Il mio primo preciso ricordo di Angelique Kerber risale a un match disputato a Dallas nell’agosto del 2011, in un torneo che oggi non esiste più: si giocava nella settimana precedente a Flushing Meadows, in contemporanea con New Haven. Ma mentre New Haven era (ed è) un evento Premier, Dallas era un International; vale a dire meno dollari di montepremi, meno punti a disposizione, e una classifica inferiore per essere ammesse: non solo al tabellone principale, ma anche alle qualificazioni. Lo sottolineo perché in quel momento Kerber era la numero 107 del ranking e non aveva i requisiti per entrare direttamente nel main draw.
Fino a quel momento non era mai andata oltre il 47mo posto e non aveva mai sconfitto una top ten. Nell’agosto 2011 non era più giovanissima: essendo nata il 18 gennaio 1988, aveva 23 anni e mezzo, e penso che nessuno (a parte lei, forse) avrebbe creduto che sarebbe diventata la numero uno del mondo, che avrebbe vinto due Slam in una sola stagione e che con le sue imprese avrebbe scalzato Serena Williams dai vertici del tennis femminile.
A Dallas si era fatta strada attraverso le qualificazioni e si era spinta fino alle semifinali. Il mio primo esteso ricordo è proprio quel match di semifinale: perso, contro Aravane Rezai 6-2, 3-6, 7-5. Del resto Rezai era un ex top 15, ed era favorita per i bookmaker.
Quell’impegno da numero 107 della classifica è stato l’ultimo da giocatrice “qualsiasi”, prima delle partite degli US Open 2011 che avrebbero cambiato per sempre il suo status.
Allora Kerber era una tennista in evoluzione. Non era certo una grande attaccante, ma non aveva ancora nemmeno del tutto valorizzato le doti difensive che oggi conosciamo: era piuttosto scattante in campo, ma dopo due-tre colpi in contenimento preferiva tentare di rovesciare le sorti dello scambio attraverso soluzioni molto difficili, sotto forma di vincenti diretti; soluzioni spesso eseguite da posizioni quasi impossibili, ma che a volte le riuscivano. Una cosa appariva abbastanza chiara: amava colpire in corsa, e anzi era più solida ed efficace quando doveva colpire in movimento che da ferma.
Salita al numero 92 dopo la semifinale texana, Kerber nei quindici giorni successivi avrebbe dato la svolta alla propria carriera, sconfiggendo a Flushing Meadows una dopo l’altra Davis, Radwanska, Kudryavtseva, Niculescu, Pennetta. L’avrebbe fermata in semifinale dopo una dura lotta (6-3, 2-6, 6-2) Samantha Stosur, che poi avrebbe vinto il torneo in finale contro Serena Williams.
Subito dopo quell’exploit newyorkese ci si chiese se Angelique avrebbe saputo riconfermarsi, e quale fosse il suo reale valore. Nel giro di sei mesi avrebbe cancellato ogni dubbio: il 21 maggio 2012 entrava per la prima volta in top ten, diventando la leader del gruppo delle giocatrici tedesche. Quella settimana questo era il loro ranking: Kerber 10, Lisicki 12, Petkovic 15, Goerges 27, Barthel 32.
Se ripenso alla giocatrice dell’agosto 2011 battuta da Rezai e la confronto con quella dell’anno successivo direi che il grande progresso era dipeso soprattutto da ragioni mentali e tattiche: Angelique aveva iniziato a credere senza incertezze all’applicazione del tennis difensivo, e quell’atteggiamento l’aveva ripagata con i risultati. Si era così innescato un circolo virtuoso: più difendeva, più vinceva; sbagliava sempre meno e in più nei momenti critici era anche in grado di spingere di suo.
La Kerber nuova top ten riusciva a dare vita a scambi in cui l’avversaria nel tentativo di chiudere il punto era obbligata a giocare il classico colpo in più (quando non addirittura due, tre, colpi in più). Alla frustrazione dell’avversaria corrispondeva la sua esaltazione agonistica, che si tramutava in ulteriore applicazione nella corsa e nella difesa.
Non solo. Con il suo tennis di grande tenacia Kerber stava diventando la bestia nera delle giocatrici di casa: aveva vinto il primo torneo in febbraio nell’indoor di Parigi sconfiggendo in finale Marion Bartoli; aveva concesso il bis in aprile aggiudicandosi il torneo di Copenhagen contro l’idolo dei danesi Caroline Wozniacki. In settembre avrebbe vinto un match memorabile agli US Open contro Venus Williams (6-2, 5-7, 7-5). Sola contro tutti, verrebbe da dire, in una sessione notturna in cui il Centrale di New York era compattamente per Venus. Vincente ma senza assumere atteggiamenti antisportivi, ma al contrario capace di applaudire le prodezze dell’avversaria, anche in momenti importanti della partita:
https://youtu.be/jdaD6D4dVKw?t=965
Avevo scritto in un articolo dedicato a lei del 2013: “Il tennis è uno sport che contiene in sé molte componenti, e ogni giocatore finisce per far emergere quella che si avvicina di più alla propria natura: il giocatore molto tecnico farà sembrare il tennis una specie di scherma; quello tattico lo farà sembrare una partita a scacchi. E quello di carattere ci ricorda che il tennis può anche somigliare al pugilato: Angelique Kerber è una vera fighter del tennis, e quando scende in campo il rettangolo di gioco diventa il suo ring.
(…) Quando ha contro le attaccanti che cominciano a martellare a tutto braccio, si esalta nella lotta; e allora nessuna palla per lei è troppo lontana per non provare a raggiungerla; e se riesce ad arrivarle vicino, farà di tutto per rimandarla dall’altra parte, magari perfino cambiando di mano. Per alcuni aspetti la miglior Kerber è la versione femminile che più si avvicina a Nadal: e non lo dico solo per questioni tattiche e caratteriali, ma anche perché, come Rafa, curiosamente è mancina con la racchetta, ma non per altre attività della vita: per esempio firma gli autografi con la destra”:
https://youtu.be/iTcXaewo5zA?t=113
Questa caratteristica del “falso” mancinismo di Kerber non è mai stata molto sottolineata, e devo dire che lei stessa dedica poco tempo alla questione. Ancora nell’ultimo Wimbledon avevo chiesto a Ubaldo Scanagatta il favore di tornare sul tema in conferenza stampa: Ubaldo ha provato a chiederle qualche notizia in più, ma lei non ha voluto approfondire.
Da quanto ho letto in altre interviste in tedesco, potrebbe essere che abbia cominciato ad impugnare la racchetta con la sinistra per il tipico errore che capita ai bambini piccoli che hanno l’insegnante di fronte, e quindi ripetono i gesti “a specchio”: di conseguenza compiono lo stesso movimento, utilizzando però il braccio opposto rispetto al maestro. Ma non sono sicuro di questa versione, perché non l’ho mai trovata espressa in modo inequivocabile.
Forse a questa stranezza dell’uso della sinistra esclusivamente per il tennis è collegata un’altra anomalia di Kerber: al contrario di quasi tutte le giocatrici, non ha un colpo dominante da fondo (il dritto o il rovescio) quanto piuttosto una direzione di gioco preferita. Ho già avuto occasione di scriverne:
“Angelique non è una difensivista pura; se il match diventa combattuto, sull’onda dell’entusiasmo (o della disperazione) può cominciare anche a spingere lei. Contro le giocatrici più deboli può perfino impostare la partita, ma secondo me il suo livello in “versione attaccante”, è inferiore. (…)
Siccome si trova meglio a spingere il rovescio incrociato e il dritto lungolinea, da mancina finisce quasi sempre per cercare il vincente nell’angolo di campo coperto dal dritto delle giocatrici destre. E non è detto che insistere verso quella zona sia produttivo, soprattutto se si gioca contro chi ha nel dritto il colpo migliore. E’ un problema difficile da risolvere per lei, perché l’alternativa che ha è lo sventaglio di dritto, un colpo che in termini di geometria equivale a un rovescio incrociato, e quindi non allarga le sue varianti tattiche; mentre il lungolinea di rovescio è efficace soprattutto nei momenti di massima forma”.
E, aggiungo per completezza, con il dritto incrociato i vincenti che riesce a produrre sono piuttosto rari. Questo perché se prova a chiudere dal lato “innaturale” di gioco (sia con il rovescio lungolinea che con il cross di dritto) difficilmente riesce a far viaggiare la palla alla velocità necessaria per renderla imprendibile.
Da quanto leggo oppure ascolto nelle telecronache che riguardano Kerber, questo tema non viene evidenziato, eppure a me pare inequivocabile.
Per rendere più chiara questa caratteristica ho deciso di sintetizzare graficamente la posizione dei suoi vincenti nelle ultime partite degli US Open, a partire dal terzo turno in poi.
Nello schema di sinistra è riportata la disposizione dei vincenti ottenuti contro Cici Bellis. Una serie di dritti lungolinea sono la componente fondamentale del bottino di Kerber. Direi che nella sua semplicità e ripetitività questo schema mostra indirettamente una certa ingenuità tattica di Bellis che, non dimentichiamolo, ha solo 17 anni. Bellis ha impostato il gioco prevalentemente sulla diagonale sinistra, quella del proprio rovescio (Cici è destra), senza riuscire a modificare la scelta una volta che questa si stava rivelando perdente. Alla prova dei fatti non ha salvaguardato abbastanza l’angolo di campo destro, cioè proprio il target preferito di Angelique, che ne ha approfittato a ripetizione.
Dallo schema di destra (i vincenti ottenuti da Kerber nel turno successivo contro Kvitova) si deduce invece che Petra è riuscita e limitare il punto forte di Angelique. In parte Kvitova è stata sicuramente agevolata dall’avere quasi sempre comandato gli scambi, ma in parte è merito delle sue decisioni difensive nei momenti di difficoltà: al dunque ha scelto la parte giusta da proteggere. Magari a volte non è bastato per evitare di perdere il punto, ma se non altro ha impedito che si trasformasse in un vincente diretto. Per completezza devo ricordare che rispetto alle statistiche ufficiali in questo schema manca un vincente di dritto (che penso mi sia sfuggito), mentre i due punti nei pressi della rete non provengono da smorzate ma da nastri fortunati.
Nella partita con Roberta Vinci si ritrova in modo molto marcato la preponderanza di vincenti nell’angolo di destra. In questo caso si nota però la presenza di molti rovesci incrociati. Questo perché Roberta ha scambiato di più sulla diagonale destra (quella del suo dritto) rispetto a Bellis, e da quella zona Kerber è riuscita ad appoggiarsi per trovare il vincente con il suo rovescio bimane, grazie a improvvise accelerazioni o stringendo la traiettoria del colpo.
I due punti blu che appaiono sulla sinistra del campo e che potrebbero essere interpretati come rovesci lungolinea sono in realtà due risposte vincenti inside-out (giocate da Kerber da sinistra su servizi centrali di Roberta). A dimostrazione che raramente Angelique riesce a chiudere lo scambio da fondo verso quella direzione.
Va anche detto che questa sintesi non restituisce la differenza di rendimento tra primo e secondo set, in cui Kerber ha dilagato risollevando le proprie statistiche, che nel primo set erano invece deficitarie.
Wozniacki è riuscita solo in parte a limitare le preferenze di Kerber, rendendo comunque un po’ più simmetrica la distribuzione dei vincenti di Angelique: significa che a volte la consistenza difensiva di Caroline ha obbligato la rivale a uscire dalla propria “comfort zone”. In questa partita spiccano i cinque smash vincenti di Kerber, alcuni esito di scambi con palle corte.
Per la finale contro Pliskova ho preparato lo schema di entrambe le giocatrici:
Quello a sinistra, con i vincenti ottenuti da Kerber mostra la consueta prevalenza dell’angolo preferito. Una prevalenza molto marcata che forse meriterebbe una riflessione da parte di Pliskova che probabilmente in qualche occasione ha trascurato quale fosse il target prediletto dall’avversaria. Due dei punti ottenuti nella parte inusuale di campo sono stati ottenuti ad inizio secondo set, quando Angelique sull’onda dell’entusiasmo della vittoria del primo set ha giocato prendendo strade per lei normalmente meno sicure. Ma nei momenti di maggiore incertezza molto difficilmente si è concessa variazioni. E così il vincente forse più importante del match (ottenuto sul 3-3, 30-30 del terzo set) è ancora una volta il solito, classico, fedele colpo nell’angolo preferito da Angelique: un dritto lungolinea atterrato proprio all’incrocio delle righe:
https://youtu.be/flNJMoiJ93Y?t=620
Se invece si analizza la posizione dei vincenti di Pliskova la prima cosa che salta all’occhio è la distribuzione molto più ampia dei punti: quasi ogni parte di campo è interessata da vincenti e non c’è una chiara prevalenza di un lato rispetto all’altro.
In questi schemi non è prevista la differenziazione tra vincenti da fondo e volèe (per il tipo di gioco di Kerber è poco rilevante, ma per Pliskova sarebbe più significativa); in realtà la maggior parte dei punti nella parte più a ridosso della rete sono proprio volèe.
Dovessi fare un appunto alla finale di Pliskova, direi che le è mancato, soprattutto nel primo set, il servizio centrale: contro Serena la battuta verso la T le aveva portato diversi quindici importanti e le aveva consentito di essere meno prevedibile per l’avversaria alla risposta. In finale contro Kerber la minore efficacia dei servizi al centro ha finito per rendere più facile la scelta delle direzioni da coprire da parte di Angelique.
Ma, al di là dei dettagli, resta il fatto che complessivamente in finale Kerber ha risposto bene: non ha cercato vincenti diretti, però ha mantenuto una percentuale di palle in gioco molto alta.
E facendo un discorso più generale, penso che proprio l’innalzamento della qualità in risposta sia stata una delle chiavi della sua grande stagione; probabilmente il progresso più solido e duraturo del 2016. Un progresso che ha contribuito a farle vincere entrambi gli Slam sul cemento, ma anche ad arrivare in finale a Wimbledon.
Contro di lei fare il punto nelle fasi di inizio gioco è diventato più difficile; e per una giocatrice che ha tutto da guadagnare nell’allungamento degli scambi è un notevole vantaggio.
Per completare la questione sulla fase di inizio gioco: ricordo che una delle doti “storiche” di Kerber consiste nella capacità di eseguire sia dritto che rovescio piegandosi esasperatamente e colpendo in controbalzo. Una modalità che la accomuna ad Agnieszka Radwanska: ma mentre Aga si basa sull’equilibrio e l’agilità, Angelique riesce ad eseguire un gesto tanto complesso grazie alla superiore potenza di gambe.
Questa capacità le permette di limitare i danni in uscita dal servizio: controlla in questo modo molte risposte aggressive delle avversarie quando provano ad attaccare la sua battuta, obiettivamente un colpo non particolarmente incisivo del suo repertorio.
Per quanto riguarda le caratteristiche fondamentali di Kerber mi fermerei qui. Ricordate il foglio di Andy Murray con alcune indicazioni-base, scoperto durante un suo match contro Simon? Dovessi preparare qualcosa di simile per chi deve giocare contro Angelique scriverei:
– Kerber soffre le palle senza peso e dover assumere l’iniziativa, visto che ama appoggiarsi sulla potenza altrui
– Si trova meglio a colpire in corsa che da ferma
– Da fondo campo (ma anche nei recuperi correndo in avanti) preferisce cercare il vincente con il dritto lungolinea o il rovescio incrociato, quindi sempre verso lo stesso angolo di campo
– Quando si scende a rete sul suo dritto attenzione però al passante incrociato
– Esegue la smorzata praticamente solo nella versione di rovescio lungolinea
– Molto difficilmente cerca la rete. Nelle volèe non è particolarmente dotata ma è piuttosto reattiva nei corpo a corpo
– Il servizio più pericoloso è lo slice a uscire da sinistra
Suppongo che questi sei-sette punti siano nell’agenda di tutte le avversarie che l’hanno affrontata: sotto questo aspetto Angelique è una giocatrice piuttosto prevedibile.
Ma prima di chiudere credo rimanga da affrontare la questione della Kerber di inizio stagione, quella vincente agli Australian Open. Rimando all’articolo scritto su di lei dopo la vittoria australiana, anche se sembrerebbe sottintendere una contraddizione rispetto a quanto sto sostenendo adesso.
Mi spiego: allora avevo ipotizzato che il primo successo nello Slam fosse il frutto di una evoluzione rispetto alla sua impostazione consolidata, l’effetto di una serie di novità che le avevano consentito di cogliere in parte di sorpresa le avversarie. Insieme al suo storico coach, Torben Beltz, Kerber aveva lavorato sul proprio gioco, innovandolo sotto diversi aspetti. Quali erano le novità? Servizio più rischiato, risposte più aggressive, ricerca del vincente anche in zone di campo diverse dal solito, gioco meno difensivo, aumento delle discese a rete.
A distanza di mesi devo dire che non ho cambiato idea: a mio avviso quelle novità a Melbourne c’erano state; ma sono in gran parte rientrate. Provo a dimostrarlo con qualche numero. Ho preparato un confronto tra i match disputati in Australia e quelli vinti negli Stati Uniti:
Come si vede in Australia aveva in generale ottenuto più vincenti, ma anche più errori non forzati; quasi il triplo degli ace e il doppio dei doppi falli. Le volèe vincenti a Melbourne erano 10, a New York 2. È vero che nel primo Slam Kerber aveva complessivamente disputato qualche game in più, ma, anche tenendone conto, rimane un divario significativo tra i 172 vincenti del primo Major vinto e i 117 del secondo. A conferma di un atteggiamento più offensivo in Australia, con quel che ne consegue statisticamente, nel bene e nel male.
Quella di Melbourne per me era davvero una Kerber diversa. È stata a mio avviso la miglior versione di tutta la carriera, frutto di un perfezionamento fisico compiuto nella seconda metà del 2015 (maggior tonicità muscolare, eliminazione di qualche chilo di troppo), ma anche di un progresso mentale (maggiore aggressività) e tattico (minore prevedibilità). La dimostrazione di tutto ciò era stato il match contro Azarenka, non solo battuta per la prima volta, ma anche ottenendo più vincenti di lei.
A New York invece Angelique tatticamente è tornata la giocatrice “muro di gomma”, che punta innanzitutto a far sbagliare le avversarie.
Altri dati: in Australia aveva chiuso con un saldo positivo 6 partite su 7. Negli USA solo 4 su 7. In nessun match americano ha ripetuto il +15 ottenuto contro Azarenka e il +12 contro Serena in finale; una partita, la finale di Melbourne, di altissimo livello (anche Serena aveva chiuso in attivo); un livello che a New York non credo Angelique abbia replicato.
In sintesi: verrebbe quasi da dire che per compiere il salto di qualità che l’ha portata a vincere il primo Slam ci sia voluta una Kerber speciale, ma poi per confermarsi ad alti livelli e conquistare il secondo Major sia bastata la Kerber dei vecchi tempi.
Secondo me questo in parte è vero, in parte no. Come dicevo sopra, penso che rispetto agli anni passati abbia migliorato la risposta; e in più credo che la vittoria in Australia abbia fortificato la sua autostima e l’abbia resa più solida sul piano mentale: la sicurezza e la convinzione hanno consentito ad Angelique di vincere i punti importanti, indipendentemente da quale fosse l’impostazione di gioco.
Resta da capire se saprà tenere questi livelli anche l’anno prossimo. Il suo non è certo un tennis rapido e poco dispendioso; al contrario: per essere efficace richiede costante applicazione e grande capacità di resistenza, anche contro avversarie di qualità non straordinaria.
Da quando è entrata per la prima volta in top ten, Kerber ha già vissuto fasi di appannamento, anche se ha sempre saputo recuperare e riproporsi ad alti livelli. Ora però inizia una fase nuova, tutt’altro che facile, visto che ogni giocatrice sogna di battere la numero uno del mondo, e la numero uno del mondo oggi è lei.