Anche quest’anno Novak Djokovic è giunto all’atto finale di Porte d’Auteuil. Ha un’altra opportunità, come già detto in tutte le salse, di ottenere il Career Grand Slam, togliendo così definitivamente il suo nome dal pericoloso club dei campioni che non vinsero tutto – club comunque di tutto rispetto, che conta tra i suoi membri Ivan Lendl, Mats Wilander, Bjorn Borg, Monica Seles, Pete Sampras, Boris Becker (attuale coach di Djokovic), Martina Hingis.
Il gruppo più nutrito, comprendente gli ultimi tre citati e numerosi altri, è quello di coloro a cui sfuggì come unica tappa Slam quella sul rosso di Parigi. Può apparire strano che Djokovic stenti proprio in questo torneo, lui che non ha certo caratteristiche di serve & volley o un gioco che assale la rete, specialmente perché, con l’uniformarsi delle varie superfici e la graduale sparizione degli “specialisti”, la sua strada sarebbe dovuta apparire più facile. C’è un però, un però molto grosso, che viene da Maiorca e risponde al nome di Rafael Nadal: dalla prima volta che Nole si è presentato alle fasi finali del Roland Garros, ormai undici anni fa, lo spagnolo ha vinto nove titoli, lasciandone uno ad un miracolato Roger Federer e un altro, l’ultimo, ad un clamoroso Stan Wawrinka posseduto dal dio del tennis. Per tre volte, a trovarsi sbattuta la porta in faccia in finale, fu proprio Djokovic.
Fin qui, nulla di nuovo, no? Ma in due di queste occasioni, per l’esattezza nel 2012 e nel 2015, Novak Djokovic si presentava nella medesima situazione in cui scenderà in campo oggi: da campione in carica degli Australian Open. Se dovesse finalmente sollevare anche la tanto bramata Coppa dei Moschettieri, Novak avrebbe l’opportunità di presentarsi a Wimbledon con il sogno del Grande Slam ancora vivo, evento che non si verifica addirittura dal 1992. Quattordici anni fa, infatti, Jim Courier vinse sia lo Happy Slam che l’Open di Francia, soltanto per venir fermato al terzo turno della “Londra bene” dallo sconosciuto qualificato Andrej Ol’chovskij (best ranking: 49). Quattro anni prima di lui, nel 1988, anche Mats Wilander era giunto a Wimbledon coltivando le stesse ambizioni: a lasciargli soli sette game, nei quarti di finale, fu Miroslav “Gattone” Mecir in una delle sue sfuriate migliori. Prima di loro due la classifica perde di significato, poiché gli Australian Open si disputavano al termine dell’anno e quindi qualsiasi campione del Roland Garros giungeva ai Championships con il 100% degli slam stagionali vinti.
Se alla luce del dominio Federer-Nadal dell’ultimo decennio il dato vi sembra strano, l’ironia della sorte vuole che Rafa abbia celebrato l’unico Australian Open della sua carriera nel 2009, proprio pochi mesi prima che Roger conquistasse l’unico Roland Garros della sua (con Djokovic fermato in tre set da Philipp Kohlschreiber, uno che oggi il serbo supera in scioltezza su qualsiasi superficie).
Per Nole oggi però c’è addirittura di più: c’è la chance di diventare il primo uomo a detenere tutti i titoli dello Slam contemporaneamente – il famoso “Non-calendar year Grand Slam” – dai tempi del mitico Rod Laver! La posta in palio è altissima. Tanto alta quanto, in caso di sconfitta, sarebbe enorme la beffa. Andy Murray, vincendo il proprio primo Roland Garros (a qualche settimana dalla sua prima vittoria agli Internazionali d’Italia, in finale proprio contro Djokovic), si presenterebbe a Melbourne il prossimo gennaio in gara per il Career Grand Slam, e in caso di vittoria sarebbe riuscito a farcela con il minor numero di vittorie – una – per ogni major. Prima di lui, soltanto Andre Agassi nel 1999. Questa situazione, per il momento ancora immaginaria, lascerebbe Novak Djokovic nella situazione paradossale di essere il dominatore incontrastato del circuito, una spanna sopra gli altri tre Fab Four che spesso e volentieri maltratta, e anche l’unico dei quattro a non aver ottenuto un successo in ognuno dei quattro tornei principali. Primo tra tutti e secondo dei quattro. Stai attento, Novak.