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PARIGI – Inevitabile parlare del primo Roland Garros di Novak Djokovic, del suo Career Grand Slam, del non Calendar Slam. Se non c’era più riuscito nessuno dal’69, da Rod Laver, beh, non c’è dubbio che si tratti di un risultato straordinario. E Novak ha anche detto poi “Non voglio sembrare arrogante…ma nessun traguardo è impossibile” quando gli hanno chiesto se avesse preso in considerazione l’ipotesi di realizzare il Grande Slam quest’anno.
In effetti chi potrà essere più favorito di Djokovic al prossimo Wimbledon quando non si sa neppure in che condizioni potrà presentarsi Roger Federer – e se – e si sa ancora meno sullo stato del polso sinistro di Rafa Nadal. Di nuovo l’avversario più temibile sarà probabilmente il n.2 del mondo, lo scozzese di Dunblane che avrà – contrariamente che qui al Roland Garros – tutto il pubblico dalla sua parte.
Ma, senza sottovalutare minimamente quei risultati e quei record sopra citati, a me il dato che fa più effetto è un altro: negli ultimi sei Slam, dal gennaio 2015, Novak Djokovic ha perso una sola partita su 42. Quella con il miglior Stan Wawrinka di sempre un anno fa qui a Parigi.
E, se proprio devo snocciolare anch’io un altro dato, è quello relativo al 2016: Novak ha perso solo tre partite e in circostanze molto ma molto particolari. Quella con Lopez a Dubai quando è stato vittima di un attacco di congiuntivite e si è dovuto ritirare, quella con Vesely a Montecarlo quando ha giocato in realtà la sua controfigura, infine quella con Murray in finale a Roma quando lui era reduce da una maratona con Nishikori che lo aveva mandato a letto ben dopo la mezzanotte.
Qua a Parigi ha perso due soli set, il primo con Bautista Agut e il primo con Andy Murray. Ma poi non c’è stata vera suspence né con l’uno né con l’altro. Un po’, ma solo un po’, ne ha messa Djokovic quando sul 5-2 nel quarto quando serviva per il match si è improvvisamente irrigidito, ha fatto anche un doppio fallo sul 15-30, perso due games di fila a 15 e sul 5-4, dopo aver conquistato il 40-15 e due matchpoint, prima ha commesso un altro doppio fallo e poi sbagliato un rovescio lungolinea. Ma sul terzo matchpoint un rovescio in rete di Murray gli ha finalmente permesso di conquistare il suo Graal.
Poi è stata apoteosi. Lui che disegnava il cuore con la racchetta sul terreno, come aveva fatto Guga Kuerten quando vinse il secondo dei suoi tre Roland Garros …
E se ascoltate l’audio dell’intervista fatta al simpaticissimo estroverso brasiliano, lo sentirete raccontare che i due si erano incontrati per girare un video-spot per la Peugeot alla vigilia del torneo e che Novak gli aveva chiesto, in caso di successo, il permesso di imitarlo. “E naturalmente gli ho detto che non c’erano problemi, anzi mi faceva piacere che ricordasse quel mio gesto…però ora gli devo dire – e Guga ride – che io quel cuore lo avevo disegnato molto meglio. Chissà, forse se vincerà tre volte Parigi…imparerà a farlo meglio”.
A ben vedere il momento più rischioso per il torneo di Nole è quello che nessuno poteva immaginare e ricorderà. È stato quando nel match contro Berdych, avanti due set a zero ma brekkato nel primo game del terzo, Novak aveva mancato una pallabreak per recuperare nel game successivo con un errore gratuito. Per la frustrazione aveva buttato con forza la racchetta con la testa della Head in giù. E quella, senza che Novak potesse immaginarlo, è volata fino a sfiorare la testa di un giudice di linea. Un miracolo se non l’ha preso in pieno. Fosse successo non se la sarebbe cavata con il “warning” – l’ammonizione – ma sarebbe stato squalificato. Come era accaduto a Tim Henman nel corso di un doppio a Wimbledon ’95, a Gasquet nelle qualificazioni dell’US Open 2004, a David Nalbandian al Queen’s nel 2012 dopo un calcione sferrato ad un tabellone che aveva poi ferito un giudice di linea e anche al nostro Pescosolido a Sydney tanti anni fa, quando una sua racchetta rimbalzando sul cemento finì addosso ad una signora seduta in prima fila. Pensate un po’ se Djokovic avesse perso questo torneo per colpa di quel lancio mal calcolato. “Sono stato fortunato lì, non so perché l’ho fatto…è stato un rimbalzo sfortunato”, ma era addirittura recidivo, perché di un simile episodio era stato protagonista anche a Roma, nel corso della finale poi perduta con Murray. Anche lì la sua racchetta era finita, rimbalzando, in tribuna. “Le prossime volte al suo manico gli metteremo un nastro adesivo, in modo che la racchetta gli rimanga appiccicata alla mano!” ha detto ridendo Marian Vajda, l’allenatore slovacco che lo segue da sempre e che non ha mai manifestato segni di gelosia nei confronti di Boris Becker.
Djokovic non è certo uno che si comporta male sul campo, che fa “pazzie” alla Nastase, alla McEnroe, alla Connors, i tre campioni per i cui comportamenti spesso oltre la “border-line” l’ATP fu quasi costretta ad inventarsi il “Code of Conduct”, il codice di condotta. Ma dopo quell’incidente Novak si è come calmato, non ha più dato – né contro Thiem né contro Murray – segni di vero nervosismo. Fino agli ultimi game della finale, quando la tensione per il traguardo così a lungo sospirato, si è inevitabilmente impadronita di lui. Ma senza impedirgli di coronare il successo che meritava.
E a coloro che insistono a snobbarlo, a considerarlo un noioso picchiatore da fondo che basa il suo tennis sulla solidità dei suoi colpi da fondocampo, sulla sua straordinaria resistenza, sul suo atleticismo da ginnasta, sulla sua potenza, sulla determinazione e sulla grinta che hanno sempre contraddistinto le sue prestazioni, consiglio di riguardare gli highlights di questa finale per poter ammirare gli straordinari tocchi che è riuscito a giocare correndo in avanti sulle smorzate di Murray, cesellando dropshots con una mano non meno fatata di quella che aveva Genius McEnroe. Li ha fatti di dritto come di rovescio, a due mani e ad una, quasi sempre sorprendendo in contropiede – e in punti importanti del match – Murray che pure quanto a tocco di palla è secondo a pochi.
Ho letto interessanti commenti in calce al mio ultimo editoriale, con concetti magari un tantino ripetuti, fra chi sosteneva che Djokovic sia avvantaggiato nell’ottenimento di tutti questi risultati dall’obiettivo calo di Federer (ultimo Slam vinto Wimbledon 2012…sono passati 4 anni!) e di Nadal (perseguitato da infortuni di varo genere) e da un Murray che, pur in progresso, è sempre stato considerato il meno forte dei Fab Four. E chi invece sosteneva che Djokovic è migliorato anno dopo anno, dopo un 2011 pazzesco, due anni così così, e di nuovo un 2015-2016 incredibile. Erano commenti che sostenevano tesi diverse e contrapposte, ma secondo me ben argomentati da una parte e dall’altra. Sensati. E mi ha fatto piacere leggerli, perché non erano scioccamente faziosi come tanti invece mi tocca leggere. Direi che erano perfino istruttivi, come vorrei fossero sempre. Senza voler far il Salomone, direi che avevano ragione gli uni e gli altri. La verità sta e stava va nel mezzo. Se avete qualche minuto andate a rileggerli. Perché onestamente io non saprei dire molto di più. Posso solo dire che quello di questo Roland Garros non è stato il miglior Djokovic che ho visto, eppure ha vinto e non ha mai rischiato di perdere.
Insomma è decisamente il più forte di tutti. Un numero uno per…distacco, come del resto dicono i punti ATP che lo separano dal n.2 e da tutti gli altri. Figurarsi se voglio polemizzare, 6 mesi dopo, con Roger Federer, quando lui in Australia si adombrò perché gli chiesi se non pensasse che in assenza di grandi competitor Novak non rischiasse di dominare il tennis mondiale per due o più anni. Roger mi disse che la mia domanda era stupida e che mancava di rispetto nei confronti di tanti giocatori con i quali mi sarei dovuto rapportare. Credo ancora oggi che non avesse capito la domanda. Ma ribadisco quello che pensavo allora, e che penso da quando scrissi un anno e mezzo fa, che Djokovic potrà scavalcare il numero degli Slam di Rafa Nadal e forse anche quello di Roger Federer.
Quando lo scrissi per la prima volta, Novak aveva vinto lo Slam n.8 e sembrava azzardato. Oggi che ne ha vinti 12 forse sembra meno azzardato. Non sono pochi coloro che sono convinti che già quest’anno potrebbe eguagliare Nadal. Se così fosse avrebbe anche realizzato il Grande Slam, quello vero. Io non mi sento di escluderlo, se la salute lo sorregge. Anzi. E se arrivasse a 14 Slam a fine 2016, beh allora sì che Roger Federer sarebbe a un tiro di schioppo. E con un Grande Slam nel palmarès, tutti i famosi e famigerati discorsi sul GOAT, il più forte tennista di tutti i tempi, verrebbero inevitabilmente riaperti anche da chi, come me, ritiene che non si possano paragonare tennisti di epoche diverse.
Chiudo dicendo che mi ha fatto piacere vedere Adriano Panatta al centro di una premiazione organizzata come Dio comanda, e non come quella triste parodia che mi toccò vedere a Roma in mezzo a gente che – diversamente da qui – non aveva nessuna voglia di festeggiarlo. Sono certo che Adriano si sarà compiaciuto del filmato mostrato al Roland Garros e visto in tutti i 224 Paesi collegati del mondo, almeno quanto si sarà rimproverato di aver ceduto alle insistenze di Giovanni Malagò per quella squallidissima cerimonia in cui si sbagliarono perfino nel consegnare i piatti ai quattro protagonisti della nostra unica vittoria in Coppa Davis. Sul triste bilancio del tennis azzurro in quello che era il torneo solitamente più adatto alle nostra caratteristiche, ci sarà tempo per ritornarci su.