Ma torniamo agli US Open 2016. Petra perde negli ottavi contro Angelique Kerber: perde male perché non riesce ad accendersi agonisticamente, uscendo sconfitta senza avere dato l’impressione di aver messo tutta se stessa in campo. Si sveglia dal torpore solo nella seconda parte di secondo set, quando la partita è quasi compromessa, e il minimo passo falso diventa irrecuperabile: infatti cede 3-6, 5-7 con un doppio fallo sul match point.
Dunque ultimo Slam stagionale passato, e bilancio ancora in rosso. Kvitova staziona al numero 16 del mondo, ranking per lei negativo, che non toccava dall’inizio 2011, prima cioè che si affermasse ad alti livelli. Chiude la collaborazione con Cermak e contatta un nuovo coach: periodo di prova a Tokio con Wim Fissette, lasciato libero da Azarenka ferma per maternità.
In Giappone Kvitova non gioca male, direi sui livelli degli US Open, ma conferma di avere problemi di tenuta mentale: a New York era mancata sul piano dell’intensità, a Tokio invece mostra di soffrire di braccino. E contro Monica Puig, lontana parente dalla scintillante vincitrice delle Olimpiadi, subisce una delle peggiori sconfitte della carriera. Per come matura, a mio avviso la peggiore del 2016. La racconto un po’ nel dettaglio perché non escludo che abbia a che fare con la svolta di Wuhan.
Petra perde un match che avrebbe potuto vincere in due set, visto che nel secondo set ha break point a ripetizione, ma non riesce a convertirne alcuno. In compenso al servizio sembrerebbe solidissima: non concede palle break sino al 6-1, 4-5; a quel punto però gioca un game disastroso: con tre doppi falli cede la battuta e il set.
Monica Puig non è in gran giornata ma prevale grazie alla resistenza agonistica. Nel terzo set Kvitova è di nuovo avanti 4-2, e poi 4-3, 40-15; ma non riuscirà più a vincere game, subendo un parziale conclusivo di dieci punti a uno. 6-1, 4-6, 4-6 il risultato finale.
Questa la cronaca. Ma durante la partita accade anche altro, che riguarda il coach in prova: Wim Fissette è chiamato al cambio campo sul 4-5 del terzo set. Petra è in crisi, reduce da un game di risposta disastroso, con quattro gratuiti immediati, e prova a chiedere un aiuto esterno. Dovrà servire per rimanere nel match, dopo che nell’ultimo turno di battuta è stata brekkata.
Fissette dà l’impressione di non essere a suo agio, sembra un po’ rigido e impacciato quando parla. Il sonoro non è perfetto, a causa dei rumori di fondo, ma questo è quanto dovrebbe aver detto: “Stai tranquilla, muovi i piedi, continua ad andare per i tuoi colpi. E buona fortuna”.
Buona fortuna?! Augurare buona fortuna durante un coaching non l’avevo mai sentito: come dire che per come si erano messe le cose occorreva un aiuto “superiore”. Consigli generici uniti alla buona sorte come ultima risorsa. Eppure indicazioni più precise si potevano dare: ad esempio Kvitova nei palleggi di ritmo ad alta velocità ormai finiva per sbagliare per prima, mentre quando costruiva variazioni di gioco spesso aveva ancora la meglio.
Ma il tempo a disposizione del coaching non è esaurito, e così Petra chiede indicazioni per il servizio. Se non sono stato ingannato dai rumori di fondo, Fissette risponde di privilegiare le battute a uscire. Anche qui: spero di aver capito male, perché mentre con la battuta slice esterna da sinistra le cose funzionavano abbastanza, quella a uscire da destra non pagava più (Kvitova aveva iniziato a sbagliarne molte, e le volte in cui entrava Puig ormai la controllava senza problemi).
Fine cambio campo: Kvitova rientra e perde il servizio a quindici, e dunque anche il match.
Sarebbe ingeneroso e superficiale giudicare l’operato di un professionista vincente come Fissette da un coaching infelice; direi piuttosto che quel dialogo testimonia come tra i due non fosse scoccata la scintilla. Rinuncia definitiva? Al torneo di Wuhan, già vinto nel 2014, Kvitova si presenta senza allenatore.
Un periodo senza coach lo aveva già trascorso, dopo gli Australian Open. Senza grandi risultati, eppure qualcosa durante i suoi match era cambiato: molte più smorzate, più discese a rete e un maggior uso del rovescio slice da fondo. Novità che aveva poi finito per mantenere anche nel prosieguo della stagione, e che le avevano complessivamente consentito di essere più varia sulla verticale di gioco. Innovazioni che mi avevano sorpreso, perché non pensavo che subito dopo la fine di un sodalizio tanto lungo come quello con David Kotyza Petra potesse presentare cambiamenti tanto evidenti e immediati.
Racconto tutto questo perché, mettendo in sequenza le vicende, sono portato a concludere che Kvitova negli ultimi mesi abbia seriamente riflettuto sul proprio modo di giocare, e si sia resa conto che qualcosa andava modificato. E che stia ancora provando a farlo: con un coach o senza.
A pagina 3: la settimana di Wuhan e alcune questioni sul gioco di Kvitova