180 secondi con il Direttore: per i tennisti di colore è più duro riuscire ad emergere
In una stagione tennistica francamente non memorabile – non ce ne voglia Djokovic che per ovvi motivi sarà in disaccordo – il filo conduttore dei primi sei mesi non si è discostato molto dalla rincorsa di Nole al trono parigino, poi conclusa con successo. Da luglio in poi, passando per l’inatteso annuncio di Federer, Djokovic ha iniziato a mancare qualche colpo e Murray ne ha approfittato per ricucire un distacco che solo a metà stagione sembrava incolmabile. Lo scarto di 8000 punti a giugno si è infatti più che dimezzato: i 3700 che dividono oggi Andy da Novak sono pochi in più dei 3400 che il serbo è chiamato a difendere sino al termine della stagione, bottino quasi impossibile da migliorare se non (ri)vincendo Shanghai, Bercy e le Finals senza perdere alcun incontro di Round Robin. Per Murray invece dovrebbe essere più semplice incrementare i punti guadagnati nel 2015, specie alla luce della magra figura rimediata sull’indoor londinese quando fu sconfitto da Nadal e Wawrinka e mancò la qualificazione alle semifinali. Poi si fece perdonare sul rosso di Gent, ma questa è un’altra storia.
Gli appigli per scacciare la monotonia di un circuito che vede i nuovi affacciarsi alla ribalta ma non ancora riuscire a conquistarla sono quindi le speranze dello scozzese di spodestare il dominatore di Belgrado. Difficile però che ciò possa avvenire senza una dimostrazione di forza in uno scontro diretto, sia perché non sempre come a Wimbledon e Rio Andy avrà la fortuna di trovare il suo avversario fuori dai giochi così presto, sia per una questione psicologica: le certezze di Nole si basano anche sull’evidenza di aver perso solo 3 delle ultime 16 sfide. Shanghai però potrebbe riaprire la contesa. In caso di scontro in finale e vittoria di Murray la forbice in classifica si assottiglierebbe di ulteriori 1000 punti, lo scozzese tornerebbe a battere il suo rivale due volte in una stagione come accaduto solo nel 2008 e nel 2012 (addirittura tre affermazioni) e l’aura di invincibilità di Djokovic perderebbe un ulteriore strato.
C’è sempre la questione antica del tennis allo specchio, quell’anatema che spiega il netto dominio di un tennista sull’altro. Murray e Djokovic praticano un tennis molto simile – una semplificazione che meriterebbe ben altro approfondimento – però il serbo sa fare tutto meglio. Perché stupirsi se ha vinto 24 volte su 34? Innegabile che non sia la rivalità ad aver proposto il miglior esempio di confronto di stili, ma è bene non sottovalutare i fattori che esulano dal confronto tecnico-tattico. Dal 2011 (ormai “anno domini” per il serbo) le vittorie di Nole – ben 20 – si sono costruite sulle fondamenta di un’indiscussa superiorità mentale, una diversa e più matura padronanza dei momenti cruciali del match. Murray fatica a immaginare i termini di una vittoria su Nole, e certo faticherebbe anche a stilare una serie di appunti come fatto prima dell’incontro con Dimitrov. Questo è un fatto.
Passo indietro. Anzi due. Djokovic e Murray dovranno domare in semifinale i due ragionieri del circuito, rispettivamente Bautista e Simon. Nole non ha mai perso con lo spagnolo ma ci ha sofferto nelle ultime due sfide Slam, Murray si è fatto sorprendere a Rotterdam 2015 (e nel lontano 2007). Rischia forse di più il serbo, che sta palesando più di qualche incertezza – si è liberato di Mischa Zverev con grande fatica – e non sembra aver acquisito il solito ritmo partita, per quanto poco facciano testo le sue prestazioni nei turni che precedono le semifinali. Murray scoppia invece di salute: per informazioni chiedere a Pouille e Goffin, in grado di vincergli appena quattro game a testa.
Il più classico dei “se non ora quando”, caro Andy. Eppure continua a essere difficile immaginare il ribaltone, assuefatti come siamo a una gerarchia che da troppo tempo ci accompagna. Si attende il cambiamento senza essere davvero pronti ad accoglierlo, “vedrai, alla fine vince Djokovic pure questa volta” è il tema classico di chi poi avrà buon gioco a dirti che te l’aveva detto, che alla fine Djokovic è più forte. Murray è chiamato a dimostrare che qualcosa è davvero cambiato, e deve farlo guardando negli occhi colui che tanti dispiaceri gli ha conferito nel corso degli anni. Il tennis incrocia la braccia e attende l’ennesima resa dei conti, ma Djokovic è pronto a farsi da parte?