Filippo Ghio nasce a Genova 25 anni fa e a 6 anni prende in mano la sua prima racchetta: era in prima elementare ed era già un bambino concentrato e sveglio, non amava particolarmente il calcio e i suoi genitori decisero di iscriverlo alla scuola tennis, a Valletta Cambiaso, dove da molti anni ormai si svolge il challenger più bello del mondo. Ora che la sua attività da giocatore professionista è terminata, ha deciso di iniziare la sua seconda vita tennistica, come Maestro nel circolo di famiglia, alla Fattoria di Sestri Levante. Un ruolo per il quale sembra davvero dotato, grazie ad una grande sensibilità umana e ad una preparazione tecnica figlia di tanti anni sul campo, oltre all’esperienza con uno dei coach più stimati da chi segue il tennis da dentro, cioè Raul Ranzinger che lo consiglia e lo incoraggia.
Come era Filippo bambino e chi è stato il tuo primo Maestro?
Ero bravino, ma non ci facevo caso, giocavo per divertirmi, adoravo tirare colpi ad una pallina con una racchetta e basta. Il mio primo Maestro fu Elio Inserra a Valletta Cambiaso. A 12 anni ero tra i più bravini a livello regionale, sono andato a Recco da Marco Lavagnino e più tardi all’Accademia Sanchez Casal che aveva aperto una succursale italiana a Cordenons. Mi allenavo agli ordini di Pedro Rebolledo, lì ho fatto dall’U14 in poi per un po’ di tempo fino a quando l’Accademia ha chiuso.
Quanto si spendeva in quell’Accademia?
Il costo era 1500 euro circa per il tennis più 1000 euro per il vitto/alloggio.
Ti è servita?
Con me ha funzionato relativamente. Bisogna dire che ci si allenava bene per carità ma è mancata la cura del dettaglio, non tanto sul piano tecnico, quanto su quello motivazionale e psicologico. Mi sono reso conto di aver fatto troppi pochi tornei, e io ero un ragazzo che aveva bisogno di giocare per superare quella tensione agonistica che tendeva a bloccarmi in alcuni match. Da U14 feci un solo torneo internazionale, ad Umago. Poi c’era un fattore contingente: in quel momento i ragazzi fissi in Accademia erano 7/8, mi ricordo Nicola Ghedin, le sorelle Bertoia, ed erano tutti più grandi (a parte Elena Bertoia, che al contrario era troppo piccola), per cui facevo pochi test al mio livello.
E poi l’incontro con Raul Ranzinger, il guru, il Maestro che più di ogni altro ti ha forgiato.
Sì, Raul aprì proprio qui alla “Fattoria” di Sestri Levante, il circolo gestito dai miei genitori, una sorta di Accademia che aveva al proprio interno ragazze davvero incredibili. C’erano Margalita ‘Maka’ Chakhnashvili, Ekaterina Gorgodze, Sofia ‘Sopo’ Kvatsabaia, poi Antonio Zucca, e anche la russa Ekaterina Tsiklauri, e io. Mi allenavo con loro e ti dico che Maka era davvero ingiocabile a tratti, quando era in condizione avrebbe battuto chiunque in WTA.
Che giocatore sei, anche se adesso la tua attività agonistica è giunta a conclusione? Mi dai una tua valutazione delle quattro aree fondamentali di un tennista?
Tecnicamente il mio colpo migliore è il rovescio ad una mano grazie al quale riesco a comandare lo scambio, mentre nel diritto, che non sarebbe nemmeno malaccio, mi è sempre mancata fiducia per giocarlo a certi livelli e nei momenti importanti. Il servizio è da migliorare sia nella potenza che nelle variazioni. Tatticamente sono uno che se la cava bene, del resto non avendo un fisico da corazziere ho dovuto sviluppare doti tattiche per forza. A livello atletico mi sono sempre ben preparato, stavo sempre lì a remare… in realtà non avendo armi particolari che mi permettessero di chiudere con un colpo, ero costretto a lunghi scambi e quindi le mie sconfitte al terzo set, e ce ne sono state tante, erano dovuto alle incredibili energie spese e non ad una mancanza di preparazione. Per altro ti racconto un particolare, mi distruggeva il cambio di palline, nel terzo set tornavano veloci e invece le gambe finivano per rallentarsi. Ricordo varie partite in cui al terzo set ho finito per perdere incontri che invece potevo dominare, uno ad esempio con Turchetti a Santa Margherita di Pula, in un 10mila dollari. Mentalmente che dirti, ero un lottatore, non ci sono dubbi, però non sono mai riuscito ad esprimere pienamente il mio gioco. In allenamento ero un treno poi in gara avevo il freno a mano tirato e non lasciavo andare il braccio. A livello pro non puoi limitarti a difendere.
Rimpianti?
Non so quanto avrei potuto fare di più, però credo che per l’impegno che mettevo nell’allenamento – mi allenavo davvero forte forte – nelle mie corde c’era qualche punto ATP senz’altro. Il rimpianto forse è quello di non aver espresso il mio potenziale per limiti mentali che avrei potuto superare.
Secondo te in che percentuale influiscono le quattro aree fondamentali nel tennis pro?
Direi 10% tecnica, perché a certi livelli tutti giocano davvero bene; 20% tattica, perché le scelte fanno spesso la differenza; 30% atletica, considera che devi stare bene per 50 settimane l’anno, evitare infortuni o giocare anche con qualche dolorino, quindi star bene fisicamente è fondamentale. Però il 40% è mentale: riuscire a evitare unforced di fila, adattarsi alle condizioni delle palle, atmosferiche, del gioco avversario, riuscire a fare una buona performance anche se hai problemi fuori dal campo e tutto il resto, fa la differenza tra arrivare in alto o restare indietro.
Filippo Ghio Maestro. Inizia una tua seconda vita tennistica, è così?
Sì, ho la possibilità di mettermi alla prova qui nel circolo di famiglia, ‘La Fattoria’ a Sestri Levante, appena usciti dall’autostrada. Ora alla struttura si è aggiunto un campo in green set, oltre alla possibilità di allenarsi al chiuso nei mesi invernali. Abbiamo anche la possibilità di ospitare 1 Maestro e 4 allievi per settimane di allenamento intensivo, e c’è una idea di aprire una Accademia, viste le potenzialità della struttura. Sono molto motivato e ho voglia di mettere al servizio dei ragazzi le mie competenze. Adoro stare sul campo.
Al momento chi segui?
Uno dei ragazzi più interessanti è Matteo Odicino, è 3.3 U16, lo voglio citare perché è un ragazzo che si impegna. Attualmente ci alleniamo quattro volte a settimana, ma deve crescere sia tecnicamente sia atleticamente, quindi l’impegno dovrebbe essere massimale. Ma sono i ragazzi che devono sentire questo fuoco, non si possono forzare. La stoffa di Matteo è buona, vedremo. Seguo anche Simone Lo Piano e Maria Vittoria Razzetta, che sono due ragazzi davvero talentuosi e che si impegnano al massimo, se continuano così possono togliersi parecchie soddisfazioni.
Quali sono le difficoltà maggiori per un Maestro?
Una delle difficoltà è quella del rapporto con i genitori dei ragazzi. Perché bisogna conciliare le esigenze dei papà e della mamme con quelle del ragazzo e con la crescita tennistica, e far coincidere tutto non è facile. Il mio Maestro, Raul Ranzinger, dice sempre che fare progetti con ragazzi fino ai 15-16 anni è difficile, c’è da vedere che motivazioni hanno, come sviluppano fisicamente. Ci sono troppe incognite e non bisogna vendere fumo ai genitori.
Cosa guardi per prima cosa in un ragazzo?
Provi a vedere se c’è del potenziale, da come si muove, dai progressi che fa, ma nulla è scritto. Prendi Lorenzo Musetti, classe 2002, si allena a La Spezia, sembra un prospetto eccezionale, ha già risultati eppure non è detto che diventi un pro. Il potenziale c’è, lo vedi subito, ora va sviluppato.
Raul Ranzinger è il tuo punto di riferimento?
Direi proprio di sì. Io sono cresciuto con lui come giocatore e da lui ho appreso i segreti del Maestro. Raul è un uomo straordinario in questo senso, non ti corregge solo quelli che possono essere limiti tecnici e non ti prepara solo a livello atletico ma ti fa crescere come uomo o donna. E io voglio seguire la sua strada. Non lo vedo tantissimo, perché adesso è in Austria dove segue alcuni talenti austriaci (una su tutte la spettacolare Antonia Lottner, davvero fortissima, nda) ma ci sentiamo assai spesso, e continua a darmi molti consigli. Quando aveva aperto qui la sua Accademia ero con Raul tutto il giorno ed è stato davvero grandioso.
Piccola parentesi su Raul Ranzinger: papà austriaco e mamma italiana, ha vissuto in Brasile per molti anni e nella sua carriera ha allenato giocatrici del calibro di Janette Husarova, top 30 e numero 3 in doppio, Tax Garbin che ben conosciamo, la Nagyova ex top 20, la indimenticabile Patty Schnyder, top 10 ma senza infortuni potenziale numero 1, Anastasia Rodionova e molte altre. Noi lo conoscemmo anni fa a Pomezia, dove accompagnava due sue pupille. Una era Maka Chakhnashvili, georgiana che poi avrebbe sposato, giocatrice di un talento cristallino, che si è spinta fino al numero 134 del mondo in singolare ma aveva comunque un livello ampiamente superiore ed è stata fermata solo da qualche infortunio, per una leggerezza atletica innata. Ma era un piacere vederla giocare e crediamo che lo sia tuttora visto che ha solo 34 anni ed è attualmente la Capitana sia della squadra georgiana di Fed Cup sia di quella maschile di Davis. L’altra era Sofia ‘Sopo’ Kvatsabaia, ragazza peperina, ora 28enne alla ricerca di una stabilità emotiva per puntare ancora più in alto del suo best ranking piazzato al numero 362 di qualche anno fa, proprio quando era seguita da Raul Ranzinger. Ci fece subito una impressione positiva, perché avvicinandolo fu molto gentile e ci fermammo a chiacchierare sul tennis femminile in genere e sulle ragazze che seguiva. Per questo l’esperienza di Filippo Ghio con Raul rappresenta un punto di partenza importante.
Credi nell’allenamento mentale? Oppure come sostengono alcuni ‘solo alcune teste si possono allenare e sono già quelle buone’?
Certo che la mente è allenabile, però ci devono credere in 2, il coach e l’allievo. Basta che uno dei due abbia delle perplessità e parte un corto circuito che blocca tutto. Ma del resto questo vale anche per altre doti.
Hai mantenuto delle amicizie nel circuito?
L’amicizia tra tennisti può esistere, però è difficile mantenere i contatti, si fa una vita raminga, si sta spesso in giro, quindi alla fine sei più amico di coloro con cui ti alleni. Io ho avuto un rapporto fantastico con Dodo Eremin, che è un ragazzo d’oro, abbiamo dormito insieme, passato tanti momenti belli, ma è difficile frequentarsi adesso. Poi tantissimo ho condiviso con Daniele Cattaneo che adesso è in Spagna e sta tentando la carriera nel Paddle. Il fatto è che mi dedico tanto al mio lavoro e quindi alcuni rapporti si possono perdere per mancanza davvero di tempo.
Chi è il tuo giocatore preferito?
Che te lo dico a fare. Federer è il tennis. Però poi mi piacciono tanto anche i ‘lavoratori’ come Nishikori o Ferrer. Poi apprezzo chi ha saputo resuscitare dalle ceneri, come del Potro.
Tra gli azzurri?
Fondamentalmente tutti quelli giovani hanno del potenziale, quelli del progetto Over 18 FIT. Vedremo chi lavorerà con più profitto, non me la sento di far nomi.
Filippo Ghio, viso pulito, ragazzo semplice e con grandi motivazioni, competenza ed esperienza da pro, il futuro è tuo.