Al termine della partita vinta contro Roberta Vinci, Coco Vandeweghe ha rilasciato un’intervista in cui ha raccontato tanti retroscena personali: sulla famiglia, sulla sua educazione e sull’importante ruolo che ha avuto lo sport nel suo processo di crescita.
Coco infatti proviene da una famiglia di sportivi celebri, con il nonno Ernie e lo zio Kiki giocatori di basket a livello professionistico e la mamma atleta olimpica addirittura in due discipline (nuoto a Montreal 1976 e pallavolo a Los Angeles 1984). Ma un’altra figura importante è stata la nonna, vera matriarca di famiglia, che fra l’altro da giovane era anche stata Miss America.
Ecco il racconto di Coco in conferenza stampa: “Sono stata allevata da una madre divorziata, mentre mio padre non posso dire di conoscerlo veramente. Oltre a mia madre, per la mia crescita sono stati importanti i nonni materni. Mi mancano ancora tantissimo: i nonni sono quelli che stanno dalla tua parte quando la mamma ti sgrida, che ti viziano, che ti danno di nascosto i biscotti Oreo. Quando mia madre mi rimproverava, correvo da loro e il nonno aveva sempre pronto un Oreo per me. Lui adorava gli Oreo e io ne prendevo uno e mi nascondevo nel lettone dei nonni per mangiarlo con loro.”
“Per me è stata molto importante anche mia nonna, che era stata Miss America e che mi mi diceva: “Fai finta sino a che riuscirai a farlo davvero”. Detto da una Miss America che traspirava fiducia in se stessa da tutti i pori, mi sembra una buona battuta”.
Lo sport è sempre stato fondamentale per i Vandeweghe: “Mio nonno era stato consulente per il Presidente degli Stati Uniti per le questioni sanitarie, legate al ruolo dello sport. Invece mia madre è stata molto attiva nell’Associazione per lo Sport femminile.
E poi lei è stata un’atleta olimpica. Ma quest’anno andrò anch’io alle Olimpiadi, così colmerò la lacuna. Tanto che la mamma mi ha detto: “Ormai l’unica cosa che mi è rimasta in cui batterti è la statura: sono più alta di te”.
“Sentirsi sempre in gara è tipico della mia famiglia, anche nelle questioni più banali: nei giochi di carte, come nella lotta a chi arrivava a sedersi per primo sul sedile davanti della macchina. Cose così, stupide, ma che prendevamo in modo competitivo. E’ stata parte del mio modo di crescere”.
E sul tennis: “Non ho mai realmente dubitato sulle mie possibilità nel tennis, e sul fatto che potessi sconfiggere buone giocatrici, anche in eventi importanti. Ma un conto è pensarlo, un conto provare di esserne capace. Negli ultimi due anni ho lavorato bene. Io chiedo solo di riuscire a tirare fuori il massimo da me stessa, di diventare la miglior giocatrice che posso. Vedremo se questo significherà poter vincere o meno grandi tornei”.
Nel tennis ha vissuto anche momenti difficili. “La finale di Fed Cup? La ricordo bene: a San Diego nel 2010, un’esperienza folle. Io avevo 18 anni, ero alla mia prima convocazione, del tutto inesperta. Ricordo le cerimonie legate all’evento, le varie riunioni, i rapporti con i “dignitari” dell’ITF, della USTA, della Federazione Italiana. Io avevo cercato di fare del mio meglio, ma mi sono ritrovata come in pasto ai lupi. E poi esordire contro due giocatrici come Francesca e Flavia…” (ndr: perse 6-4, 6-2 da Schiavone e 6-1, 6-2 da Pennetta).
Invece è andata molto meglio nel turno di Wimbledon contro Roberta Vinci: ”Sul Campo Centrale c’era un’atmosfera speciale, si sentiva l’elettricità della gente. Contro Roberta non è stato semplice: lei è una avversaria difficile, gioca diverso dalle altre e non c’è solo il problema del rovescio slice. Ha una grande manualità e non ha paura di venire avanti: si sente a suo agio a rete. Mette alla prova i tuoi nervi, è come se ti desse un problema da risolvere”.
“Aver battuto un’altra giocatrice molto tecnica come Radwanska sull’erba di Birmingham mi ha dato ulteriore confidenza. Ogni avversaria ti fa crescere, perché ti offre difficoltà diverse”.
E su Anastasia Pavlyuchenkova, prossimo ostacolo negli ottavi di finale: “Ci ho giocato contro solo una volta, due anni fa a Miami. Un match molto duro (vinto da Vandeweghe 7-5, 7-5 ndr). Lei era attorno al numero 20 del mondo io venivo dalle qualificazioni. Ma è la stessa questione che con Vinci e Radwanska: ogni avversaria è differente, e lei è riuscita a batterne una molto tosta come Timea Bacsinszky”.