Non sempre accade che una finale Slam sia all’altezza delle aspettative, ma questa volta Williams contro Kerber non ha deluso. Dovessi dire cosa è mancato, sceglierei l’elemento più banale: il terzo set. Quando la partita è divertente se l’incontro si prolunga gli spettatori sono più felici; ma sono comunque stati due set intensissimi e davvero ben giocati.
Ecco il riepilogo statistico fornito da IBM sul match:
Dunque Williams ha chiuso con un saldo di +18 (39 vincenti, 21 errori non forzati), che comprende anche 13 ace e 3 doppi falli. Per Kerber +3 (12/9) con zero ace e un doppio fallo.
Un dato interessante è quello che scompone gli scambi in base alla lunghezza. Logicamente quelli sotto i quattro colpi, in cui è preponderante l’incidenza del servizio, sono favorevoli a Williams (51 a 33). Altrettanto prevedibilmente favorevoli a Kerber gli scambi che si prolungano, cioè quelli tra i 5 e gli 8 colpi (18 a 13). Quasi pari gli scambi sopra i nove colpi (9 a 8 per Angelique): a prima vista un equilibrio inatteso, ma fino a un certo punto. Secondo me questo numero conferma che Serena, come tutte le grandi giocatrici, “sente” quando i punti diventano eccezionali e mette quel qualcosa in più sul piano dello sforzo per non concedere all’avversaria il primato degli scambi che infiammano lo stadio.
Un altro dato merita un piccolo rilievo: il numero di punti consecutivi vinti. Sono otto, e appartengono a Serena; questa serie coincide esattamente con gli ultimi otto punti del match: dal 3-4, 40-15 Kerber, al 6-3 finale. In particolare Williams ha vinto il primo punto con un lungolinea di rovescio, poi ha raggiunto la parità del game con un attacco di dritto lungolinea. Quindi è stata Angelique a darle una mano con due rovesci imprecisi che le sono costati il break. Gli altri quattro punti consecutivi sono tre servizi vincenti e la doppia volèe conclusiva.
La sensazione che ho avuto nella fase finale del match è che Kerber avesse lottato per tutto l’incontro per contenere la pressione (fisica, tecnica, mentale) di Serena, e che al minimo passaggio a vuoto (quei due errori di rovescio) sia stata travolta dall’avversaria, come quando cede l’argine di un fiume in piena: e sono arrivati quei servizi incontenibili dell’ultimo game.
A proposito dello scambio conclusivo, vinto con due colpi di volo: i numeri ci dicono che Serena si è aggiudicata 16 punti a rete su 22, cioè il 73% del totale. Nella finale persa a Melbourne (sempre contro Kerber) ne aveva vinti 15 su 32, vale a dire appena il 47%.
Un po’ tutti avevano evidenziato quella carenza dopo il match in Australia. Personalmente avevo sostenuto come Serena non fosse una cattiva volleatrice in assoluto, ma semmai che con il passare degli anni si era “arrugginita”; in sostanza rispetto alla prima fase di carriera aveva abbandonato le soluzioni di tennis più classico cercando un po’ meno lo schema attacco/volèe in favore del vincente definitivo da fondo, che non prevede più l’utilizzo del colpo di volo conclusivo.
Nella finale di Wimbledon abbiamo avuto la conferma che Williams è in grado di giocare di volo piuttosto bene (inclusi ottimi smash); e forse avere preso parte al torneo di doppio potrebbe averla aiutata in questo.
Ma credo che dietro il progresso numerico ci sia anche una ragione tattica: secondo me rispetto all’Australia Serena ha scelto meglio le direzioni da coprire sui passanti di Kerber. A Melbourne era stata ripetutamente infilata dai passanti di dritto incrociati. Una soluzione forse sorprendente, se si tiene presente che nello scambio da fondo Angelique si trova meglio a spingere il dritto lungolinea. Ma, grazie all’impugnatura molto chiusa, sul passante incrociato di dritto è in grado di dare molto lift al colpo e di farlo ricadere subito dopo la rete: una parabola non particolarmente potente, e quindi relativamente insidiosa nello scambio da fondo, ma geometricamente difficilissima da intercettare se ci si trova nei pressi della rete.
Serena deve avere analizzato i problemi di Melbourne, e preso le contromisure. Se si riguardano i primi game del match di sabato scorso se ne ha la prova: il primo punto in assoluto Kerber lo vince con uno scambio da fondo concluso con il suo classico dritto lungolinea, a conferma di quelle che sono le sue naturali predilezioni. Malgrado questo, negli scambi successivi quando scende a rete Serena va a coprire la direzione del dritto incrociato. Emblematico quello che accade nel quarto game, sul 30-0 Kerber: Williams viene avanti e si sposta con tempo perfetto sulla parte sinistra, quella appunto del cross di dritto avversario (ricordo che Kerber è mancina). E infatti concluderà con una stop volley di rovescio vincente: lì per lì la voleè non sembra particolarmente impegnativa, ma non lo è perché Serena ha coperto in anticipo il lato giusto di campo.
Credo che questo specifico tema ne dimostri anche un altro, più generale: Williams è una grandissima campionessa, un fenomeno assoluto del tennis: ma secondo me negli ultimi anni ha continuato a vincere anche perché ha avuto l’umiltà di mettersi a studiare le avversarie con una attenzione che probabilmente nei primi anni di carriera non metteva. Non mi sono mai fidato e mai mi fiderò della frase ripetuta all’infinito dalla maggior parte delle tenniste:“I just focused on my game”: questo è un mantra utile per tagliar corto durante le interviste. In realtà lo studio dell’avversaria, delle sue caratteristiche e predilezioni, è fondamentale, soprattutto quando le distanze di valore si assottigliano, e bastano pochi punti per spostare gli equilibri di un confronto. A Melbourne le volèe avevano penalizzato Serena; a Londra l’hanno aiutata a vincere.
Questi progressi nelle aree di gioco in cui la componente tattica è fondamentale finiscono per riequilibrare i cali legati alla componente fisica. Cali che secondo me nell’ultimo anno ci sono stati. Forse è solo una mia sensazione, ma penso che Williams abbia perso di efficacia nella fase difensiva: una volta faceva pochi recuperi per scelta, per dosare le energie adeguandosi alle sue caratteristiche fisiche di atleta super-potente ma non altrettanto resistente; ma quando ci si metteva era capace di significative prodezze anche nei recuperi. In questa stagione, invece, ho avuto l’impressione che anche quando ha desiderato applicarsi al gioco di contenimento abbia faticato più di quanto lei stessa si aspettasse; e le prodezze difensive sono sempre più rare. Contro Kerber spesso ha sofferto nelle rincorse laterali dalla parte del rovescio, il lato che (giustamente) si deve lasciare un po’ meno protetto vista la predilezione di Angelique per l’angolo opposto di campo.
Nel confronto tra le finali di Melbourne e Londra non si può dimenticare il cambio di superficie: Kerber gioca bene sull’erba, e i prati aiutano a rendere un po’ più insidiose le sue battute. Ma è nulla in confronto a quanto avvantaggiano i servizi di Williams, che in alcuni frangenti sull’erba diventa semplicemente ingiocabile. Per questo credo che vada riconosciuto ad Angelique un merito ulteriore: è stata all’altezza di un’avversaria del valore di Serena sul suo terreno preferito.
Durante questa finale Kerber ha saputo mixare un tennis di ritmo, condotto a ridosso delle linea di fondo, con altre fasi in cui inevitabilmente è stata spinta indietro, sacrificandosi in corse e recuperi che nel circuito femminile sono in pochissime in grado di fare quanto lei. La Kerber vincente di questa stagione è in sostanza una giocatrice più completa, che si è allontanata dallo stereotipo della difensivista di qualche tempo fa. Oggi il suo punto debole è probabilmente il servizio, il colpo dal quale ricava meno se paragonato a quasi tutte le sue colleghe ai vertici del ranking. Durante il torneo si è visto che non sempre è stata assistita dalla battuta, e in alcuni casi probabilmente l’ha salvata il suo mancinismo, che rende un po’ più insidiose le traiettorie; ma in termini di velocità di palla (e anche di spin) ci sono parecchie giocatrici davanti a lei.
Chiudo sulla finale di Londra con uno spazio dedicato ai “buoni sentimenti”. Nel primo set Serena ha vinto uno scambio estremamente spettacolare (21 colpi) e Angelique l’ha applaudita. Nel secondo set è accaduto lo stesso, a ruoli invertiti. Entrambe sono solite applaudire i grandi colpi delle avversarie, ma questa volta in più si è avuto il lungo abbraccio finale, che ha confermato come tra loro due ci siano rapporti molto buoni. Una sensazione emersa già a Melbourne, quando Serena si era comportata con molta eleganza e sportività nei confronti di un’avversaria che le aveva appena negato un traguardo storico. In conferenza stampa Kerber ha raccontato le poche parole che si sono dette al termine della partita di Wimbledon: “Ho detto a Serena: congratulazioni, sei una grande campionessa. E lei mi ha detto: ‘Lo sei anche tu'”.
P.S. Per la prossima settimana conto di tornare su Wimbledon 2016 presentando alcune statistiche generali, nel quadro di una visione di insieme del torneo. A martedì 19.