“Martina come sta?”. A quella domanda, seguiva la stessa risposta. Amara, elusiva, un po’ difficile da masticare: “Martina è ferma, non sta giocando”. In verità, ci aveva abituato male la terribile ragazzina classe 1993 nata a Firenze ma cresciuta a pane e volée sull’argilla acre della Valdera, tra Pontedera e Santa Croce sull’Arno, provincia tennistica di Nicla Migliori e Anna Iualè. Ci aveva abituato male l’ultimo, vero talento pregiato e ruspante del nostro movimento femminile, la mancina dai riccioli neri, appena 160 centimetri, ma in grado di affondare la racchetta con l’abilità e la precisione di una schermitrice: campionessa italiana senza rivali under 12, 14 e 16, titoli giovanili a squadre, poi una buona esperienza tra le junior (best ranking di 57, giocando pochi tornei e agguantando in doppio le semi di Wimbledon e Parigi) intrecciata a quella del primo livello professionistico. Quindi il grande buio, proprio mentre iniziava l’era in chiaroscuro del fratello Matteo (quattro anni più grande, ex n.1 al mondo under 18 nel corso del 2007).
Martina Trevisan disputava l’ultimo torneo nel dicembre del 2009, terra spagnola di Vinaros, e poi si inabissava in uno stop lunghissimo di 4 anni e mezzo: qualche infortunio di troppo e quel maledetto smarrimento che accompagna i caratteri complicati nel salto di categoria, nell’impatto con il mondo dei grandi. Figuriamoci poi per una predestinata come lei, abituata a tagliare a fette il mondo con quel dritto mancino, venuta alla luce in una famiglia di sportivi doc (la mamma Monica maestra di tennis, il padre Claudio ex calciatore di serie B), e consacrata sin da piccola come una futura star del rettangolo rosso, ancora prima che il Tc Prato se ne assicurasse le performance strappandola a Santa Croce sull’Arno, dov’era nata e cresciuta con il maestro Matteo Catarsi.
La lenta risalita, che molti ritenevano improbabile, avveniva solo nel 2014, dopo un Open giocato a Pontedera (a due passi dalla sua attuale residenza, Ponsacco) e proprio nel club dove aveva ricominciato ad allenare e ad allenarsi, lontano da rumors, occhi e orecchie indiscreti. Con pazienza, perseveranza, e tanta convinzione, Martina sembrava rinata: una finale a Innsbruck, tre successi a Santa Margherita di Pula, vittoria nel $25.000 del Tiro a Volo Roma, un altro successo in Sardegna con montepremi $10.000, fino alla recente conferma di Bagnatica, altro trofeo di taglio $25.000 messo in bacheca. Et voilà. Il tutto sotto la recente guida tecnica di Tathiana Garbin e l’accoglienza al centro federale di Tirrenia.
Mancava a questo punto solo la consacrazione del talento mai compiuto, ed è arrivata questa settimana con la finale raggiunta nel prestigioso $100.000 di Biarritz, Francia, al termine della classica settimana nella quale tutto gira per il verso giusto: servizio più incisivo del solito, dritto profondo da fondocampo con voltaggio da Slam, gioco a rete graffiante e pulito. Ed eccola di nuovo qui, Martina Trevisan, capace di superare senza troppi affanni le qualificazioni, di approdare ai quarti per ridicolizzare anche una certa Pauline Parmentier (n.68 WTA, ex 40) e di sconfiggere in semifinale l’altra francesina Chloe Paquet (grazie al terzo tie-break vinto in otto incontri). Nel match per il titolo, la resa contro la solida slovacca Rebecca Sramkova (n.156 al Mondo) per 3-6 6-4 1-6 pagando lo stress fisico di un torneo lungo e il dazio di qualche errore di troppo concesso a un’avversaria cinica, tutta concretezza. Da domani Martina Trevisan salirà intorno alla 250° posizione (best ranking), oltre 100 gradoni WTA scalati con cuore, coraggio e con il suo tennis intenso ed elegante, molto bello a vedersi. Il grande buio sembra un ricordo lontano.
Marco Massetani