Virginia Raggi ha appena detto “No” alla candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, tra otto anni. Una scelta forse sofferta, anche se non ne siamo certi. Magari Roma, a detta della sindaca, non era pronta “all’Olimpiade del Mattone”. Non questa volta almeno. Una città in crisi profonda, scossa non troppo tempo fa dallo scandalo di Mafia Capitale. La sindaca ha detto chiaramente che non poteva permettersi tale rischio. La forma con cui l’ha fatto resta però discutibile, anche se conta più la sostanza. La signora Raggi ha mostrato una notevole dose di superficialità nel presentare le sue motivazioni, ispirate a testi internettiani obsoleti. E, inoltre poca educazione nell’evitare manifestamente ogni occasione d’incontro con chi – Giovanni Malagò – aveva preparato tutto un dossier a supporto delle tesi favorevoli all’organizzazione delle Olimpiadi 2024. Contrariamente a De Coubertin lei ha preferito non partecipare, dimostrando di voler stare con i piedi per terra – apprezzabile certo – ma anche di non credere nella possibilità che con la sua gestione (o il suo controllo sulla gestione Montezemolo-Malagò) a Roma nei prossimi 8 anni le cose potessero cambiare, sconfiggendo con un controllo attento abusi, ruberie, intrallazzi. Super comprensibile, ma non è stato certo un messaggio incoraggiante di speranza. E l’Italia che non crede in se stessa anche non è un gran bel messaggio da trasferire all’estero. I nostri competitors, politici e non, ci rideranno dietro. Nel ribadire che Ubitennis comprende e in fondo condivide la scelta Raggi, come si evince dall’editoriale del direttore dedicato a più argomenti, speriamo soltanto – al contempo – che non sia stata una scelta di pura contrapposizione politica dettata da Beppe Grillo. Del tipo “Renzi le vuole e allora noi Movimento 5 Stelle le boicottiamo”.
Forse la Raggi non si è fidata del gruppo che fa capo al comitato organizzatore e su questo argomento ognuno è libero di pensarla come preferisce: sulla base delle esperienze passate tanta fiducia non era francamente facile nutrirla. E poi c’è un legittimo discorso legato alle priorità da affrontare: prima le Olimpiadi o altri problemi? L’adesione alla candidatura Olimpiadi – il cui successo non era comunque scontato avendo per avversari soprattutto Parigi e Los Angeles, più che Budapest, avversari temibilissimi per mille ragioni – avrebbe consentito di affrontare e risolvere anche alcuni di quegli altri problemi? E quanti altri soldi sarebbero stati spesi da Coni e Governo per continuare a sostenere la candidatura?
Sono stati dilapidati, nella migliore delle ipotesi, 20 milioni di euro (adesso sembra che siano 13 milioni e non 20…vedremo quale cifra è quella giusta, dicono che Parigi e Los Angeles abbiano speso di più, ma non ci sembrano comunque pochissimi: proprio sicuri, ad esempio, che tutte quelle assunzioni a tempo determinato fossero proprio necessarie, e non fatte anche ad amici degli amici?), che potevano servire ad altre cause più nobili, se il comune romano con sindaco Marino non si fosse espresso in modo esattamente contrario a quello manifestato dal sindaco Raggi.
Contro la Raggi si sono scagliati un po’ tutti, politici e non. E anche la maggior parte dei commenti dei colleghi di Sky, tutti pro Olimpiade (come del resto quelli dei quotidiani sportivi, oltre che quelli di proprietà del costruttore romano Caltagirone, Il Messaggero e Il Mattino). Si potrebbe malignamente ritenere che per loro tale evento avrebbe potuto significare lavoro e visibilità (sebbene i diritti tv per le Olimpiadi 2024 non siano stati assegnati) -anche per noi di Ubitennis a dire il vero – ma non è un buon motivo per giudicare a priori negativamente la decisione del primo cittadino di Roma. Un giornalista dovrebbe cercare di valutare oggettivamente dati e fatti. Anche se gli uni e gli altri si prestano talvolta ad analisi contraddittorie. E la scelta finisce spesso per essere politica o, addirittura, filosofica. Meglio non partecipare per non perdere o scommettere di non perdere troppo? Perchè che si perda è dimostrato dai fatti, anche se le nuove regole in tema di organizzazioni olimpiche, non impongono più lavori faraonici e impianti che abbiano vita per un solo mese.
Nell’ambito delle Olimpiadi Angelo Binaghi, e quindi parliamo di tennis, aveva parlato di sede per l’impianto olimpico a Tor Vergata. Lì sarebbe nata una struttura ad hoc per ospitare l’evento tennistico a cinque cerchi. “Insieme a Giovanni Malagò (Presidente del CONI, ndr) abbiamo deciso di disputare il torneo di tennis a Tor Vergata, visto e considerato che il Foro Italico sarà destinato alle gare di nuoto. In un futuro prossimo potremmo spostare la sede degli Internazionali d’Italia proprio a Tor Vergata nel caso in cui il comune di Roma non ci consentisse di attuare l’ampliamento delle strutture del Foro Italico”. Queste furono le sue parole, a fine gennaio 2016. Si parla dunque di spostamenti, che fa rima con investimenti, che fa rima con soldi degli italiani (ah, non fa rima. Ci sarà un motivo).
Il Centrale del Tennis è stato inaugurato nel 2010, dopo un investimento complessivo di 28 milioni di euro. Non due spiccioli. E cui manca un tetto. Dunque, se un unico stadio ha avuto tale costo, quanto sarebbe costato un intero impianto dedito ad ospitare l’intero torneo olimpico? Parliamo chiaramente di un nuovo centrale, quanto meno di diecimila posti, in aggiunta a due stadi secondari (diciamo rispettivamente cinquemila e tremila posti) e poi tutti i vari campi, compresi quelli di allenamento. Ovvio che a tutte queste strutture vanno aggiunti spogliatoi, mixed zone, ristoranti, parcheggi, sale stampa e broadcasting, arteria stradale, insomma tutte le infrastrutture necessarie. E chi più ne ha più ne metta.
Difficile quantificare il costo di tutti questi investimenti, davvero difficile. Ma ogni lettore può provare a fare la proporzione: se uno stadio da 10.500 posti è costato 28 milioni, quanto ne costerà uno da 5.000? E uno da 3.000? Per la precisione, nel dossier per la candidatura, è prevista la costruzione di un centrale da 15.000 posti, uno show court da 8.000, un altro da 5.000 e 7 campi da 500 posti. Ma la cosa ancor più tragicamente bella la si trova nell’ultima colonna della tabella dove troviamo l’uso che dell’impianto di Tor Vergata si prevede di fare al termine dell’Olimpiade. Per il tennis center di Tor Vergata è previsto un bel “none“. Traduzione: NESSUN USO!
Insomma il vero problema, il vero rischio, dunque sarebbe stato il futuro dopo le Olimpiadi. Sappiamo benissimo che al Foro Italico non c’è lo spazio di Indian Wells, ma i giocatori amano il torneo di Roma – soprattutto dopo gli eccellenti interventi della Coni Servizi sotto il profilo scenografico-ambientale – proprio per la sua “location”. Tor Vergata, con tutto il rispetto per i terreni appartenenti al gruppo immobiliare che fa capo alla famiglia Caltagirone, non è il Foro Italico. Non ha il “Pietrangeli”, non ha le statue di marmo, non ha il fascino della storia. E anche con tutte le infrastrutture eventualmente create a supporto, non sarà mai facilmente raggiungibile come il Foro Italico che si trova sul Lungotevere in pieno centro, a un passo dallo Stadio Olimpico.
Il rischio preventivato sarebbe stato economico all’inizio. E di futuro abbandono della struttura (con tutto il corollario) dopo. Rischio addirittura messo nero su bianco come abbiamo visto sopra. Utilizzo previsto post Olimpiadi? Nessuno.
Sotto gli occhi di tutti inoltre c’è la difficoltà dell’Italtennis a trovare i fondi anche soltanto per un 250 nel calendario ATP, dopo che la FIT si è fatta colpevolmente sfuggire l’unico torneo ATP che la città di Palermo ha posseduto per anni per essersi mossa in ritardo e non aver dato sufficienti garanzie alla società che ne deteneva i diritti di proprietà. In passato l’Italia – che aveva avuto anche 7 tornei ATP più o meno negli stessi anni, Firenze, Bologna, Bari, Genova, St Vincent, Palermo, Bolzano – aveva perso per strada anche il torneo di Milano, altra competizione che, a modo suo, ha scritto la storia del tennis. Ora a giorni si dovrebbe annunciare per Milano il lancio di un torneo mondiale under 21 in collaborazione con l’ATP, visto che l’ATP non aveva altre date da concedere per il suo circuito. Ma come si possa credere che un torneo mondiale under 21 (e chi mai ci parteciperà dei migliori under 21 se questi avranno una classifica importante? Ce lo vedete un Kyrgios o anche un Coric, se fossero ancora in età selezionabile, che rinunciano ad un torneo del circuito maggiore per partecipare ad una sorta di torneo junior di dubbio prestigio? Noi no! E se vi partecipassero soltanto under 21 di secondo piano, di livello sub-challenger, chi mai andrà a riempire un Forum o anche un palazzo dello sort più piccolo per vederli?) possa interessare gli abitanti di una grande città come Milano, abituata ad eventi di ben altra caratura nello sport e non solo, per me è davvero un mistero. La considero una delle più grosse sciocchezze cui si potesse pensare. Costerà soldi e sarà un fallimento: questa per me è una certezza. Lo scrivo oggi. Ai posteri giudicare se mi sbaglio io o chi ha promosso questa che considero una follia…sospetta. Ubs
È vero che altri tornei, anche tra i più importanti, hanno cambiato sede, l’hanno fatto però perché le vecchie strutture non erano più al passo coi tempi. Forse il Foro Italico, bello anzi unico sotto un profilo scenografico ma angusto, non lo è. E’ stato scritto da tempo da Tommasi, Clerici, Scanagatta, ma allora perchè a Roma il centrale è stato inaugurato solo sei anni fa? E dell’annunciato progetto per costruirci sopra il tetto retrattile che se ne fa? Perchè imbarcarsi in simili operazioni se si è arrivati alla conclusione che il Foro Italico, bello quanto si vuole, è però inadeguato e va cambiato?
Sempre dalla tabella, estratta dall’ormai famoso dossier del CONI per convincere i “voti” dei comitati olimpici stranieri, si evince come le attuali strutture “tennistiche”, Centrale del Tennis e “Pietrangeli” andrebbero ad ospitare gli sport acquatici. Per l’esattezza la pallanuoto finirebbe nel centrale e i tuffi nel “Pietrangeli”. Scelte magari anche fascinose ma che come minimo risulterebbero forzate. In pratica a causa della presenza della piscina olimpica a due passi il comitato olimpico aveva pensato di sistemare lì tutto gli sport acquatici e di trasferire altrove (a Tor Vergata appunto) gli impianti del tennis.
Alla fine le Olimpiadi non si faranno, lo stesso Malagò ha escluso di poter portare avanti il progetto contro il parere del comune di Roma. la querelle è chiusa con tanto di strascichi polemici. Capirai, nulla di nuovo. Resta il fatto che con piccola parte, e precisiamo parte, dei soldi della struttura di Tor Vergata il Coni (lo stesso che si spartisce gli incassi degli Internazionali con la FIT) potrebbe riqualificare al 100% il Foro Italico. Potrebbe costruire uno stadio secondario vero, e non quell’ammasso di tubi Innocenti coperti dal telone gigante che “ammiriamo” (è ironico) ogni anno. Potrebbe costruire nuovi bagni per gli spettatori, nuovi ingressi, nuovo tutto. Una volta realizzato tutto questo Binaghi potrebbe veramente recarsi dall’ATP e chiedere il prolungamento della durata del torneo, almeno dieci veri giorni , per una volta senza chiacchiere campate in aria. Investire una parte dei soldi nella struttura che già ospita gli Internazionali – se il CONI di Malagò, diventato ormai un grande sostenitore di Binaghi (come di tutti i presidenti federali con i quali deve cercare di andare per forza d’accordo: il nemico dichiarato Barelli è l’eccezione) la ritenenesse una priorità, sarebbe soltanto la soluzione più semplice. E , un’altra parte dei soldi restanti – ove ci fossero – andrebbero invece investiti in una di quelle città (Milano, Napoli, Genova) che si mostrassero pronte ad ospitare un ATP 250 o 500.
Questa politica significherebbe portare avanti tutto il movimento tennistico italiano. Che comunque dovrebbe dare assoluta priorità, stante la disastrosa situazione tecnica del tennis femminile italiana la non incoraggiante situazione di quello maschile, dare priorità all’allargamento della base giovanile e allo sviluppo degli investimenti basati sui giovani talenti.
Nota: questo articolo è stato scritto in più passaggi a quattro mani, cioè dal suo primo estensore Enrico Serrapede e dal direttore Ubaldo Scanagatta