Si riprende la mattina dopo perché nel pomeriggio il programma prevede i singolari incrociati. Reggie Doherty ritrova gran parte dei suoi doni e quasi non basta per rimontare e battere Larned 6-3 6-4 6-4 dopo una lotta a coltello. Al termine il punteggio è in parità perché Pim salva solo l’onore ma becca 6-0 al quarto. Giusto il tempo di un leggero pranzo e un riposino nella deliziosa club house del circolo e il ballo ricomincia. I detentori sanno che i fratelli sono invulnerabili in doppio e devono chiudere, ora o mai. Reggie però non c’è più. Il suo fisico minato non può reggere uno sforzo del genere, tantomeno contro un mostro di regolarità come Whitman. Qualche settimana dopo, riposato e in forma, Big Do impartirà una gran lezione al biondo Malcolm nella finale all comers dei campionati USA. Ma oggi no. In tre set è tutto finito e sperare che Pim batta Larned è utopia. La coppa rimane a casa e il doppio finale rende solo meno amara la sconfitta. Diecimila spettatori entusiasti vengono ripagati da un incontro vero, senza esclusione di colpi, nel quale i Doherty’s ribadiscono la loro superiorità in quattro duri set. Reggie e Laurie sono battuti ma non sconfitti, e lo ribadiscono vincendo il titolo di doppio ai campionati statunitensi, prima coppia straniera a riuscirci. In finale battono ancora Davis e Ward nell’ultima partita del donatore della coppa. Dwight Davis era destinato alla politica, dal al 1925 al 1932 sarà prima segretario della guerra sotto la presidenza Coolidge poi governatore delle Filippine. Mentre la Roccia di Plymouth sparisce all’orizzonte i fratelli promettono di ritornare e vincere. E mantengono l’impegno. Il capitano sarà ancora Collins ma la leggenda narra che a primavera del 1903, nel corso di un tradizionale tè delle cinque, i fratelli lo informarono in modo urbano ma deciso sulle gerarchie in campo. Reggie sentiva di poter essere ancora il migliore se le condizioni lo sorreggevano, avrebbe dato la vita per quest’ultima impresa e in un certo triste senso fu proprio così. Laurie era al suo massimo splendore, quel 1903 sarebbe stato il suo anno d’oro. Colma di speranze e forte di certezze la squadra delle Isole britanniche varcò ancora una volta l’Atlantico alla caccia dell’imprendibile graal.
Come riserva stavolta c’è l’irlandese Mahony, la vittima di Reggie nel suo primo Wimbledon. Si torna dove tutto era iniziato, sui campi affiancati del Longwood Cricket Club di Boston, che stavolta sono perfetti. I detentori schierano ancora il grande Larned e, curiosamente, un’altra coppia di fratelli, George Wrenn e suo fratello Robert, detto “Battling Bob”, che giocherà anche il singolare. Il mantra di capitan Collins è mantenere sul filo della forma il delicato fisico dei suoi due alfieri ma il mondo gli crolla sulla testa due giorni prima dell’inizio. Nel torneo preparatorio di Nathant Reggie si infortuna al muscolo della spalla, forse c’è un danno ai legamenti. Quando il medico se ne va l’aria nel quartiere inglese si taglia col coltello. Il suo responso è chiaro, giocare subito può provocare danni irreparabili , ci vogliono almeno due giorni di riposo, meglio tre. Poi si vedrà. Al colmo della disperazione gli sfidanti chiedono di poter schierare Mahony nel primo singolare e Reggie nel secondo ma le regole sono regole e il capitano statunitense, lo stesso Larned, si dice “orribilmente dispiaciuto” di non poter acconsentire. È proprio Collins a centrare l’azzardo geniale che si rivelerà vincente. Conferma Big Do ma cede agli avversari il primo punto senza giocare. Confida nelle capacità di ripresa del suo campione e nella fortuna. E verrà ripagato. Little Do maneggia facilmente Bob Wrenn nel secondo singolare e ancora una volta il punteggio è in parità. Quella notte un lampo squarcia il buio e un istante dopo le cateratte del cielo si aprono. Per due giorni consecutivi non si riprende e qualcuno giura di aver visto l’anziano Collins danzare sotto la pioggia prima e meglio di Gene Kelly. Per la prima volta il doppio è davvero il momento decisivo e i fratelli sbranano i fratelli. Reggie ha recuperato ma non è in grado di servire al massimo però la differenza di classe fra le due coppie è sotto gli occhi di tutti. George è l’anello debole dei Wrenn, perde la battuta decisiva per il primo set e un’altra che potrebbe costargli il secondo. Dopo aver recuperato però è proprio Bob, il più forte, a cedere per il 9-7 che manda gli inglesi due set a zero. Il terzo parziale perso è una questione di esperienza e calcolo perché poco dopo un tranquillo 6-3 sposta l’ago della bilancia a favore degli ospiti.
“(The Wrenns) were in excellent form but they were defeated by men who slightly outclassed them and were their superiors in steadiness and accuracy of stroke,” scrisse il New York Times.
I singolari decisive della terza giornata iniziano nello stesso momento sui due campi affiancati, nessuna recinzione li divide, solo un tratto di prato largo circa cinque metri. Con la coda dell’occhio Laurie può vedere i polsini sbottonati della camicia del fratello accompagnare come ali di gabbiano i suoi armoniosi colpi mentre lui è alle prese con il gioco splendente ma erratico di Larned. Sembra in pieno controllo, domina il primo set perde il secondo da 4-1 sopra. Lascia a zero Bill nel terzo ma quello risorge e nel quarto è little Do a dover soccombere nettamente. Frattanto anche poco più in là le cose si stanno complicando. Con il vero Reggie non ci sarebbe questione ma anche così Bob Wrenn non può evitare di perdere netto due dei primi tre set. Nel quarto lo statunitense mostra di meritare il suo battagliero soprannome, rifiuta la sconfitta, lotta su ogni palla e fra l’entusiasmo misto ad incredulità del pubblico la spunta per 8-6. La leggenda degli incontri paralleli prosegue, non conta chi è più forte, gli statunitensi sono sopravvissuti e adesso diventano pericolosi. Nessuno si stacca e quando Little Do si presenta a servire sul quattro pari la tensione è al massimo. Il game gira male, forse la stanchezza comincia a reclamare la sua parte e Bill piazza un paio di fendenti dei suoi per il 15-40. Nell’arena non vola una mosca mentre l’inglese si prepara a servire.
Nell’istante in cui la pallina lasciò le corde della sua racchetta, Laurie seppe di essere nei guai. Il suo braccio realizzò prima della mente che la traiettoria del servizio era inefficace, forse anche lunga, ma ormai era lanciato a rete. Il passante di William Larned schioccò sulla riga come un colpo di frusta. Nel campo adiacente, con solo il seggiolone dell’arbitro a dividerlo dal sangue del suo sangue il cuore di suo fratello Reggie, il più debole dei suoi muscoli, mancò un battito. Ma mentre l’arbitro chiamava il punteggio e l’avversario si avviava al cambio campo Laurie si avvicinò al seggiolone dell’arbitro. Il suo servizio gli era parso out ma quando venne chiesto il parere del giudice di linea videro solo una sedia vuota. Si seppe in seguito che aveva avvisato di non poter restare ma nel pathos della competizione nessuno aveva notato la sua assenza. La responsabilità della decisione era enorme e venne demandata a James Dwight. Il padre del tennis americano fece rigiocare il punto e il nobile gesto fu una coltellata al delicato equilibrio mentale di Larned. Per Laurie invece fu un elisir. Rinfrancato riuscì a difendere quel servizio per poi vincere due degli ultimi tre giochi e, finalmente, l’agognata coppa. Pochi minuti dopo anche un Reggie traboccante di gioia chiuse 6-4 al quinto. Fu l’ultima grande cavalcata di Big Do. Morirà il 29 dicembre 1910 per un attacco cardiaco nella casa di famiglia, dove aveva chiesto di essere portato sentendo la fine avvicinarsi. Laurie gli sopravvivrà solo nove anni. Ma non furono i soli di quest’epica minore a lasciare drammaticamente la vita.
Malcolm Whitman si butterà da un balcone disperato per la morte della figlia, William Larned, semiparalizzato dopo un violento ictus, sceglierà la pistola per porre fine ai suoi giorni. Come ad Achille, era stato loro chiesto di scegliere fra una breve esistenza gloriosa o una lunga vita tranquilla. Non ebbero dubbi né rimpianti.