Finisce la favola ma Willis sorride (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
La favola è finita, gli amici se ne vanno. Eppure la storia del signor Willis rimarrà scolpita nell’eternità dello sport, del suo fascino immortale, tornerà a riaffiorare ogni volta che l’orgoglio ferito dell’Inghilterra piangerà come in questi giorni drammatici di disfatte epocali, ogni volta che i sogni smarriti dietro troppe birre e un portafoglio vuoto riprenderanno luce e colore quando meno ci sarebbe da aspettarselo. Marcus ha perso, evviva Marcus. E perfino Federer, il più grande, l’unico vero sovrano di questo regno verde, alla fine gli concede l’onore della ribalta, aspettandolo mentre l’altro saluta una folla commossa fino alle lacrime, e poi uscendo dal campo con lui, dividendo applausi e autografi.
Non poteva essere una partita, e infatti non lo e stata. E non perché c’erano di fronte il numero 772 del mondo e una divinità. Ma perché questa è la settimana di Willis, è il suo show, il suo spettacolo, questi sono i suoi giorni, i giorni del ragazzo grassoccio che viveva, a stento, dando lezioni di tennis a bambini e vecchiette, che aveva sacrificato il talento a una testa troppo calda tanto da farsi buttar fuori dagli Australian Open juniores nel 2008 per intemperanze verbali. I giorni dell’ex compagno di allenamenti di Murray quand’era ragazzino, con la carta di credito in rosso perenne e un solo torneo Future in stagione, perché non ha soldi per viaggiare e quando ci riesce, e vince un doppio, mette in tasca 60 sterline. E perché no, sono i giorni di Jennifer, la fidanzata conosciuta a un concerto a febbraio, già madre di due figli, che lo convince a rinunciare a un lavoro a Philadelphia per tornare a inseguire i sogni.
C’è lei in prima fila nella tribuna dedicata, insieme a Jake e Kath, i genitori di Marcus che ancora lo ospitano in casa. E poi ci sono 15.000 cuori palpitanti che gli tributano il tripudio non appena lui entra in campo, con un sorriso da bambino al circo con lo zucchero filato: «Una cosa incredibile, un’eccitazione mai vista, ero nervoso ma poi ho goduto di ogni momento in campo, di ogni singolo istante. ‘Ilttta questa esperienza a Wimbledon è stata indescrivibile e soprattutto incancellabile». Il Centrale pare crollare quando Willis, a metà del secondo game, passa Roger con un lob di rovescio, un colpo che adesso resterà per l’eternità: «Potrò sempre raccontare di aver fatto un pallonetto a Federen . Dopo un’ora e 25 minuti i due si ritrovano a rete per stringersi la mano, Marcus da oggi tornerà a prendere la metropolitana perché non ha la patente, con le 50.000 sterline del premio (60.000 euro) non avrà l’incubo di svegliarsi al mattino con una telefonata dalla banca e potrà tornare felice ad insegnare tennis (…)
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Lo show di Willis si infrange contro Federer (Gianni Clerici, La Repubblica)
Pioveva. Le chiamano showers, gli indigeni, che tradotto significa docce. E’ un gentile diminutivo che aiuta a non definirle scrosci, acquazzoni o peggio. La maggior parte dei 30mila non si irrita, né bestemmia, magari fa un giretto al Museo, e infine acquista un ombrello in tela verde e viola, i colori del club, così da poter dimostrare che, a Wimbledon, lui ci è entrato. In una simile vicenda simbolistica mancava una storiellina esemplare, svoltasi grazie all’unico campo asciutto, il Centrale, sotto quel benefico tetto che, mi disse una decina di anni fa il Chairman, il Presidente, Buzzer Hadingham, «Non costruiremo mai, we are british. Avrebbe certo votato Brexit, per poi pentirsi, come fanno in tanti, il povero Buzzer. La fortuna, comunque, è giunta in tempo a soccorrere quei 15mila che avevano avuto un biglietto per il Centrale. Hanno assistito, gli eletti, ad una sorta di copione irrealizzabile se non in quelle che è doveroso definire “scemeggiate”, e cioè sceneggiate ordite da colleghi un po’ stupidini, oppure superfurbi. Per produrre simili vicende è certo indispensabile, insieme ad una conosciutissima Star, un esordiente, almeno in apparenza votato ad un futuro, immancabile successo.
I produttori avevano deciso, chissà a quali prezzi abissali di servirsi della più grande Star contemporanea, Federer, accopiandolo con un esordiente a cui avevano assegnato un molo difficilmente credibile. II 25enne Marcus Willis era infatti pervenuto miracolosamente al torneo, senza acquistare il biglietto d’entrata. N. 772 del mondo, riscrivo sette-centosettantadue, aveva disputato le prequalificazioni superandole soltanto grazie al ritiro di un tipo rimasto in Turchia, per lo smarrimento del biglietto aereo. Ammesso così alle qualificazioni, era riuscito miracolosamente a battere altri tre tipi, un giapponese e due russi , forse affaticati per la lontananza dei loro domicili. Vista simile incredibile avvenimento, lo scemeggiatore aveva fatto sì che concedesse più di un’intervista alle grandi tv, ed eravamo così venuti a sapere che, raggiunti i 25 anni, al termine di una più che deludente carriera, Willis aveva deciso di abbandonare la professione di presunto tennista, per trovare un impiego di maestro al Warwick Boat Cub, dove dove aveva incontrato una fidanzata americana che gli aveva suggerito una personale brexit, sicura di potergli trovare un miglior lavoro in Usa, con incassi superiori alle 258 sterline intascate sin qui, col tennis. Incerto se accettare, Willis aveva suggerito di attendere il risultato del primo turno contro il lituano Berankis, sorta di nuova vincita al lotto che gli aveva concesso un assegno di 50.000 sterline.
Ci mancava giusto la pioggia per far sì che il Centrale divenisse l’unico palcoscenico esistente. Rimaneva da progettare il copione di Federer. Immaginare di farlo perdere era eccessivo anche per lo scemeggiatore della vicenda Willis. Quel che non si poteva forse immaginare era che Roger dimostrasse la sua professionalità e il suo rispetto per Marcus lasciandogli una sola palla break nel primo set, tre games nel secondo, dopo di che l’involontario protagonista sarebbe stato costretto ad affidarsi al fisio, forse per attenuare una contrattura emotiva. Via via che cresceva l’abitudine al gioco dei campioni, e diminuiva l’emozione, Marcus avrebbe trovato modo di andare in testa, 4-3, contro un Federer forse distratto, ma certo lontano da quello che fu (…)
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Favola Willis, vince 7 game contro Federer (Stefano Semeraro, La Stampa)
La vita è una cosa meravigliosa (o perlomeno divertente), può esserlo anche il tennis. Prendete la vicenda di Marcus Willis, il numero 772 del mondo che oggi pomeriggio ha sfidato Federer sul Centre Court, beccando tre set a zero (6-0 6-3 6-4) ma facendo letteralmente impazzire il pubblico londinese che in questi giorni di depressione post-Brexit ha tanto bisogno di uno straccio eroe, possibilmente molto british e popolare, per tirarsi su il morale.
Willis è nato a Slought, un maleodorante sobborgo piazzato fra Heathrow e Londra. Con la racchetta ci ha provato per anni, rimediando quasi solo delusioni, quando stava per mollare tutto per finire a fare il maestro di tennis in un oscuro circolo americano ha incontrato Jennifer Bate. La donna della sua vita, dentista con un matrimonio fallito e due figli sulle spalle che l’ha convinto a riprovarci, a non mollare. «E io ho fatto quello che mi ha detto», aveva spiegato alla vigilia Marcus il cicciotello, paragonato immediatamente a Cartman, il rotondo protagonista del cartone animato satirico South Park. L’ingresso nelle pre-qualificazioni grazie alle disgrazie altrui, poi sei turni preliminari filati e l’occasione della vita che si materializza in un primo turno in tabellone contro il re del tennis, sul campo più celebre del pianeta. La “Little Britain” che sogna il riscatto è impazzita di felicità. Ieri i suoi tifosi avevano persino suggerito alla BBC una guida per tifarlo, mentre internet si è scatenato alla ricerca di tracce della sua vita precedente (ad esempio a un cambio campo ingurgitava Coca Cola e un dolciume fregandosene dei rotolini addominali).
Tanti, a partire da Federer e Tomas Berdych, lo avevano preso ad esempio («il tennis ha bisogno di storie del genere»), Goran Ivanisevic gli aveva suggerito di «ubriacarsi e ritirarsi appena finito il match». Oggi, l’apoteosi. Tutti tabloid l’hanno seguito passo per passo, paparazzando anche la biondissima e rossettatissima Jennifer mentre entrava all’All England Club e si installava nel box sul Centre Court a fianco dei genitori e della sorella del moroso, entrando direttamente nella top-ten delle wags tennistiche. Ma soprattutto il pubblico dalle tribune lo ha applaudito ed esaltato molto più di Federer, esplodendo ai suoi (pochi) colpi vincenti, ridendo e applaudendo i pugnetti alzati del suo eroe, le sue smorfie da ragazzo da provincia, magari un po’ “ganassa”, ma intelligente a sufficienza da capire che quelli erano i suoi tre set di celebrità. E che se c’era una chance di svoltare, nella vita prima che nel tennis, doveva acchiapparla al volo senza farsi schiacciare dalla tensione.
Alla fine sono arrivate le lacrimucce, il saluto a braccia levate, e una standing ovation dei tutto il Centre Court come nemmeno dopo la vittoria di Andy Murray nel 2013. Come in un film di Frank Capra, molto meglio che nel mediocre “Wimbledon” girato da Richard Loncraine nel 2004 e giustamente dimenticato. Willis il Carneade insomma per un giorno ha rubato la scena a Federer. E il genio, per primo, è stato grande nell’accettarlo e nel capire la situazione. «Sapevo che oggi sarebbe stato un match diverso dagli altri», ha sorriso alla fine l’ex Number One. «So cosa poteva provare oggi Marcus entrando in campo, mi ha ricordato le sensazioni che ho provato io nel 2001 quando mi sono trovato a sfidare su questo campo Pete Sampras. È stato bravissimo a gestire la situazione, gli faccio i miei migliori auguri per il futuro». A parte il blasfemo paragone (da rosso diretto, se non l’avesse proposto lui…) con quel match leggendario da cui iniziò la leggenda di Federer, tutto giusto (…)
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La favola di Willis diventerà un libro? (Claudio Giua, repubblica.it)
Quando piove e i match sono sospesi, leggo volentieri. Sul Kindle cerco una frase wimbledoniana che avevo scovato su “Open” di Andre Agassi, uno dei libri più venduti degli ultimi anni, e ricordo malamente. La trovo: “Io però non credo che Wimbledon mi abbia cambiato. Anzi ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto: vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno Slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente”. Una volta di più prendo atto come alla prosa accattivante di J.R. Moehringer, ghost writer della biografia del campione americano, vada il merito di aver imposto sugli scaffali delle Barnes & Noble, delle FNAC e delle Feltrinelli i romanzi, le biografie e i manuali di tennis altrimenti confinati nell’angolo in fondo a sinistra e, più spesso, in magazzino.
Ovviamente, non tutto quanto è stato pubblicato su tennis e dintorni dai giorni del fulmineo successo di “Open”, datato 2009, vale la pena d’essere preso in considerazione o addirittura citato. Merita invece una lettura non distratta “Game set match. Borg, Edberg, Wilander e la Svezia del grande tennis” di Mats Holm e Ulf Roosvald (2016, add editore, 16 euro) perché racconta con vivezza dello straordinario fenomeno, più sociale che sportivo, che quasi quarant’anni fa trasformò il paese scandinavo e le esistenze di migliaia di ragazzi affascinati da Borg e dagli altri. A me il libro l’ha regalato mia moglie: di carta, mica un eBook.
Torniamo ad Agassi, che vinse all’All England una sola volta, nel 1992, battendo in finale Goran Ivanisevic. Se fu un momento felice, durò poco, come ha tenuto a comunicarci. Non si fa fatica a crederlo. Eppure un attimo di gioia può contare più di mesi di malinconie. E penso che a scoprire cos’è la felicità, centellinata momento dopo momento, sia stato in questi giorni Marcus Willis, 25 anni, numero 772 del ranking ATP, che dalle prequalificazioni è approdato al secondo turno del torneo più seguito della stagione. Se ancora non la sapete, questa è la sua storia in versione compact: maestro al Warwick Boat Club nei sobborghi di Birmingham, mesi fa Marcus si iscrive alle prequali dello Slam sull’erba; una, due, tre vittorie per accedere alle qualificazioni proprio il giorno in cui lo chiamano per offrirgli un lavoro da coach a Philadelphia, dall’altra parte dell’Atlantico; entra in scena la fidanzata Jennifer che lo convince a rifiutare e puntare al sogno degli Championships; altre tre vittorie ai danni del Top 100 Yuichi Sugita, della promessa Andrey Rublev e di Daniil Medvedev; approdo trionfale nel main draw; lunedì l’impresa di eliminare in tre set Ricardas Berankis, numero 54 ATP. Oggi gli tocca Roger Federer. Chi meglio dello svizzero per chiudere, sognando, un sogno indimenticabile? Il match comincia alle 17 sulla Centre Court – l’unico stadio fino a quell’ora praticabile grazie al tetto mobile – mentre Novak Djokovic si prende un tè dopo aver faticato (6-4 6-3 7-6) contro il talentuoso francese Adrian Mannarino, 55 ATP.
Divertimento puro. L’inglese tenta di dare del filo da torcere al numero 3 del mondo, che accetta giocosamente la sfida e mostra preziosismi da esibizione, veroniche a metà campo e rovesci da dietro la schiena, totalmente al buio. Sotto 0-5, Willis ha la chance di togliere un game all’avversario, ma se la lascia sfuggire. Sugli spalti si spellano le mani, sul campo i due sorridono spesso, rilassati. È una festa di popolo, e Dio sa di quanto se ne sente il bisogno nella Londra del dopo Brexit.
A tratti Willis non appare un giocatore da Futures periferici. Dispone di un servizio potente, gli piacciono i colpi tagliati, tiene i piedi ben saldi sulla riga di fondo, azzarda spesso il serve-and-volley. Talvolta, invece, mostra ingenuità mai viste nel tempio del tennis. Nel secondo set lo svizzero si distrae all’inizio e alla fine, lasciando che il ragazzo si prenda tre game. Nel terzo set sale la tensione e si stempera il clima da party sull’erba. Marcus crede per un po’ che sia alla sua portata l’impresa di sottrarre un set al mito globale. Riesce a mantenere il proprio servizio, poi cede di schianto (6-0 6-3 6-4). Firma autografi e dispensa sorrisi per un quarto d’ora (…)