La “vendetta” si consuma un paio di mesi dopo, sul centrale di Flushing Meadows: in palio c’è l’accesso ai quarti di finale degli US Open, un traguardo che nemmeno Radwanska ha mai raggiunto in carriera; quattro volte su quattro ha perso negli ottavi, e anche questa volta non riesce ad andare oltre, fermata da una Konjuh quasi perfetta.
La prestazione di Ana è impressionante, per incisività e concentrazione: piove, e con il tetto chiuso il servizio diventa straordinariamente efficiente, permettendole di ottenere molti punti facili. Nello scambio costringe sistematicamente al contenimento Radwanska, con una continuità tale da non lasciarle il tempo di costruire variazioni: spesso è già tanto se Aga riesce a tenere la palla in campo. Il 6-4, 6-4 conclusivo a mio avviso non restituisce compiutamente la differenza di gioco perché alla fine del match la sensazione è quella di essere stati spettatori di un KO tecnico, mitigato nel punteggio solo dalla grande esperienza di Radwanska.
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Ma per arrivare a quel punto del torneo Konjuh aveva sconfitto al primo turno un’altra testa di serie, Kiki Bertens. Una partita interessante: si fronteggiano due giocatrici che amano condurre lo scambio, sanno muoverlo anche sulla verticale facendo ricorso alle palle corte, ma che non sono dei fulmini di guerra nelle fasi difensive, sebbene possiedano la tecnica dei colpi di contenimento. In questa occasione Konjuh vince il match prendendo il tempo all’avversaria: nei momenti decisivi la anticipa nelle intenzioni e la mette nella condizione di essere in controtempo rispetto alle sue normale conduzione dello scambio. Tra le due è Konjuh quella che trasforma l’uso della smorzata in un’arma letale, finendo per avere la meglio 6-3, 2-6, 6-4.
Ho parlato prima di grandi doti di “braccio”, perché a mio avviso in Konjuh è superiore rispetto alla sua capacità negli spostamenti, nei quali è coordinata ma non rapidissima.
Ana possiede anche una caratteristica piuttosto rara, una particolarità che ricordo fin dagli esordi nella WTA (nel match contro Vinci ad Auckland 2014): nella costruzione dello scambio sulle palle centrali può colpire indifferentemente di dritto e di rovescio, e lo può fare sia ricorrendo all’incrociato tradizionale che all’inside-out. Ma se lo sventaglio di dritto è un’arma fondamentale del tennis contemporaneo, al contrario l’inside-out di rovescio è piuttosto raro; di solito lo utilizza chi ha un limite nel dritto e preferisce quindi colpire di rovescio il più possibile: penso ad esempio a Timea Bacsinszky. Ma Konjuh non ha questi problemi; nel suo caso direi che siamo di fronte alla situazione opposta: è talmente simmetrica sul piano tecnico da non voler rinunciare ad alcuna soluzione di gioco; questo le consente di essere meno prevedibile nelle geometrie rispetto ai più limitati e classici canoni basati sullo schema incrociato/lungolinea.
Mi rendo conto che per come l’ho descritta sino ad ora venga naturale chiedersi perché ancora non sia riuscita ad entrare nelle prime 50 del mondo, e come mai abbia subito diverse sconfitte contro avversarie sulla carta inferiori.
Innanzitutto direi questo: Konjuh pratica un gioco aggressivo, e si basa molto anche sull’efficacia del servizio. Ma a volte va incontro a giornate in cui gli errori gratuiti nello scambio si moltiplicano e la battuta non funziona (con percentuali di prime che possono assestarsi ampiamente sotto il 50%).
Non solo: in alcuni match dà l’impressione, pur possedendo tanti colpi, di non riuscire a utilizzarli tatticamente nel modo migliore; fatica nella costruzione di uno scambio efficace, e prende rischi in momenti non opportuni (o viceversa).
Ma Konjuh è talmente giovane che è obbligatorio concederle tutte le attenuanti possibili. Non è una caratteristica delle teenager la continuità di rendimento: gli alti e bassi sono quasi strutturali.
E poi si devono tenere presenti le tribolazioni fisiche che, almeno sino a oggi, le hanno impedito di programmare al meglio l’attività. Ha sofferto di infortuni seri, con stop prolungati, ma anche di piccoli dolori o di fastidi periodici; problemi tali da non impedire di scendere in campo, ma che comunque rendono più difficile raggiungere la forma ideale.
C’è da sperare che Ana superi queste debolezze, e riesca a trovare il giusto equilibrio tra partite, allenamenti e riposo, in modo da non mandare in crisi il fisico, e poter quindi giocare sempre più spesso in condizioni soddisfacenti.
Personalmente sono rimasto molto, molto colpito dalle due partite contro Radwanska; dal livello raggiunto nel secondo e terzo set a Wimbledon, e mantenuto per tutto il match a New York.
Secondo Goran Ivanisevic, che sostiene di non essersi mai sbagliato in questo tipo di valutazioni, Ana è una sicura top ten.
Io non ho questa assoluta certezza, e per ora non me la sento di scegliere: siamo di fronte a una tennista capace di picchi di gioco molto alti ma sporadici, o invece di fronte a un talento che saprà esprimersi con sempre maggiore regolarità ad alti livelli?
Nel primo caso in futuro avremmo solo una interessante ma discontinua giocatrice, nell’altro una importante protagonista del tennis femminile dei prossimi anni.