Chengdu, ATP 250, cemento, settembre. Tre pari in un ottavo di finale. Kyrgios ciondola svogliato e regala palle break, Kyrgios serve a tutta potenza e le annulla tenendo il servizio. È come al solito lui, con la stessa aria da ragazzaccio pigro in infradito che ha sempre, a decidere cosa ne sarà anche dei game che seguiranno: Anderson è l’ennesimo buon tennista passato a fare da comparsa nel mondo senza ragione dell’imprevedibile Nick. Tant’è vero che immediatamente dopo il sudafricano perde la battuta, senza grandi demeriti, perché il suo gioco un po’ monotono è comunque sufficiente a vincere i “quindici” normali ma deve arrendersi al fatto che tutti gli altri, e sono tanti, saranno decisi da una roulette. Il croupier è ovviamente oltre la rete.
Si chiude con quell’unico break il primo set dell’incontro, che poi nel secondo si trasforma in un mortorio di punti vinti al servizio – ce ne sono 18 consecutivi. Invece al tie-break sono sette punti di fila per chi riceve, l’ultimo dei quali è una risposta in drop di Kyrgios che il nastro aiuta a rendere ancor più mortifera. Due match point per l’aussie. Il primo è un dritto buttato lungo, il secondo un’altra risposta bloccata che però finisce in rete, Anderson cava dal cilindro una sua risposta vincente di rovescio con la quale manda nell’angolo la pallina e, metaforicamente, l’avversario. Set. “Ci sono anch’io”, sembra dire quel colpo. Da quel momento in poi, ci sarà addirittura soltanto lui, perché nel terzo set Kyrgios passa dal super-tennis allo zero assoluto, il tutto con gli stessi identici colpi non pensati del primo. Spara lungo col dritto sul break point da annullare e per la prima volta è indietro nel punteggio, poi viene breakkato ancora. Nel momento in cui Anderson chiude l’incontro con un ace, lui sta già salendo a rete per la stretta di mano. Ha mollato e come al solito non si riesce nemmeno a capire quando lo abbia fatto, quando quella profusione di back a interrompere lo scambio e di colpi piattissimi a cancellarlo sia passata dall’essere geniale all’essere suicida. Ai quarti, a vedersela con Viktor Troicki (gran lotta la sua, contro Marcos Baghdatis), va con tutti i meriti l’uomo rimasto in penombra per quasi tutto lo show: Kevin Anderson.
Un simile ruolo da co-protagonista viene premiato anche nel match successivo, due ore e mezza perché Albert Ramos-Vinolas abbia la meglio su Yen-Hsun Lu, detto “Rendy”. Il tennista taiwanese gioca bene in top, corre di qua e di là come la pallina di un flipper, angola tutto e non teme nulla ma alla fine esce sconfitto. Gli highlights lo premiano – il break nel terzo set, subito restituito, se lo guadagna con un dritto inside-in vincente in risposta di raro dinamismo -, gli applausi anche. L’incontro no, quello va a Ramos. Chiude il programma la vittoria di Dominic Thiem, in quello che è il suo centesimo match stagionale tra singolare e doppio (per capire meglio il significato di questa cifra, basti pensare che tra i top 10 il secondo è Andy Murray a 73). Contro di lui il cinese Di Wu fa l’unica cosa che potrebbe fare, ovvero partire coraggioso: infatti riesce a trovare subito il break cogliendolo col motore ancora in fase d’accensione. Thiem però rapidamente rimonta e senza grossi sforzi, né spaventi, chiude con il doppio 6-4.
Risultati:
[6] V. Troicki b. M. Baghdatis 6-3 4-6 6-2
K. Anderson b. [2] N. Kyrgios 3-6 7-6(6) 6-2
[5] A. Ramos-Vinolas b. Y.H. Lu 7-6(4) 3-6 6-4
[1] D. Thiem b. [WC] D. Wu 6-4 6-4