i loro guadagni con sponsor e affini. Eppure c’è chi sa fare di meglio.
I maestri di questa pratica vanno ricercati tra gli artisti della palla in buca. Phil Mickelson – ottavo nella graduatoria di Forbes e primo fra i golfisti – vanta premi sportivi per $2.8M ma raggiunge complessivamente la faraonica cifra di $50.8M. Il sempreverde Tiger Woods fa addirittura meglio: sul campo nel 2015 si è limitato a guadagnare meno di 1 milione di dollari ma i suoi introiti complessivi hanno raggiunto i 50 milioni di dollari per un incremento del 5000% grazie agli “endorsements”.
Esistono al contrario esempi più “virtuosi”. Il più fulgido viene dal poco tenero football americano, uno sport abbastanza lontano dalla nostra cultura. Ndamukong Su, piccolo esemplare di 139 kg in forza ai Miami Dolphins, ricava dal suo talento sportivo 38 dei 38.6 milioni di $ che compongono i suoi introiti del 2015. Certo lo aiuta il contratto da 114 milioni stipulato nella scorsa stagione, grazie al quale scommettiamo non sarà costretto a cercarsi una seconda occupazione (o una buona marca di automobili da sponsorizzare, come il povero Nole).
E nel confronto numerico con gli altri sport il tennis come se la cava? Tra i 100 “paperoni” di Forbes figurano sette tennisti: oltre ai quattro già citati ci sono Nadal (22esimo), Murray (64esimo) e Nishikori (92esimo, che rimpingua i suoi guadagni con ben 15 milioni “extra-prize money”). Peggio fanno i giocatori di cricket (1), i pugili (3), i golfisti (6, ma i primi 2 guidano la classifica) e gli automobilisti (6). Inarrivabili gli sportivi di matrice USA: basket, football e baseball infatti popolano circa un terzo della graduatoria con ben 61 sportivi. Insomma il tennis si assesta nel mezzo, migliore tra gli sport individuali ma ancora lontano da alcune vette tutte a stelle e strisce.
Alla fine però si ritorna a Djokovic. Il serbo pare essere tormentato dal fantasma di Federer anche quando si tratta di esibire il portafoglio, mentre vanta un margine rassicurante sul suo altro acerrimo rivale Nadal (fermo a $32.5M, in netta discesa rispetto al 2014). E se per ridurre il distacco “finanziario” dal primo potrebbe bastare un’altra buona trovata pubblicitaria, per avvicinarsi allo spagnolo – sul campo – temiamo sia necessario per lui portare a termine la missione parigina.